Il viaggiatore. Il mistero dell'ananas

Che cosa ci fa in un mosaico romano il succulento frutto tropicale scoperto da Colombo e divenuto decorazione e portafortuna nelle case dei marinai inglesi? Storia dell'ananas e delle sue rappresentazioni

Gli uomini e gli animali si spostano da un luogo all’altro, le piante stanno ferme, ben radicate in terra. Così sembra, ma non è del tutto vero: anche i vegetali si muovono, e coi loro spostamenti hanno colonizzato terre lontanissime da quelle d’origine. Un grande viaggiatore è stato l’ananas che – nato nel Brasile meridionale – raggiunse il Centroamerica dove, nel 1494, Cristoforo Colombo lo assaggiò e l’apprezzò così tanto che dovette credere di essere arrivato al Paradiso terrestre. Suo fratello Ferdinando scrisse che quei frutti somigliavano a «pigne verdi come le nostre, benché assai maggiori, dentro piene di massiccia polpa, come il melone e di molto più soave odore e sapore». La pensavano così anche gli indios brasiliani Tupi Guaranì che infatti lo chiamavano nana, parola che significa squisito, profumato, e che i portoghesi cambiarono in ananaz, da cui viene il nome con cui lo conosciamo.

Gli spagnoli invece trascurarono il sapore e lo battezzarono a colpo d’occhio: piña, cioè pigna, nome che gli inglesi addolcirono innestandolo su un melo: pineapple. Il primo a occuparsene diffusamente fu lo scrittore spagnolo Gonzalo Fernández de Oviedo che, nel 1535, letteralmente rapito dalle molteplici delizie della piña la definì «la dama mas bella y maravillosa del mundo vegetal». Nonostante tanto slancio poetico, si racconta, il re di Spagna Carlo V si rifiutò di assaggiare quel profumato frutto del Nuovo Mondo sospettando chissà cosa. Ma non fermò la marcia dell’ananas, e perse un’occasione ghiotta. Fu comunque un piccolo incidente di percorso: l’ananas era ormai lanciato alla conquista del pianeta accompagnato da una quantità di significati augurali che tuttora resistono, soprattutto nel mondo anglosassone dov’è sinonimo di benvenuto, di ospitalità e di ricchezza.

L’origine di questo simbolismo pare sia dovuta alla bizzarra abitudine dei capitani delle navi inglesi che, di ritorno dalle Americhe, appendevano alla porta di casa un ananas per avvertire tutti che erano tornati sani e salvi dal lungo viaggio: un implicito invito a entrare e festeggiare insieme. Da allora gli ananas cominciarono ad abbellire le facciate dei palazzi nobiliari, a crescere tra gli intarsi dei mobili, a salutare dalle cancellate dei giardini e a stendersi sui tappetini davanti alle porte. Fra i tanti, spicca quello ideato dallo scozzese John Murray, quarto conte di Dunmore, che nel 1761 fece costruire nelle vicinanze di Airth – una quarantina di chilometri a ovest di Edimburgo – una villa di campagna a forma di ananas che regalò alla moglie lady Charlotte Stewart; una variante della storia racconta che il tetto a forma di ananas fu realizzato dieci anni dopo il dono dell’edificio, quando il conte rientrò dall’America dov’era stato governatore di New York e della Virginia. Comunque sia realizzò il più singolare monumento all’ananas e Dunmore Pineapple è oggi una delle attrazioni turistiche della Scozia.

Ma la storia dell’ananas fa tappa anche da noi, con una presenza quantomeno enigmatica. Questo frutto originario dell’America arrivò in Europa dopo il viaggio di Colombo, eppure a palazzo Massimo alle terme di Roma, sezione del Museo Nazionale Romano, è conservato un mosaico databile tra la fine del I secolo a.C. e l’inizio del I secolo d.C., in cui si vede un cesto di frutta con fichi, mele cotogne, uva nera, alcune melagrane e un ananas; o qualcosa che gli somiglia davvero, tanto che nessuno è in grado di dare una spiegazione. Per questo circolano ipotesi diverse: si tratta di una pigna, e le foglie sono aghi di pino; è l’opera di un restauratore poco ferrato in storia, e altre ancora meno convincenti. Così qualcuno sostiene che gli antichi Romani siano
andati e tornati dall’America, per assaggiare un ananas. Una storia che sa di favola.

Fotografie di Viviano Domenici