di Isabella Brega
Da Città di cantieri navali in abbandono a destinazione turistica. La patria di Jules Verne ridisegna il suo futuro e punta sulla cultura, l’arte e la fantasia
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Come un ballerina Nantes si muove sicura ed elegante su un filo. Il filo di Arianna, una sottile linea verde disegnata per terra. Dodici chilometri che inanellano i principali monumenti e i luoghi da non perdere della città. Il filo della storia, dell’arte e della fantasia. Il senso di uno ieri che sottende il domani. Cuce passato, presente e futuro, chiude la cicatrice di vecchi fiumi spariti dall’ordito di una città di mare che si è ricompattata sulla terra. Città di confluenze, culturali e naturali, Nantes profuma di burro e di sale. Gli ingredienti dei suoi celebri biscotti, ma anche l’opulenta fragranza bon ton dei suoi candidi monumenti borghesi e la sapidità provocatoria dell’arte contemporanea, la dolcezza languida e malinconica dell’ultimo tratto della valle della Loira nella quale si insinua l’inquietudine selvatica dell’oceano. Quell’oceano che si respira nel vento, si percepisce nella luce smaltata che regala cieli tersi come solo le città di mare sanno avere, agitati da grappoli di nuvole irrequiete che ora graziano il sole ora si chiudono minacciose e implacabili. Porto fastoso e feroce, il primo di Francia, fiorito sui cantieri navali non meno che sul traffico di merci e sul dolore degli schiavi, scambiati con zucchero di canna raffinato a Nantes. Fino al Novecento città sfilacciata dai corsi dell’Erdre e della Sèvre, la Loira divisa in due dall’isola cittadina Feydeau, espressione dell’orgoglio degli armatori nantesi, con i loro palazzi in tufo ornati da stravaganti mascheroni e gli eleganti balconi in ferro battuto, Nantes ha ridisegnato il proprio futuro. Chiusi negli anni Ottanta i cantieri navali, sopravvissuti per il ramo crocieristico nella cugina Saint Nazaire, la città è entrata in stallo, ma non ha dimenticato il proprio orgoglio bretone e i propri desideri di grandezza. E non ha rinunciato a sognare. Dopo anni di limbo si è riconnessa e ritrovata e ha costruito sull’immaginazione e sulla fantasia il proprio futuro. Si è messa in discussione e si è reinventata come luogo di creazione e sperimentazione dell’immaginario e di nuove pratiche artistiche. Luogo di incontri forti, di segni importanti, di storie private e di eventi collettivi, di ricerca etica e visuale. Una nuova visione giocosa ma non per questo meno attenta e pianificata di una città che ha imparato a indagare nuovi orizzonti e a dialogare con i più diversi linguaggi.
Oggi Nantes è un luogo di sperimentazione ma anche di condivisione, un prisma sfaccettato poetico e politico, etico e sociale, artistico e turistico tutto da esplorare. E questo grazie a un progetto di rilancio nato negli anni Novanta con il sindaco Jean-Marc Ayrault, con le notti Allumées ideate da Jean Blaise, dedicate a tutte le discipline artistiche, con la biennale d’arte Estuaire, con la riconversione dell’isola di Nantes, con quella linea verde che lega la diversità nell’unità, ripara i torti del tempo, gli errori degli uomini, gli sbagli dei politici, restituendo ai suoi cittadini prima che ai turisti una città immaginifica ma non utopica: verde (57 mq per abitante), vivibile, sostenibile, sociale. Un’economia fiorente basata sui servizi, su Airbus e sull’industria agroalimentare, un centro pedonale curato, una rete di mezzi pubblici efficiente, chilometri di piste ciclabili, una qualità della vita così alta da guadagnarle il primato di città più vivibile di Francia, Nantes è oggi un centro di cultura contemporanea. Una wunderkammer che vive all’insegna della curiosità, della sperimentazione e della libertà, dove l’arte non è mero accesso ma è intessuta nell’ordito urbano. Non corpo estraneo, puro fattore decorativo ed estetico, utopico e retorico, ma un elemento fondante di quel mondo frammentato, scomposto e ricomposto nel quale la città, come in uno specchio, riflette la sua nuova immagine. Un luogo unico. Come Lieu Unique, il poliedrico centro culturale ricavato nel 1999 da Patrick Bouchain nell’ex fabbrica di biscotti LU, con la sua torre tutta stucchi, oro e colori pastello innestata su un corpo anonimo, fucina culturale, spazio espositivo con atelier, sale per spettacoli, bar, ristorante, hammam. Primo direttore Jean Blaise, ideatore delle Notti bianche di Parigi e dal 2011 alla testa di Le Voyage à Nantes, società per la promozione della cultura e del turismo locali. «La creatività sarà il tratto identificativo di Nantes» sostiene Blaise. «L’arte, pensata per lo spazio pubblico, farà sempre più parte della materia umana della città, che se ne approprierà facendo sì che sia accettata e non vista con sospetto come un corpo estraneo».
Il passato remoto di Nantes ha i colori e i profumi del quartiere medievale di Bouffay, set di ristorantini, aperitivi, shopping e passeggiate, brulicante di stradine, casette a graticcio, universitari e turisti, con la cattedrale dei Ss. Pietro e Paolo, iniziata nel 1434 e finita solo nel 1839, scrigno gotico della fastosa tomba di Francesco II e Margherita di Foix, realizzata da Michel Colombe nel 1507. E poi il castello dei duchi di Bretagna, candido palazzo rinascimentale imprigionato da mura di granito, omaggio architettonico all’orgoglio bretone e all’indomita Anna, due volte regina di Francia. Attraversato l’ampio corso che ha preso il posto dell’acqua rinnegata dell’Erdre, ecco l’armonioso Graslin, il quartiere del successo industriale e del potere economico della Nantes del XVIII-XIX secolo. Il salotto buono della borghesia locale pianificato dagli architetti Ceineray e Crucy, con i suoi viali, le piazze lastricate di granito, le fontane popolate da ninfe e dei, le bancarelle di libri antichi. E i luoghi per i riti della buona società, il teatro, con l’elegante peristilio coronato dalle muse, il Passage Pommeraye, bomboniera ottocentesca di putti e scale, negozi odorosi di legno e colla, la brasserie La Cigale, delirio decorativo art nouveau e gastronomia nantese. Il cuore nuovo di Nantes batte invece a Malakoff, effervescente quartiere di sperimentazioni architettoniche, espressione delle trasformazioni urbane, economiche e sociali, mentre a Talensac, con il suo vivace mercato coperto del 1937, innaffiato di bianco Muscadet e popolato di ostriche, anguille, formaggi e verdure disposti come nella vetrina di un gioielliere, sulla terrazza della svettante, bruttina, torre di Bretagna, al 32° piano dorme nel suo nido il grande uccello bianco dall’artista Jean Jullien. Scalinate, ex case popolari e solidi caseggiati tardo déco, spirito rivoluzionario e animo operaio domati da gallerie d’arte e studi di artisti: questo il quartiere Chantenay, arroccato lungo la Loira sulla collinetta di Sant’Anna. Qui, spalle alla città, sullo spiazzo Jean-Bruneau che domina Nantes un ragazzino di bronzo seduto su una panchina scruta l’orizzonte carico di promesse come un tempo faceva il piccolo Jules Verne. Le grandi navi che dispiegavano le ali bianche per le favolose Indie erano il corrispettivo della siepe leopardiana per questo figlio di un magistrato che nel 1839, a 11 anni, scappò di casa per imbarcarsi sulla Coralie, alla ricerca di una collana di corallo per la cugina Caroline. Coralie, corallo, Caroline: storia o mito, calembour o casualità? Di sicuro il rapporto che legava Verne, nato sull’isola Feydeau, isolata dalla Loira e unita alla città da un ponte, ai propri concittadini era lo stesso del poeta marchigiano. Ecco i nantesi descritti da Jules in un sonetto delle Poesie inedite: «Migliaia di cervelli vuoti; Dall’incorreggibile stupidità̀; Di riso e zucchero un popolo di mercanti; Che sa contare solo il suo denaro...». Da qui la solitudine del bambino e dell’uomo Verne e la solitudine dei suoi personaggi, uomini di scienza isolati e in fuga dal mondo come il capitano Nemo, la cui statua si erge a Chantenay davanti a quella del ragazzino di bronzo.
Acciuffato al primo scalo, ricondotto a casa a suon di scappellotti, Jules promette al padre che viaggerà solo in sogno, anche se «Io non posso vedere una nave senza che tutto il mio essere salpi con essa». Farà l’agente di cambio come voleva la famiglia, ma la fuga e il sogno rimarranno l’ispirazione della sua vita. Nel 1862 sarà il successo di Cinque settimane in pallone, il primo di decine di fortunati romanzi raccolti nei Voyages extraordinaires (Viaggio al centro della Terra, Dalla Terra alla Luna, Ventimila leghe sotto i mari, L’isola misteriosa, Il giro del mondo in ottanta giorni, Michele Strogoff), oltre a una moglie ricca e poco amabile, a permettergli finalmente di conoscere quel mondo prima solo immaginato. Verne, l’amante dell’avventura, non è un visionario ma un lucido sognatore. I suoi libri, basati sulla possibilità di convivenza tra progresso tecnologico-scientifico e natura, hanno fatto viaggiare con la mente intere generazioni. Ci ha sparato sulla luna e gettato in fondo agli oceani, spinti nelle viscere della terra e buttati su palloni aerostatici e ha nutrito i nostri sogni. I sogni che sono alla base del viaggio. Dove ogni viaggiatore è un eterno Ulisse alle prese con l’ignoto, i mostri della fantasia, le chimere dell’avventura. Basterebbe che il ragazzino della collina di Sant’Anna girasse lo sguardo sull’altra sponda della Loira per vedere la sua isola misteriosa, abitata da un elefante di 12 metri, formiche e piante giganti, aironi, pesci mostruosi. L’isola di Nantes, in attesa di ospitare nel 2018 il Quartiere della creazione, importante polo economico e universitario, è diventata infatti oggetto di un progetto artistico rivoluzionario, Les Machines de l’Île. Dalla frustrazione del fallimento dell’industria cantieristica, senza rinnegarne la memoria, è rinata la speranza. Dalla sua storia industriale, dal saper fare tradizionale legato alla meccanica e alla lavorazione del legno e del ferro. Ma anche dagli spettacoli della compagnia di teatro di strada Royal de Luxe, con i suoi giganti e i suoi enormi animali balocco, unendo la fantasia di Verne all’universo meccanico di Leonardo da Vinci, nel 2007 sono nate Les Machine de l’Île.
Accanto agli edifici creati da archistar come Jean Nouvel, fra le opere d’arte contemporanea della biennale Estuaire e i locali ricavati dalla riqualificazione di antichi magazini portuali come l’hangar di stoccaggio delle banane, negli ex cantieri si è installata La Galerie des Machines. In un’atmosfera surreale e magica che coniuga la fantascienza ottocentesca con le tecnologie più moderne, un bestiario meccanico fantastico, frutto dell’atelier diretto dai visionari François Delarozière e Pierre Orefice. Creature viventi, non solo da ammirare ma anche cavalcare e muovere. Ci si può persino fare scorrazzare dall’elefante di 12 metri fino al fiabesco Carrousel des mondes marins, un acquario meccanico simile a un gigantesco carillon. Una giostra a tre piani, alta 25 metri, per salpare verso nuovi mondi fantastici su mostruose creature marine ispirate alle Ventimila leghe sotto i mari di Verne. Il prossimo progetto dell’atelier, l’Albero degli aironi, con i suoi rami d’acciaio lunghi 20 metri. I suoi grandi uccelli con un’apertura alare di otto metri stanno per spiccare il volo. E noi con loro. Pronti a emozionarci e a sognare. Perché solo i sognatori hanno la possibilità di restituire la vista a un mondo cieco.