Il Viaggiatore. Souvenir da Kiev

Le rubinetterie d’oro e i sanitari di lusso della residenza del deposto presidente filorusso sono divenuti il simbolo della corruzione che ha messo in ginocchio il Paese

 A Vinnycja, una cittadina dei Carpazi, dopo essere sceso dall’autobus, entro a fare colazione in una piccola caffetteria. Poco più di un chiosco ma niente male: il caffè è macinato sul posto e i chicchi spandono un buon profumo tra biscotti e caramelle. In mezzo a tutto questo sono esposti due rotoli di carta igienica con le facce di Viktor Janukovycˇ e Vladimir Putin. Dietro al bancone si danno da fare due ragazzine, studentesse che lavorano durante le vacanze per tirar su qualche grivna. Chiedo quanto costano i rotoli ma mi dicono che non sono in vendita. Per trovare in vendita qualche souvenir “politico”, bisogna andare fino a Kiev. Fuori dalla capitale non ne ho mai visti in vendita.
Ci sono arrivato alla mattina presto a Kiev, ma fino a mezzogiorno non potevo entrare nella camera dell’albergo. Così sono andato a Majdan. La prima cosa che uno fa quando arriva a Kiev è andare a Majdan, come tutti chiamano Majdan Nezaležnosti, piazza dell’Indipendenza. Qui c’erano le barricate contro il governo filorusso di Janukovycˇ, gli spari dei cecchini sulla folla dal tetto dell’hotel Ukraine. Ora la piazza è ripulita dopo la cacciata degli ultimi accampati avvenuta ad agosto, come promesso dal sindaco-pugile Klycˇko. Resta qualche fotografia con i ritratti delle vittime, croci, buchi delle pallottole sui cartelloni pubblicitari o sui tronchi delle piante. Si percepisce un desiderio di tornare alla normalità ma anche di non darla vinta a Mosca.
La tregua tiene ma pendono questioni irrisolte: la Crimea è stata annessa alla Federazione russa con un referendum considerato illegittimo, le armi potrebbero riprendere a fare il loro lavoro. E così si continuano a boicottare le imprese russe – dai ristoranti alle filiali delle banche –, con una campagna dove il marchio per segnalare l’appartenenza ha il simbolo della matrioska.

Le bancarelle a Kiev vendono souvenir politici. Tra questi il più notevole mi sembra il magnete per frigorifero a forma di cesso d’oro. Il riferimento è al wc di Janukovycˇ. Il cesso d’oro è lo schiaffo per eccellenza alla faccia della miseria del suddito, il simbolo della caduta di stile del potere e della caduta del potere stesso. Un trono così pacchiano e scivoloso che sembra impossibile ricascarci ogni volta. Eppure non c’è despota che si rispetti che non abbia convertito l’orefice in idraulico. Poteva fare eccezione il presidente deposto dell’Ucraina? In realtà i bagni della Mezˇyhirja, una megavilla che si trova non lontano da Kiev, hanno “solo” la rubinetteria d’oro. Tutt’al più i piedini del water. Il resto è ceramica anche se sui social network sono circolate foto di imponenti “tazze” presidenziali stile assiro-babilonese. Non andiamo troppo per il sottile: il cesso d’oro di Janukovycˇ, zolotij unitaz in ucraino, è diventato magnete da frigo, simbolo della corruzione che ha messo in ginocchio il Paese. La parola unitaz, diffusa in tutta l’area ex sovietica, deriva da Unitas, come il produttore inglese di water Thomas W. Twyford aveva chiamato un suo prodotto.
Oltre all’unitaz, un altro gadget diffuso a Kiev è il baton, una pagnotta, sempre d’oro, usata come fermacarte dal presidente. Altri souvenir politici, prontamente messi in vendita sui marciapiedi più battuti dai passanti, sono gli zerbini con la faccia di Janukovycˇ o di Putin. L’ironia non manca da queste parti e un po’ di leggerezza può essere salutare qui, dove i verbi seppellire e sparare risuonavano con frequenza quando c’era la guerra, cioè solo ieri.
In realtà la guerra si combatteva solo in una parte del Paese, quella orientale. Nel resto si percepiva una strana sensazione di quiete irreale (mi trovavo in Ucraina quando è stata annunciata la tregua).
La guerra non era dappertutto ma era ovunque. Nelle vie del centro delle città i ragazzi raccoglievano soldi, tra i passanti, per aiutare l’esercito. Nei negozi di alimentari, alla cassa, si potevano pagare generi alimentari da spedire ai soldati. Alcune vie hanno cambiato nome.
Un altro segno della situazione d’emergenza la mancanza di acqua calda fino a ottobre, per risparmiare sul gas che arriva dalla Siberia. «Il prossimo uomo me lo cerco col boiler» mi ha detto una collega che lavora a Kiev al quotidiano Metro. Altro che cesso d’oro. Se il boiler è uno status-symbol...