di Stefania di Pasquale | Fotografie di Antonio Perolari
Locali barocchi e antichi lavatoi, botteghe artigiane e gallerie d’arte, grandi parchi e ferrovie aeree dismesse trasformate in giardini pensili... Il 12° arrondissement è un quartiere decisamente sorprendente. Da Nobel
Sembra la scena di un film: Parigi, primi del Novecento, interno giorno. Ma non è un film, è tutto reale, e accade oggi. Dove? Al Musée des Arts Forains, confine sud del XII Arrondissement, nei Pavillons de Bercy: basse strutture in pietra progettate da un allievo di Gustave Eiffel e utilizzate in passato come magazzini del vino che giungeva nella Ville Lumière grazie alla Senna (il Borgogna scendeva, il Porto saliva). Una vera scoperta tra gli alti palazzi ultramoderni. Ma il XII, in verità, è un po’ tutto così: pensi di averlo inquadrato e invece ti sorprende continuamente: tanto verde, tanta storia e alcuni tesori da scoprire. Questo museo è il più prezioso.
Sono diecimila i pezzi originali dal Settecento ai primi del Novecento, che in 35 anni monsieur Jean-Paul Favand ha raccolto in una straordinaria collezione; cinquemila metri quadrati divisi in quattro ambienti: le Musée des Arts Forains, le Théâtre du Merveilleux, les Salons Vénitiens, le Théâtre de Verdure. Concepito da Favand, famoso scenografo, per ricreare l’atmosfera della Belle Époque, delle feste di paese itineranti, questo museo non è un’esposizione di pezzi rari, ma un vero e proprio spettacolo vivente: tutto infatti è perfettamente funzionante, rigorosamente originale e completamente restaurato. Inserito in un gioco di luci, proiezioni, effetti ottici... come un gigantesco carillon. E allora lanciamo una trottola di ferro in quello che sembra l’antenato di un flipper, pedaliamo velocissimi seduti su una giostra che ricrea l’effetto dei primi velocipedi, facciamo un giro in gondola, dondoliamo sui cavalli di legno finemente decorati; e partecipiamo al Palio di Siena davanti a una scenografia in movimento in un gioco a punti. Ancora, danziamo nei Saloni veneziani, dove la settecentesca Serenissima rivive in una favolosa festa in maschera! Una collezione ancora più straordinaria se si pensa che solo il sette per cento è esposto, il resto è custodito nei padiglioni e Favand, che abita in uno di essi, riceve continuamente pezzi “nuovi”.
Se già conoscete le meraviglie del Louvre, del Centre Pompidou, del Bateau mouche, e avete un finesettimana da dedicare alla Ville Lumière, questo quartiere è la meta ideale per vivere una Parigi diversa. Il suo cuore è la Gare de Lyon, dove merita una visita la brasserie Le Train Bleu, dichiarata monumento storico. Decorazioni barocche, ambiente sontuoso, frequentato tra gli altri da Coco Chanel, Salvador Dalí, Jean Gabin. Luc Besson la riprese in una scena del suo film Nikita (1990).
Dopo una tappa obbligata alla boulangerie-pâtisserie Bazin (pluripremiata e con pieno merito), gironzolate intorno a place d’Aligre, per poi tuffarvi nel vivacissimo mercato, multietnico e “polifonico” stile Ballarò (tra l’altro è uno dei pochi dove si trovano gli agrumi di Sicilia). Lì accanto, al numero 9 di rue de Cotte, c’è uno degli ultimi lavatoi di Parigi perfettamente conservato; guardandovi intorno avrete già notato tra le case una sorta di acquedotto romano da cui spunta un rigoglioso giardino che sovrasta avenue Daumesnil: salite dalle scalette disseminate in più punti e... voilà: godetevi una bellissima passeggiata tra i palazzi e i tetti di Parigi, immersi in un verde rigoglioso: è la Promenade plantée o viaduc des Arts, il viadotto di un’antica ferrovia chiusa nel 1969 trasformato in un percorso rigorosamente pedonale (unica eccezione ammessa, i rollerblade). Quattro chilometri e mezzo dalla Gare de Lyon alla porte Dorée: il primo tratto è tutto ciliegi e cespugli fioriti, il secondo, dopo il Jardin de Reuilly, molto meno sopraelevato, è soprattutto pista ciclabile. Camminerete “sospesi” tra balconi, comignoli, parigini che fanno jogging, piccoli orti e l’incredibile commissariato del XII Arrondissement: gli ultimi due piani sono sorretti da colossali cariatidi, bucate per ricavarvi delle aperture tra un balcone e l’altro.
Sotto il viadotto, gallerie d’arte e negozi di design, boutique eleganti che raccontano un lato del quartiere molto chic. Del resto, questo è il Faubourg Saint-Antoine la cui abbazia nel 1471 raccolse attorno a sé una colonia di artigiani indipendenti, ovvero non inseriti all’interno di corporazioni. Curiosate qua e là, sbirciate oltre i portoni: è tutto un susseguirsi di cortili e gallerie, botteghe di artigiani, ebanisti, verniciatori.
Quelle che oggi sono placide vie residenziali furono in passato teatro di avvenimenti sanguinosi: quando si parla del XII Arrondissement, si parla della storia della Francia rivoluzionaria, a cominciare da place de la Bastille con la sua “colonna di luglio” a memoria della presa della Bastiglia che diede il via alla rivoluzione. Accanto, l’Opéra Bastille, un teatro popolare dell’opera voluto (come il vicino Parc de Bercy) da François Mitterrand, i cui giardini sono molto frequentati dai parigini. E poi place de la Nation che ospitò la famigerata ghigliottina: dopo le mille esecuzioni in 13 mesi di place de la Concorde qui, in 43 giorni, la lama fece 1.300 vittime, tutte sepolte in fosse comuni nel vicino cimitero di Picpus: tra loro anche il poeta André Chénier e il generale Gilbert du Motier de La Fayette.
Lo slogan rivoluzionario liberté, egalité, fraternité oggi trova la sua più piena realizzazione in queste strade, cuore di una Parigi multietnica, in cui i quartieri popolari si alternano a sobborghi alla moda. Non a caso al Palais de la Porte Dorée ha sede la Cité Nationale de l’Histoire de l’immigration, che racconta le diverse ondate di immigrati nei secoli. Ci sono anche gli italiani, oggi proprietari dei ristoranti più chic del quartiere.
Il secondo giorno suggeriamo di dedicarlo al nuovo quartiere di Bercy che ha il suo cuore pulsante nel Parc de Bercy dove si trovano il Palais Omnisports, la cui struttura trapezoidale è ricoperta all’esterno da un soffice prato all’inglese (vedrete i tosaerba fare su e giù) e la Cinémathèque Française nell’ex American Center creato da Frank Gehry, che ospita una collezione permanente dedicata alla storia del cinema. Godetevi la passeggiata nel delizioso e romantico parco, tra orti, frutteti e nove giardini a tema con pergolati e vigne (questo è il quartiere del vino...). Percorrete la terrazza alta otto metri che separa il parco da rue Georges Pompidou fino a raggiungere i Pavillons, gli ex padiglioni del vino, in Cour Saint-Émilion: una prima parte è occupata da bar e ristoranti; la seconda è il Musée des Arts Forains. Dopo la visita (due ore circa), dal museo alla Senna è un attimo: niente di meglio allora di un aperitivo su quai de la Gare secondo la moda parigina: sedia a sdraio (pardon, chaise longue) e vin blanc!
E l’indomani? natura, natura e ancora natura, ovvero Bois de Vincennes. Una intera giornata nel verde? Beh, una giornata è poco per questo immenso parco, che è tre volte il Central Park di New York e quattro l’Hyde Park di Londra. Ma anche se vi dedicherete poche ore vi resterà impresso. Qualche numero: 994 ettari e oltre 145mila alberi (in origine era una riserva di caccia del re). I parigini lo prendono letteralmente d’assalto la domenica per il tradizionale picnic, ma, viste le dimensioni, si trovano facilmente angoli tutto sommato tranquilli. Seguite la tradizione del déjeuner sur l’herbe e portatevi da mangiare: all’uscita della fermata della metropolitana di porte Dorée c’è un mercato aperto la domenica mattina che offre di tutto. Potete noleggiare una barca, e remare placidamente sulle acque di ben quattro laghi, o una bici (vi consiglio avec panier, con il cestino per mettere le borse) e pedalare per chilometri tra ponticelli, stradine e veri e propri tratti di bosco selvaggio dove si può arrivare anche a cavallo. Oppure sfrecciare sui rollerblade lungo le piste dedicate (fate attenzione, i parigini li usano molto e sono pochissimo tolleranti coi pedoni). Oltre al Parc Floral, 35 ettari di piante e fiori, da non perdere lo Château de Vincennes, che fu una prigione diremmo oggi per vip: qui infatti soggiornarono il filosofo Denis Diderot, il marchese de Sade e la regina Maria Antonietta.