Roma. Le memorie di Augusto

Dal Palatino al Foro Romano, dalle Terme di Diocleziano alla villa sulla Flaminia... Sono tante e importanti le tracce lasciate nella capitale dall'imperatore Augusto. Scavi e musei ci permettono di riscoprire la sua vita e la sua figura, specialmente ora che – dopo gli interventi di scavo e restauro legati al bimillenario augusteo – antiquarium, aree archeologiche, mostre temporanee e percorsi di visita offrono occasioni inedite di avvicinarsi ai luoghi più rappresentativi della sua epoca.

La madre di tutti i palazzi del potere non è a MonteCitorio o al Quirinale, ma al Palatium – il Palatino – centro di una tra le storie più belle dell’antichità, che ci riempie ancora di orgoglio. E bene ha fatto la Soprintendenza speciale per i beni archeologici di Roma, in collaborazione con Electa, a investire tempo e risorse per far rivivere con pochi eventi e molti interventi il primo imperatore, Ottaviano Augusto, in occasione del bimillenario della sua morte, il 19 agosto del 14 d.C. Il nuovo percorso tocca i luoghi più rappresentativi della sua epoca e per la consistenza dei restauri resterà nel tempo proprio come fu per il Divus Augustus, che nacque e dimorò su quel colle il cui nome divenne sinonimo di residenza imperiale, il Palazzo per antonomasia.

Per raggiungere il Palatino si percorrono i sampietrini di via dei Fori imperiali liberata dal giogo delle auto e ora, nell’insolito silenzio, i turisti sembrano pellegrini e la storia delle antiche pietre è un fluire di energia e bellezza. Potenza di un’ordinanza del sindaco che sta rendendo il sito archeologico una meta turistica a 4 stelle; per arrivare a 5 bisogna ora lavorare su bancarelle e venditori ambulanti che si accalcano famelici sui visitatori. Il Museo Palatino, riorganizzato nel segno di Augusto, è il biglietto da visita di ciò che, sin dalle origini, avvenne sul colle. Parte da qui questo ritorno al passato non prima di aver visto, tra gli altri “ricordi”, un videowall che – ricostruendo le architetture delle capanne romulee, la residenza di Augusto, la Domus aurea, il palazzo dei Flavii – fa capire come doveva essere il Palatino e quanto siano importanti gli strumenti multimediali per rendere vivi e attivi musei e visitatori. Questo fa la differenza tra lo zampettare smarrito in mezzo a vestigia mute e il curiosare con consapevolezza nei luoghi che hanno voce: nel primo caso rimani lo stesso, nel secondo cambi.

 

I riflettori si spostano sulla casa dell’imperatore – astutamente costruita vicino a quella di Romolo – e sulla dimora della terza e ultima moglie, la più amata, Livia. Si tratta di un nuovo percorso rispetto a quello inaugurato nel 2008, visitabile con prenotazione (venti persone ogni 15 minuti) e sigillato da una copertura a prato e piante grasse che ricorda il tetto dell’abitazione di un ambientalista, reversibile e poco invasivo grazie alla discreta presenza di legno, vetroresina e acciaio Corten dal tono rosso ruggine come i colori della terra, delle pitture e del tempo che leviga e scurisce. Con una passerella che protegge quel che rimane delle decorazioni dei pavimenti, ci si affaccia nei locali della Casa di Livia con stupore e rispetto perché si sta camminando nella Storia, detto senza retorica; fra tutti, spicca la stanza delle prospettive, per la prima volta visibile al pubblico, con podi, edicole e quinte che danno profondità all’ambiente. Quel che affascina di più nella dimora della First Lady è la sua stanza da pranzo, il Triclinio, altra novità: una sala decorata con un profondo rosso pompeiano su cui si aprono paesaggi sacri ricavati dal restauro di circa 500 frammenti per anni chiusi nei depositi. L’ambiente sprigiona eleganza e semplicità ed è così che doveva essere la donna più potente del pianeta, che però amava cucinare e cucire per il suo Augusto a dispetto dei 500 servitori al suo seguito oltre alla corte, ai clientes e alle monete con la sua effigie.

A parlarci meglio di questa «Venere con il volto di Giunone», secondo Ovidio, che Caligola definiva “Ulisse con la stola”, è la sua casa di campagna sulla Flaminia, la Villa di Livia, costruita subito dopo il matrimonio con l’imperatore sui terreni che aveva ereditato dal padre. Proprio qui, narra la leggenda, mentre la giovane contemplava la natura, un’aquila le lasciò cadere in grembo una gallina bianca con un ramo di alloro nel becco; lei lo piantò dando vita a un bosco che per decenni servì a decorare i trionfi imperiali. Eccolo dopo duemila anni il Lauretum, vivo e vegeto dentro olle di terracotta ricostruite come quelle ritrovate durante gli scavi. Tutto intorno è il mondo di Livia con panorama sul Tevere: la sua camera da letto con un giardino privato dove coltivava piante medicinali per preparare decotti, le stanze degli ospiti, la sala del triclinio ipogeo affrescata con le immagini del giardino esterno (e conservate a palazzo Massimo), ora sostituite con tele scenografiche e fotografiche in garza, di grande effetto. Una dimora armoniosa e delicata da cui trapela un’immagine di Livia diversa da quelle delle fonti che la ritengono addirittura responsabile delle morti degli eredi designati da Augusto, per far diventare imperatore il figlio Tiberio.

Il percorso si snoda verso i 3.200 metri quadrati di “nuovo” passato costato sei milioni e mezzo di euro per sei anni di lavoro: le Terme di Diocleziano, le più grandi del mondo antico, che ospitavano oltre tremila persone; la vasca all’aperto da quattromila metri cubi di acqua è oggi visibile insieme a uno dei 15 ambienti sopravvissuti, l’aula VIII. Pareti e volte si rianimano nella sala del plastico: eccole splendere – con gli acquerelli ottocenteschi di Edmond Paulin – di verde, rosso, giallo, perché il mondo romano era coloratissimo; eccole lievitare sull’urbe attraverso ricostruzioni grafiche e immagini della città moderna catturate da droni che raccontano i suoi cambiamenti nei secoli. All’imponente restauro si aggiunge quello del cinquecentesco chiostro piccolo – chiuso da 50 anni – della Certosa di S. Maria degli Angeli e costruito su una parte della piscina, perché ogni pezzo di storia è nascosto dentro l’altro, come scatole cinesi. Lungo gli ambulacri circa 150 lapidi e lastre marmoree raccontano l’importanza delle tradizioni e della religione per la pax augustea; lui, l’imperatore, riappare qui sotto forma di voci in un sottofondo medianico: sono i cantori di San Carlo e le Voci bianche dell’Accademia nazionale di Santa Cecilia che recitano il Carme degli Arvali – gli antichi sacerdoti – e il Carme secolare di Orazio per i Ludi saeculares: i documenti dei culti rifondati dal Divus Augustus per recuperare gli antichi riti della romanità.

Lo spirito del tempo di Augusto si coglie seguendo nel Foro Romano l’antico percorso, appena riaperto, del Vico Iugario attraverso la basilica Giulia e visitando altri luoghi simbolo come la Piramide Cestia, testimonianza della moda egizia seguita alla conquista dell’Egitto e fresca di restauro; il Mausoleo di Cecilia Metella sull’Appia antica; la Crypta Balbi, che ha restituito una testa di Livia; le mostre Rivoluzione Augusto, l’imperatore che riscrisse il tempo e la città a palazzo Massimo, dedicata a Giulio Cesare padre adottivo dell’imperatore, e Le chiavi di Roma. La città di Augusto ai Mercati di Traiano che racconta la storia di Roma attraverso un vecchio mercante e suo nipote. Grande assente di queste celebrazioni, il Mausoleo di Augusto; in compenso dal prossimo 21 aprile l’area archeologica di competenza della Soprintendenza capitolina sarà illuminata in modo permanente. Il progetto, firmato dal premio Oscar per la fotografia Vittorio Storaro, prevede per il Foro di Augusto una luce che sale dal tempio di Marte Ultore per espandersi tutt’intorno, a simbolica testimonianza del passaggio dalla Repubblica all’Impero che illumina il mondo. C’è da sperare che tutta questa luce e questo splendore, complice pure il Colosseo in fase di restauro, favoriscano la cacciata di bancarelle e ambulanti. Sarebbe un’ennesima vittoria dell’imperatore.

Foto Archivio Fotografico SSBAR