di Salvatore Giannella | Foto di Vittorio Giannella
Dopo il successo del film “Il giovane favoloso”, su Giacomo Leopardi, è cresciuto l’interesse per i luoghi legati al poeta di Recanati. Tra questi, Visso, che conserva fortunosamente alcuni preziosi manoscritti originali
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Era una cassetta d’acciaio grande quanto un autoradio il posto buio e senza orizzonti dove ha abitato per mezzo secolo L’Infinito, il manoscritto originale della poesia universalmente più amata e commentata di Giacomo Leopardi.
È toccato a chi scrive l’emozione di assistere alla “liberazione” del prezioso manoscritto, prima tappa per il suo viaggio che lo ha visto lasciare a fine Novecento il chiuso caveau di una banca e tornare alla luce, finalmente e definitivamente, tra i “monti azzurri” di leopardiana memoria, quei Sibillini che oggi sono tra i più incantevoli parchi nazionali di tutta Italia e che ieri furono fonte di “pensieri immensi” e di “dolci sogni” per il poeta. Più precisamente, nel Museo civico diocesano di Visso (Mc), sede del parco dei Sibillini, stupendo borgo medievale ricco di storia e di opere d’arte, oggi anche Bandiera arancione del Tci; qui i suoi amministratori hanno voluto conservare gelosamente, già dal 1869, alcuni importanti manoscritti leopardiani a cominciare proprio da L’Infinito.
Come mai quei 15 endecasillabi sciolti e altre carte autografe erano finiti in questo borgo distante da Recanati? C’entra la reale frequentazione della famiglia Leopardi a Visso, come fa pensare la presenza nello stemma di famiglia (il leopardo sorreggente un giglio) che appare in più luoghi a Visso? C’entra il fatto che, alcuni decenni dopo la morte del poeta, una figlia del conte Giacomo junior, Maria Giacoma Vincenza, sposò Anton Maria Bonelli di Visso? È forse per questa via che arrivarono qui da Recanati i manoscritti leopardiani? «No», mi chiarì il sindaco di Visso Alessandro Lucerna, classe 1933. «Arrivarono via Bologna. E va dato merito al mio predecessore di un secolo fa, il sindaco Giovan Battista Gàola-Antinori, che acquistò i manoscritti di sua tasca, per una cifra allora enorme (400 lire) da Prospero Viani, preside del liceo Galvani di Bologna. Viani fu un accanito raccoglitore delle opere leopardiane provenienti dagli amici del poeta tra i quali l’avvocato Pietro Brighenti, proprietario di una tipografia nel capoluogo emiliano, la Stamperia delle Muse, che nel 1826 pubblicò il gruppo di manoscritti destinati all’archivio comunale di Visso. Nel 1868, trovandosi in difficoltà economiche, Viani fu costretto suo malgrado a disfarsi di una parte della sua raccolta: e cioè i sei Idilli (L’Infinito, La Sera del giorno festivo, La Ricordanza o Alla Luna, Il Sogno, Lo Spavento notturno, La Vita Solitaria), i cinque Sonetti in persona di ser Pecora fiorentino beccaio; l’Epistola al conte Carlo Pepoli; la prefazione alla seconda edizione del Commento alle rime del Petrarca e 14 lettere indirizzate all’editore milanese Stella.
Per la vendita, Viani si rivolse al suo amico deputato al Parlamento, l’avvocato Filippo Mariotti. Costui, legato da stima e amicizia al sindaco di Visso (anche lui deputato), gli propose l’acquisto dei manoscritti e l’affare fu concluso: 400 lire, con tanto di regolare ricevuta. Il 24 marzo 1869 una lettera di Mariotti accompagna le preziose carte al sindaco di Visso: Caro amico, ecco i manoscritti leopardiani che Visso conserverà per suo ornamento e per gloria d’Italia». Visso li conservò in municipio ma per pochi anni. Perché una giusta preoccupazione per conservare i manoscritti, ha spinto precedenti amministratori a trovare una sistemazione più sicura da eventuali furti. E per questo motivo L’Infinito fu deposto nel dopoguerra in una cassetta di sicurezza di una banca della vicina Camerino.
Giorgio Marcolini, direttore della centralissima Banca delle Marche, ci accolse sorpreso: «Sono arrivato in questa sede una settimana prima del terremoto che ha scosso parte di Umbria e Marche e confesso quindi che non avevo avuto il tempo, fino al vostro arrivo, di sapere del tesoro che custodivamo».
Accompagnato dal sindaco e da me, il direttore scese nel caveau e giunse davanti alla cassetta con due serrature: inserì la sua chiave seguito dal sindaco che manovrò la seconda, ed ecco venire alla luce L’Infinito e le altre carte ingiallite dal tempo.
Un’emozione incancellabile: chi ha visto le cartoline che riproducono l’originale trova che la differenza è tale e quale a quella che passa tra vedere un amico in fotografia e incontrarlo di persona.
Sempre caro mi fu quest’ermo colle / questa siepe, che da tanta parte / dell’ultimo orizzonte il guardo esclude…
Nei 15 endecasillabi, una sola incertezza del poeta: nelle ultime righe, dove recita: Così tra questa / immensità s’annega il pensier mio: / e il naufragar m’è dolce in questo mare, la mano esitante di Giacomo cancella il termine “immensità” e lo sostituisce con “infinità”.
Davanti ai manoscritti, il sindaco s’impegnò a farli tornare a Visso e a trovare una nuova sede più degna per le carte. Impegno mantenuto. «Dal 2004 i manoscritti leopardiani sono stati accolti nel Museo civico diocesano allestito nell’ex chiesa di S. Agostino, accanto ad altre opere di pregio, anche del Trecento, nella piazza principale del paese», mi aggiorna il sindaco Giuliano Pazzaglini. L’esilio di quei preziosi versi leopardiani, che poteva essere infinito, si è così concluso.