di Silvestro Serra | Foto di Silvestro Serra.
In un palazzo del ’500 tra Rialto e Accademia l’Aman Canal Grande rinnova il mito dei grandi alberghi di lusso
Si sa, dai tempi di Greta Garbo: Grand Hotel è sinonimo di gente che va e gente che viene, ma trattandosi di Venezia bisogna aggiungere gente che sale e gente che scende. Dai motoscafi e dalle gondole. E non ci voleva certo il matrimonio monstre di un simpatico attore del Kentucky come George Clooney e della sua fascinosa partner, l’avvocatessa libanese Amal Alamuddin, per capire che l’indirizzo veneziano scelto per festeggiare le nozze fosse, sì, un Grand Hotel, ma un vero pezzo di storia della Serenissima Repubblica, affacciato sul Canal Grande, (basti dire che nel vasto atrio troneggia un gigantesco fanò, il tipico fanale di poppa di una galea della flotta della Serenissima Repubblica che partecipò alla vittoriosa battaglia di Lepanto nel 1571 contro i turchi). E così infatti si chiama, con accento veneziano Gran Canàl, il piccolo grande gioiello dell’accoglienza orientale del gruppo Aman (fondato a Phuket in Thailandia da Adrian Zecha nel 1988) trapiantato tra Rialto e Accademia (primo e per ora unico in Italia), alla fermata del vaporetto di S. Silvestro (anche se sono pochi gli ospiti che lo usano per scendere all’Aman).
Il trapianto (ospitalità + servizio Aman + Venezia) per chi l’ha provato è perfettamente riuscito. Si tratta di un intero palazzo del Cinquecento, di quattro piani, con soffitti affrescati da Giovan Battista Tiepolo e opere del Sansovino, una storica biblioteca con le pareti ricoperte di antica pelle di Cordova con fregi d’oro e poi bar, camini sontuosi, saloni da pranzo, di lettura, sale da ballo, balconate affacciate sul Canale, una leggendaria spa e un centro benessere (al terzo piano). E sul tetto un’altana, una loggia da cui, quando è sereno, lo sguardo spazia su Venezia fino alla corona delle Alpi. Tutto questo per sole 24 residenze tra stanze e suite. E non basta: due i ristoranti, quello interno al primo piano gestito dal giovane chef bellunese Riccardo De Pra, la cui famiglia, nel ramo ristorazione dal 1921, vanta nella Dolada di Pieve d’Alpago la più longeva stella Michelin d’Italia. E fuori, anch’esso sulla riva del Canal Grande, nel vasto giardino privato (l’altro è alle spalle e si affaccia verso San Polo), una vera rarità a Venezia, ricavato nell’Ottocento dall’abbattimento di altre costruzioni, un ristorante giapponese, Naoki, che serve una cucina kaiseki, innovativa e ispirata al gusto francese. Ce n’è abbastanza per segnarsi questo indirizzo (palazzo Papadopoli, calle Tiepolo 1364, Sestiere San Polo) anche solo per una sosta, un drink, una cena.
Ma si sa anche che per quanto la geografia sia esotica e la scenografia la più sontuosa, alla fine il film diventa stucchevole se non è condito da una storia intrigante e misteriosa. E anche in questo, qui gli elementi di fascino ci sono tutti. Così a rendere più attraente la new entry dell’hôtellerie veneziana di qualità c’è la storia del palazzo, passato dalla famiglia cinquecentesca dei Coccina, commercianti e marinai, a quella dei Tiepolo e infine a quella dei Papadopoli, ricchi mercanti di Corfù, trasferitisi in laguna e poi imparentatisi con i Brandolini e gli Aldobrandini, già un secolo fa protagonisti delle grandi feste veneziane, ma anche grandi innovatori: venne installato qui il primo ascensore di Venezia, i primi candelieri con lampade elettriche e il primo sistema di telefonia interna. Una vena modernista che si trasmette ancora. Il pronipote della leggendaria Vera Papadopoli Aldobrandini, attuale proprietario del palazzo, conte Gilberto Arrivabene Valenti Gonzaga, ha sposato la charmante Bianca d’Aosta, principessa di sangue reale con la quale vive nella vasta mansarda del palazzo, ma soprattutto alimenta la sua vena artistica dilettandosi a disegnare, ispirandosi agli stemmi di famiglia e agli arredi del palazzo, delicati oggetti in vetro di Murano che illuminano le bacheche del piano terra del palazzo e sono regolarmente in vendita nell’elegante boutique dell’Aman.