di Marco Restelli
El-jadida, patrimonio Unesco, e la città balneare di Oualidia sono ancora tesori poco noti ai turisti. Ma in passato hanno attirato registi come Giuseppe Tornatore e Orson Welles. Grazie a un fascino che va oltre lo schermo
Il Marocco è sempre stato uno straordinario set cinematografico. Non si contano i film occidentali girati almeno in parte qui: da Casablanca a Lawrence d’Arabia, da Marrakech Express a Il tè nel deserto, a Il gladiatore, il cinema ha contribuito a far scoprire ai turisti europei questo meraviglioso Paese, i suoi deserti e le sue città imperiali. Anche la costa atlantica del Marocco ha luoghi di forte richiamo come Casablanca, Essaouira o Agadir, eppure c’è un tratto di quella costa che finora è stato ignorato dal turismo di massa: si tratta di una regione compresa fra le cittadine di El-Jadida e Oualidia, che conservano atmosfere di un Marocco antico, con incantevoli architetture tradizionali e ambienti naturali di grande bellezza.
Anche questa parte del Marocco ancora in ombra ha però attirato nel tempo vari uomini di cinema. Come Giuseppe Tornatore, che nel 1999 ha trovato nelle strade assolate e nel lungomare di El-Jadida le atmosfere ormai perdute della Sicilia degli anni Quaranta, ambientazione del suo film Malèna, interpretato da Monica Bellucci. Situata a soli 90 chilometri da Casablanca, El-Jadida rimane oggi un gioiello nascosto, e la cosa è tanto più sorprendente visto che il luogo fa parte dei Patrimoni culturali dell’umanità. Nomina decisa dall’Unesco nel 2004, per tutelare quella che un tempo veniva chiamata Mazagan e oggi cité portugaise, ovvero la maestosa cittadella-fortezza che di El-Jadida è il cuore, edificata sul mare dai portoghesi nel 1506.
El-Jadida condivide quindi con la più famosa sorella Essaouira un passato coloniale portoghese di cui Mazagan conserva vari tesori architettonici, come l’imponente ed elegantissima cisterna d’acqua (risalente al 1541) che si può visitare in rue Mohammed Ahchemi Bahbai. Si tratta di una vasta sala con soffitti a volte, sorretti da 25 colonne, con un foro al centro per la raccolta dell’acqua piovana. Oggi il suolo si presenta coperto da un sottile velo d’acqua che fa da specchio ai raggi del sole: le sciabole di luce che entrano dal foro si rifrangono sul pavimento e poi sulle colonne in un moltiplicarsi di giochi di ombre e di luci esaltati dal silenzio profondo del luogo, in cui ogni minimo rumore anche una singola goccia d’acqua che cade dall’alto viene amplificato, spingendo il visitatore a stare con i sensi all’erta. Il fascino di questa cattedrale laica non sfuggì a un regista geniale come Orson Welles, che nel 1952, in visita a El-Jadida, decise di girare all’interno della cisterna-palazzo alcune scene del suo celebre film Otello.
Quando si esce da questa casa delle ombre il sole marocchino quasi ferisce gli occhi ma invita anche ad ammirare Mazagan nel suo insieme, dall’alto: la cosa migliore per farlo è passeggiare sulle mura della cittadella fortificata, per scendere alla fine del giro e infilarsi in qualche vicolo della medina. Magari per entrare in un forno a legna dove assaggiare il khubz, un fragrante pane di semola; oppure per andare a rilassarsi in un vecchio hammam (con orari rigorosamente distinti per uomini e donne) alimentato anch’esso da una caldaia a legna.
Qui il venerdì, giorno sacro nell’Islam, si può assistere al rito della tanjia, tradizionalmente preparata solo dagli uomini: una giara di cotto viene riempita di carne di montone e spezie e poi sigillata; per pochi dirham il guardiano dell’hammam la fa cuocere lentamente sotto la cenere, per ore, e quando la giara viene stappata sprigiona un profumo capace di stimolare l’appetito di chiunque.
Ma c’è molto da scoprire anche oltre El-Jadida. Proseguendo sulla costa atlantica verso sud si incontrano panorami di peculiare bellezza: le lunghe onde dell’oceano arrivano a lambire grandi dune di sabbia – a ricordarci che siamo comunque in un Paese sahariano – e non si vede quasi nessun segno di presenza umana, a parte un pastore con le sue pecore in groppa a un asinello, alcune saline in riva al mare e qualche serra più all’interno. Scendendo per 78 chilometri lungo la costa a sud di El-Jadida si arriva infine alla candida cittadina di Oualidia, fondata nel XVII secolo dal sultano El Oualid e oggi celebre meta di vacanze per le famiglie della ricca borghesia marocchina di Rabat, Casablanca e Marrakech, ma ancora quasi ignota al turismo occidentale.
Oualidia sorge su contrafforti rocciosi affacciati su una laguna incantevole, lunga 11 chilometri e larga 600 metri, costeggiata da una spiaggia libera di sabbia finissima. Un piccolo mare interno, aperto sull’Atlantico a nord e a sud attraverso due bocche di roccia: abbastanza tranquillo per chi vuole fare il bagno senza affrontare le forti onde oceaniche, ma increspato dal vento necessario per chi ama fare windsurf o kitesurf. Su una riva della laguna si può ammirare la sontuosa residenza estiva di inizio Novecento di Mohammed V, primo re del Marocco e padre dell’indipendenza nazionale. Un sovrano atipico per la sua epoca: amava scendere in spiaggia mescolandosi ai suoi sudditi e consentiva alle figlie di fare il bagno in bikini (cosa non banale in un Paese islamico). Peccato che la villa sia abbandonata, e che nessuno si curi di restaurarla.
Ma le attrattive della laguna sono molte. È un’importante zona di sosta per gli uccelli migratori, e in alcuni periodi si trasforma in un paradiso per gli amanti del birdwatching che possono ammirare, fra l’altro, fenicotteri rosa e trampolieri, upupe e cicogne. Ciò che più sorprende, però, sono gli effetti del gioco delle maree di questo mare interno: l’acqua cala per sei ore e sale per altre sei, con un dislivello che arriva a cinque metri di altezza. Le conseguenze sono davvero curiose.
Per esempio quando la marea è più bassa zampillano fra le rocce polle di acqua dolce e allora capita di veder arrivare dal paese gruppi di donne con mastelli pieni di panni sporchi: le massaie usano la risacca marina come se fosse la centrifuga di una lavatrice e poi risciacquano i panni nell’acqua dolce. Nelle stesse ore di bassa marea emergono isolette di verde che talvolta attirano dalla terraferma gruppi di mucche, le quali fanno il bagno per arrivare fino a questi pascoli improvvisati e tornano a terra appena la marea comincia a rialzarsi. Oltre a questi insoliti usi pratici, la laguna si presta a deliziose traversate: sulla spiaggia antistante il paese non manca mai qualche barchetta di legno a disposizione dei turisti. Durante la navigazione il barcaiolo vi farà notare gli allevamenti di ostriche, tanto celebrate per la loro bontà al punto che Oualidia è nota come la laguna delle ostriche (da gustare nelle taverne del paese).
Ma è solo alla fine della traversata che scoprirete un vero gioiello: il marabout, la tomba-santuario di Saleh Sidi Daoud Ben Mohammed, conosciuto come Sidi Daoud, un mistico sufi morto nell’anno 1023 dell’Egira (il nostro 1614) e molto venerato nella regione. È un luogo di una bellezza semplice e selvaggia: una stretta lingua di sabbia tra la laguna e l’oceano, il blu delle acque e del cielo, la luce violenta del sole, il bianco accecante del piccolo marabout e un vento che canta nel silenzio assoluto. Nient’altro, ma è proprio questo l’incanto nascosto del Marocco.