Sark, l'ultimo medioevo

Dopo 450 anni di regime feudale, la piccola isola britannica al largo della Normandia è ancora un mondo a parte, senza automobili, né asfalto, né bancomat. Un pezzo di storia antica, vivente

 Questa è la storia di una regina potente, di un uomo d’onore e di un’isola scontrosa. Tanti anni fa, la sovrana di un grande regno temeva l’ennesima invasione dal mare. Armi e strategie militari non erano sufficienti, ci voleva un eroe, come quelli delle favole. Un arcipelago appartenente al regno galleggiava a 70 miglia dalle coste, l’isola più grande veniva governata da un uomo onesto, coraggioso e fedele alla corona. La sovrana autorizzò l’uomo a colonizzare un’isoletta deserta di quell’arcipelago, la più esterna; gli concesse totale libertà d’azione, a patto che venisse garantita la difesa dell’isola, considerata di importanza strategica perché particolarmente esposta. Ma l’uomo, che era anche ambizioso, chiese di più: la volle come feudo, diventandone unico signore e legislatore, esigendo, inoltre, il possesso di tutte le terre e i beni riemersi dopo l’alta marea. L’uomo ebbe tutto quello che aveva chiesto e si insediò nell’isola. Era caparbia e ambiziosa come lui, e si piacquero subito. Condividevano la medesima attrazione per la natura selvaggia, per gli eccessi tonanti del mare e i profumi aspri della terra.

Tutto questo accadde nell’anno 1565. La regina era Elisabetta I, l’uomo Hellier de Carteret, il tratto di mare è la Manica, l’arcipelago sono le isole della Manica e l’isola scontrosa è Sark.

Vi sono luoghi in cui la storia sembra incerta se prendersi sul serio o rifugiarsi nel surrealismo della favola: Sark è uno di quei luoghi. Sbarcati nel minuscolo porticciolo di Creux, s’intuisce subito la rocciosità del carattere isolano, le valigie vengono sbattute sul molo senza complimenti e i pochi turisti sono serrati su un mezzo di trasporto collettivo chiamato toast rack. Arrivati in cima alla Colinette che fa da spina dorsale dell’isola, dimenticate altri mezzi, se non qualche calesse, alcuni cavalli e tante biciclette. Su Sark non sono ammesse auto né moto e motorini, anche l’elettricità viene centellinata, nelle strade è assente per non turbare le notti stellate, ma dei lampioni pare che nessuno senta la mancanza, visto che dopo le ore venti gli sterrati sono frequentati solo da foglie portate dal vento, e da qualche gatto avventuroso che rincorre chissà cosa.

A chi può piacere Sark? A chi ama il carattere forte della natura e i suoi mutamenti capricciosi, a chi non cerca l’immancabile pieghevole dove si elenca Cosa fare, perché vive nella certezza che sia molto più piacevole non fare assolutamente nulla, a chi nei luoghi dell’assenza non vede mancanza ma un rifugio da assordanti eccessi, da inutili abbondanze. Tutto, qui, riconduce a ciò che è stato: la vecchiezza delle possenti querce, il cinquecentesco mulino ancora integro, le case in granito, il castellotto della Seigneurie, da secoli dimora del feudatario, dove ancora si respira un’atmosfera elisabettiana.  
Se prendete la bici, non pensiate di pedalare per molto: l’isola – 5 kmq per 600 abitanti – è a portata di gambe e ruote, le mountain bike arrivano ovunque, ci si ferma solo al limite delle scogliere, dove scalini ricavati nella roccia o ripidi sentieri ben tracciati permettono di scendere fino alle spiagge, e se non si ha voglia di scarpinare, ci si può sempre riposare sulle accoglienti, numerose panchine disseminate nei punti più panoramici.

L’isola vanta il punto più scenografico di tutto l’arcipelago: l’istmo di La Coupée, uno stretto camminamento che si snoda a 80 metri dal mare e unisce come un cordone ombelicale Great Sark a Little Sark. Nel secolo scorso il passaggio, privo di protezione, obbligava i bimbi di Little Sark a percorrerlo gattoni per raggiungere la scuola nelle giornate di vento. Voci maligne di villaggio riportano che anche alcuni adulti siano caduti, vittime più delle sbornie che del vento. Malignità e vertigini saranno dimenticate nella Venus pool, una piscina naturale tra le rocce che l’alta marea riempie, regalando un bagno a temperatura mediterranea. Insenature, spiagge, dirupi, scogliere attraggono e intimoriscono, come le numerose, inquietanti grotte spalancate sul mare, ma chi volesse visitarle deve avere con sé l’orario delle maree, chi si attarda rischia di esser raggiunto velocemente dall’acqua. Ma, oltre i timori, l’isola stupisce con la fioritura primaverile di anemoni lungo le pareti della caverna di Gouliot, appassiona nella ricerca di pietre dure (ametiste, agate, corniole) nell’impervia baia di Pot, a Litte Sark. Sul versante opposto, affacciati alla Window in the rock, a filo di un precipizio sull’oceano, gli stupori cederanno al fascino dell’orrido.

Lasciate le coste, è rilassante percorrere la Avenue, main street dell’isola, dove in duecento metri sono raggruppati la banca, l’ufficio postale (con l’unica buca delle lettere nella piazzetta come un monumento), qualche negozietto di artigianato locale, l’ufficio turistico, un market e... la prigione, in realtà un piccolo cottage in pietra con una sola cella che ricorda tanto i film di John Ford.
Difficile lasciare Sark: vorrei rubare dall’isola qualcosa che possa confortare i disincanti del presente che ci aspetta al rientro, ma un volantino frena i miei impulsi: «Non prendete nulla tranne le foto, non lasciate che le vostre impronte».