di Elena Del Savio | Fotografie di Cesare Colombo
Tra Slavkov u Brna, nome attuale ceco di Austerlitz, Brno, Znojmo e Kromeritz, sulle tracce della storica vittoria delle armate di Napoleone Bonaparte sulle truppe dello zar Alessandro I e di Francesco I d'Asburgo. Era il 2 dicembre 1805, esattamente 12 mesi dopo che il primo Console corso era diventato imperatore di Francia.
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Dalla collina di Zuran , nella Repubblica Ceca a pochissimi chilometri da Brno, lo sguardo spazia intorno senza incontrare ostacoli, verso un lontano orizzonte ondulato: a sud, basse alture coperte di campi a perdita d’occhio, fra macchie di alberi, villaggi e case sparse. A nord l’autostrada, da cui proviene un brusio da basso continuo, unico rumore nella distanza. Sulla cima solitaria, segnalata da due grandi aceri visibili da lontano, un vialetto di ghiaia conduce a un cippo con un bassorilievo di bronzo: raffigura un complesso scacchiere di contrapposte unità militari, con nomi e toponimi incisi e a rilievo. Al centro, accanto alla posizione del colle – il metallo reso lucido dallo strofinio di tante dita –, una N maiuscola e una corona. A indicare che esattamente qui, su questa elevazione all’apparenza insignificante detta “tavola di Napoleone”, c’era il quartier generale francese all’alba della battaglia di Austerlitz, il 2 dicembre 1805, 11 frimaio dell’anno XIV per il calendario della Rivoluzione. Esattamente 12 mesi dopo che il piccolo Primo console corso era diventato imperatore di Francia.
Quella di Austerlitz, che dissolse la Terza Coalizione e insieme le speranze di russi, austriaci, inglesi e svedesi di rintuzzare l’espansionismo francese, è passata alla storia come la battaglia dei tre imperatori, perché vide schierati da un lato Bonaparte e dall’altro le forze alleate dello zar Alessandro I e dell’imperatore austriaco Francesco I. E se anche il suo effetto fu di breve durata – presto nacque una Quarta, più ampia, coalizione antifrancese e altre battaglie seguirono – è considerata un’operazione da manuale, in cui Napoleone, forse per la prima volta in grado di scegliere il terreno e imporre i propri piani al nemico, realizzò un capolavoro di strategia, sbaragliando forze superiori e in posizioni migliori delle sue. Un esito così brillante da rendere la battaglia di Austerlitz, ancora oggi, materia d’insegnamento nelle scuole militari.
Ogni anno tra la fine di novembre e l’inizio di dicembre su questo stesso terreno, a un tiro di schioppo dalla collina di Zuran e vicino al villaggio di Tvarozná, fra Slavkov u Brna (nome attuale, ceco, di Austerlitz) e Brno, nella Moravia meridionale, si tiene una grandiosa rievocazione storica. Equipaggiati con costumi e armi perfettamente riprodotti dagli originali del tempo, appassionati seguaci dell’epopea napoleonica provenienti non solo dai tre Paesi coinvolti negli scontri ma da tutta Europa mettono in scena una più che realistica rievocazione della battaglia. A centinaia, i rappresentanti di gruppi storici di varie nazioni ricostituiscono unità militari presenti sul campo il 2 dicembre del 1805. Chiamarli semplici figuranti sarebbe riduttivo, vista la maniacale attenzione ai dettagli e un’abilità tecnica nell’impugnare, caricare e manovrare le repliche di fucili e cannoni – a salve – che non può lasciare spazio all’improvvisazione.
Sebbene l’abitudine a celebrare la ricorrenza della battaglia datasse già dagli anni Trenta del secolo scorso, è solo ultimamente che la rievocazione ha assunto questa dimensione spettacolare. Cariche di ussari e dragoni e assalti di fucilieri, salve di cannoni, grida e rulli di tamburi, marce militari, duelli all’arma bianca e gran galoppare di cavalieri fra i diversi schieramenti e accampamenti, con le sciabole in aria e i vessilli al vento, danno vita a una rappresentazione grandiosa, in cui il fumo delle armi da fuoco si mischia alla nebbia e al fiato dei cavalli. Con grande soddisfazione del pubblico che – pur nel gelo dell’inverno moravo, e spesso sulla neve – assiste per quasi due ore, a distanza di sicurezza, all’incalzare delle azioni, inscenate con viva attenzione alla veridicità da parte di tutti i partecipanti, compresi “feriti” e “caduti” con teatrale realismo.
Al termine della rievocazione una delegazione dei tre eserciti si reca a rendere omaggio a tutti i caduti, quelli veri, della battaglia, con una visita al monumento che indistintamente li commemora: una piramide dalle linee sinuose in perfetto stile Jugendstil alta 26 metri e detta “tomba della pace”, eretta nel 1911 sulla collina di Prace con il contributo dei Paesi coinvolti. Sorge al centro del campo di battaglia, in un luogo teatro di aspri e sanguinosi combattimenti, dove i soldati della coalizione, che per primi avevano occupato il colle, allora noto come Pratzen, furono assediati e infine cacciati dai francesi dopo due ore di assalti.
Per chi non potesse assistere dal vivo alla rievocazione storica, nel vicino castello di Slavkov è allestito da pochi anni un museo dedicato alla battaglia con una sezione di cimeli originali, documenti, statue di cera di soldati (Napoleone incluso) e un’altra costituita da realistici diorami multimediali, postazioni interattive e filmati, interpretati da personaggi con le divise dei tre eserciti, che mostrano dettagli tecnici come le operazioni di carica e fuoco delle armi e le manovre di schieramento. La monumentale dimora barocca ha giocato una parte centrale nella battaglia. Non solo qui, nel magnifico Salone della storia, fu firmato l’armistizio, ma nei suoi ambienti trovarono alloggio tutti e tre gli imperatori coinvolti.
Dopo la battaglia Bonaparte vi spostò il proprio quartier generale; affacciato dal balcone al primo piano, davanti alle sue truppe ammaccate e vittoriose ammassate nel parco – oggi attraversato dai golfisti –, tenne un famoso discorso. E promise di consegnare alla storia e alla gratitudine della Francia l’imperituro valore dei suoi uomini con queste parole: «Soldati, il mio popolo vi accoglierà con gioia, e vi basterà dire di aver partecipato alla battaglia di Austerlitz, perché vi rispondano: “ecco un eroe”!».
Nel castello si conserva ancora quello che viene indicato come il letto di Napoleone, in realtà un assemblaggio postumo di vari elementi sette-ottocenteschi, fra cui anche parti di pulpito. Ma un po’ come per Garibaldi in Italia, anche l’imperatore di Francia ha dormito in molti letti; e in Moravia ve ne mostreranno diversi, veri o presunti, nei luoghi in cui ha sostato. Uno di questi è Mikulov – inclusa nell’area protetta della biosfera della Moravia meridionale –, oggi Patrimonio Unesco. Nell’enorme castello della famiglia Dietrichstein – che incombe sulla bella piazza raccolta come un salotto, al centro della città – Bonaparte si era fermato per i colloqui di pace successivi alla vittoria ad Austerlitz, mentre si recava a Vienna. Degni di visita i suoi monumentali saloni, con la quadreria dei principi (vi compare anche un piccolo ritratto di Napoleone, molto imbronciato) e le cantine, ambienti in cui vi indicheranno una gigantesca botte, capace di oltre mille ettolitri, ritenuta una tra le più grandi d’Europa.
Ma la pace non fu duratura. E la gloria, si sa, ha bisogno sempre di nuovo sangue per alimentarsi. Si erano appena spenti gli echi dei cannoni di Austerlitz che Bonaparte, chiamato da nuovi venti di guerra, fu costretto a tornare da queste parti. Travolti gli accordi di pace, l’Austria riprese le ostilità contro la Francia, occupando nel 1809 la Baviera, alleata dei francesi. Napoleone rispose marciando sul cuore dell’impero e dopo un’iniziale sconfitta a Aspern-Essling, vicino a Vienna, sbaragliò le armate austriache con due vittoriose battaglie in rapida successione nel luglio dello stesso anno: a Wagram in Austria e, appena oltre l’attuale confine con la Moravia, presso la città fortificata di Znojmo, dove aveva già soggiornato due settimane prima della battaglia di Austerlitz.
La cittadina, al centro di una famosa zona vinicola, si trova in una posizione che a dir poco toglie il fiato, appesa come sembra a un balcone di roccia alto sul fiume Dyje (Thaya in tedesco), a poca distanza dal confine austriaco. Conserva ancora parte delle sue mura, un minuscolo castello a nido d’aquila, due belle chiese gotiche del Quattro-Cinquecento e un’alta torre civica irta di cuspidi, da cui lo sguardo può spingersi lontano. E ai cui piedi si aprono due grandi spazi. A nord la piazza Superiore, dominata da palazzo Ugart con un portale di pietra, dove Napoleone sostò un paio di notti nel novembre del 1805, due settimane prima di raggiungere Austerlitz.
Oggi le sue finestre al primo piano sono istoriate dalla N coronata e cinta d’alloro del ristorante Napoleon. La piazza meridionale invece, intitolata a Masarick, è chiusa da un non entusiasmante grande magazzino in puro stile sovietico: progettato da uno degli ultimi architetti modernisti cechi, Bohuslav Fuchs, si trova proprio accanto al barocco palazzo Daun, residenza del generale Massena durante il periodo di amministrazione francese seguito alla battaglia di Znojmo. Prima della firma del trattato di Vienna, infatti, le truppe francesi occuparono per quattro mesi queste zone, dilapidando le risorse della popolazione e bevendo, si dice, 170mila litri di vino.
Anche la città arcivescovile di Kromeriz ha visto il passaggio delle truppe napoleoniche, sebbene le notizie circa i luoghi di sosta dell’imperatore siano scarse. È comunque considerata fra le più belle città dell’intera Moravia, e il vasto palazzo residenza degli arcivescovi di Olomouc, che nel XII secolo avevano comprato l’intera città, contiene splendidi saloni e una quadreria molto ricca. È inserito nella lista del Patrimonio Unesco, come i poco lontani giardini: in cui, come nel palazzo, l’architetto ticinese Giovanni Pietro Tencalla ha lasciato il marchio del barocco italiano.
Una trentina di chilometri a sud, a Velehrad, in mezzo alla campagna, vale una visita il grande e prezioso santuario dell’Assunta, intitolato ai santi fratelli Cirillo e Metodio e già monastero cistercense. Da almeno mille anni meta di pellegrinaggio, è uno dei più famosi e visitati luoghi della cristianità della Moravia.
Ma pure Brno, la capitale della regione, ha le sue memorie napoleoniche.Vicinissima al campo di battaglia di Austerlitz, la città riuscì a evitare le tragedie della guerra, che pure non le risparmiò le sofferenze di un’occupazione militare. La città si arrese senza neanche provare a resistere alle forze napoleoniche, benché dotata delle formidabili difese del castello dello Spielberg, tra le più munite piazzeforti asburgiche, già tristemente famoso come carcere in cui furono imprigionati dapprima i rivoluzionari francesi e ungheresi, poi gli irredentisti polacchi, i carbonari italiani e i prigionieri politici cechi.
Brno aprì spontaneamente le porte a Napoleone, che ne rimase molto stupito e non poco confortato, dopo le notizie sull’esito disastroso della battaglia di Trafalgar. Ma era una città deserta: la guarnigione austriaca dello Spielberg si era già dileguata, lasciando dietro di sé 60 cannoni e seimila fucili, polvere da sparo, uniformi e grandi quantità di cibo. La nobiltà locale, alla notizia dell’ingresso delle truppe francesi in Moravia, era già fuggita per tempo nella direzione opposta; i cittadini erano serrati nelle case e tutte le botteghe chiuse.
Bonaparte entrò a Brno circondato dal suo corpo di mamelucchi barbuti, abbronzati e armati fino ai denti, trascinati in città probabilmente proprio per incutere terrore. Alloggiò nel sontuoso palazzo barocco del Governatore – ci sarebbe tornato cinque anni dopo al tempo della battaglia di Znojmo – , già monastero agostiniano, e vivacizzò la città con quotidiane parate militari, per galvanizzare le truppe. Mentre i suoi luogotenenti si insediarono nei più bei palazzi lasciati liberi da conti e principi in fuga e si diedero alla bella vita saccheggiando democraticamente le dispense di nobili e di semplici cittadini. Durante e dopo la battaglia, infine, la città si riempì di feriti e prigionieri, a migliaia, e fu falcidiata da un’epidemia di tifo. Una miseria infinita.
Oggi a Brno non sono molte le testimonianze del periodo napoleonico, se non poche targhe sui palazzi. Sono meglio ricordati altri passaggi illustri: quello di Mozart bambino, nel 1767, e dello scienziato Johann Gregor Mendel, padre della genetica, nel 1843. E di Thomas Alva Edison, che nel 1882 mise a punto l’impianto d’illuminazione del nuovo teatro, primo in Europa a dotarsi della luce elettrica.
Senza dimenticare Ludwig Mies van der Rohe, il grande architetto tedesco fra i padri del modernismo. Qui ha lasciato uno dei suoi capolavori, la villa Tugendhat, Patrimonio Unesco, progettata nel 1928 per Grete e Fritz Tugendhat, rappresentanti di una ricchissima famiglia di industriali ebrei tedeschi. È stata radicalmente e meticolosamente restaurata nel 2010-2012, dopo un lungo periodo di abbandono e spoliazioni, e rifornita degli stessi mobili, repliche perfette, con cui il maestro della Bauhaus l’aveva arredata. Pochi anni dopo esserci entrati, anche la famiglia Tugendhat, come i loro concittadini quasi 130 anni prima, dovette fuggire, all’inasprirsi delle leggi razziali. Si rifugiarono in Svizzera, poi fuggirono in Venezuela. Ma diversamente da Napoleone (e a parte Grete, che comparve fugacemente 15 anni dopo la fine della guerra) non fecero mai più ritorno in città.