di Federico Geremei | Fotografie di Mattia Zoppellaro
Ha un millennio di storie da raccontare e un carattere molto indipendente, forte di una tradizione ricca di inventiva e densa di avventure. Bristol – città natale della star di Hollywood Cary Grant e (forse) di Banksy, il graffitaro più misterioso e celebrato del pianeta – quest’anno è la Capitale Verde europea. Tra mongolfiere, dj-set e biciclette, la città inglese è più viva che mai
La sorgente dell’Avon è vicina ma le sue acque compiono un giro lungo. Lasciano il Gloucestershire, solcano il Wiltshire di Stonehenge e sfiorano i Cotswolds, rientrano poi nel Somerset e bagnano Bath. Quando arrivano a Bristol hanno già percorso oltre un centinaio di chilometri. Non è però lo stesso Avon di Shakespeare, ce ne sono altri quattro in Inghilterra. Visto dal fiume l’ingresso in città è teatrale: le pareti si alzano per decine di metri e formano una gola che ospita piante assenti nel resto del Regno Unito. Le scarpate fanno da cavea maestosa a un paio di anse che paiono facili da domare, le maree però qui hanno ingannato barcaioli e ammiragli.
Il fil rouge di un viaggio a Bristol unisce i suoi venti quartieri, altrettante perle di una collana aggrovigliata. Sono tutte diverse, ognuna brilla di riflessi interni e lancia bagliori distinti. Una città-grappolo, multipla. È tenuta insieme da tre elementi – ingegno, indipendenza, creatività – e un collante: il radicamento orgoglioso di ogni bristoliano per la comunità da cui proviene. E, quest’anno, da un riconoscimento: ha ricevuto, prima città inglese, il titolo di Capitale Verde europea da Copenaghen e nel 2016 lo passerà a Lubiana. Punta su energia, rifiuti, cibo e trasporti ideando nuove formule di partecipazione per i residenti.
Qualche esempio? Il progetto Bristol 99 vede cittadini comuni, accademici e studenti ritrovarsi per censire aree verdi. La sfida di Tree-Pips è quella di un nuovo albero piantato per ogni studente delle elementari. Retorica naive? Forse. Ma non importa, c’è comunque molta sostanza in questa Bristol Capitale Verde per un anno. Le iniziative del Bristol Food Network vanno dagli orti urbani ai picnic comunitari, aggiornano l’archivio Get Growing, (mappa dei giardini sociali urbani) e integrano l’intraprendenza critica della società civile. È nella mobilità che Bristol si muove, con slanci green più curiosi e innovativi. Quella su rotaia parte dal restyling della stazione di Temple Meads mentre viene razionalizzata quella sull’acqua (circa metà del territorio bristoliano è terraferma, sul resto si naviga). Alle tradizionali pattuglie volanti di aeroplani e di mongolfiere (in agosto qui si tiene il più importante festival europeo di palloni aerostatici) si aggiungono quest’estate i solar balloon alimentati grazie a pannelli fotovoltaici e avveniristici biposto elettrici.
Tornando a terra: autobus che viaggiano bruciando scarti destinati alle discariche, prototipi di autovetture a bassissimo consumo (e senza guidatore) e l’alba di una nuova era del traffico: sistemi intelligenti di lettura automatica delle targhe dei veicoli e la draconiana rivoluzione annunciata negli schemi di parcheggio. Un contesto assai dinamico, dunque, che dà vita quest’anno al Green Tech Festival: una specie di expo permanente sulle tecnologie verdi, punto di incontro tra investitori e istituzioni, curiosi e scettici. Seguiamo il «made in Bristol» dal dubstep (musica elettronica da 140 battiti al minuto) alla street art, passando per barili di sidro (il più buono del Paese), liutai, mecenati, vecchi e nuovi spazi. Ha due anime, Bristol: quella centripeta s’annoda con lo slancio verso il mondo. Anime che si rincorrono e integrano sui dock.
Il nuovo centro è il Watershed, la darsena del porto galleggiante. Creato per le operazioni di carico e sbarco senza subire i capricci di correnti e maree, è stato chiuso quarant’anni fa. Negozi e ristoranti su una sponda, il passaggio pedonale Pero’s bridge in mezzo e il Narrow quay dall’altra parte. Qui affaccia Arnolfini, centro culturale e d’arti varie. Creato nel 1961, s’è trasferito nell’imponente ex magazzino portuale Bush House. Due curiosità, entrambe hanno a che fare con il Belpaese. Arnolfini è il cognome di Giovanni, mercante lucchese e consigliere di Filippo il Buono duca di Borgogna, ritratto insieme alla moglie da Jan Van Eyck nel 1434. Ispirandosi a quel dipinto il fondatore Jeremy Rees ha scelto il nome per la sua creatura. L’altro italiano è seduto, i gomiti sulle cosce, la giacca stropicciata da venti salmastri e spruzzi, l’aria stanca. È fatto di bronzo, sta a pochi metri dall’edificio ma volta le spalle e guarda il mare. Di chi si tratta?
Chi viaggia a Bristol si imbatte sovente nelle tracce di un personaggio e ci mette un po’ a capire chi sia. Nel caso di Banksy – lo street artist più famoso al mondo e provocatorio genius loci – non è detto che ci riesca: le sue opere punteggiano decine di muri in città ma la sua identità non è nota. Il marinaio seduto si chiama Giovanni Caboto, navigatore italiano che ha scoperto il Canada. Qualche passo oltre il canale e uno indietro. Il Clifton Bridge – palco d’acciaio e mattoni sospeso tra le rocce, mega icona cittadina – ha appena compiuto un secolo e mezzo di transiti. È uno dei vanti di Isambard Kingdom Brunel, l’ingegnere della Paddington station e della Great Western Railway che collega Londra con Bristol. Dalle traversine alle bitte, sir Brunel ha lasciato il segno anche altrove in città. Un luogo su tutti, la Great Britain. Varata nel 1843, ha segnato un record dopo l’altro. Coi suoi 99 metri di lunghezza è stata la nave passeggeri più grande al mondo. Ha fatto la spola con l’Australia, è stata usata durante la guerra di Crimea e abbandonata alle Falkland. Fino al recupero nel 1970 e l’ormeggio definitivo, nel cantiere in cui venne costruita.
L’epopea marinara di Bristol è un condensato di imprese e personaggi, statistiche e primati. Col vero e il verosimile a rincorrersi, alterna pagine gloriose e vicende meno nobili. Tra le prime quella di Caboto. Aveva allestito cinque imbarcazioni per tentare una variante della rotta di Colombo e alla fine ne salpò solo una, il Matthew: da Bristol al Canada e ritorno. Le pagine superate ma non dimenticate sono quelle del commercio degli schiavi. Ha fatto la fortuna di Bristol, snodo cruciale tra l’Africa e i Caraibi nel Settecento e di molti mercanti di zucchero, tabacco, tè. Ed esseri umani, appunto. Storie raccolte nel museo cittadino M Shed, che ne racconta vicende e risvolti, vale la pena farci un salto per saperne di più su questo triste capitolo e su tanti altri, di segno opposto, della storia cittadina. C’è posto anche per corsari e naufraghi. Barbanera – quello dei Pirati dei Caraibi – pare fosse nato a Bristol, così come Woodes Rogers. Fu lui a salvare Alexander Selkirk, spiaggiato all’isola di Juan Fernandez e a portarlo qui. Avrebbe così ispirato Daniel Defoe per il personaggio di Robinson Crusoe, dopo avergli raccontato i dettagli davanti a qualche boccale del pub Llandoger Trow, in King Street. La parentesi pop si chiude con Wallace & Gromit, partoriti da Aardman Animation, locale studio di animazione vincitore di svariati Oscar. E Cary Grant? La sua storia è emblematica del carattere con pochi fronzoli della gente di qui: il bristoliano prestato agli States da teenager fu espulso da una scuola locale, oggi è una statua con una mano in tasca, smoking e papillon. Non c’è solo finzione, però: in città ha sede anche la Bbc Natural History Unit, la struttura che realizza documentari naturalistici e storici più prolifica al mondo.
A proposito di natura, un po’ di propulsione muscolare non fa male. A partire dalle due ruote: non è un caso che Sustrans, organizzazione leader nel Regno Unito nello sviluppo di mobilità alternativa a piedi e in bicicletta, sia stata fondata a Bristol e che qui abbia il quartier generale. I quattrocentomila bristoliani – un milione nell’area metropolitana estesa – hanno duecento chilometri di percorsi ciclabili. Tanti di loro pedalano ogni giorno, rain or shine, e si danno appuntamento ovunque. Due luoghi su tutti. Il Mud Dock al 40 di the Grove è una mini-cittadella per ciclisti: negozio, officina e caffè sullo stesso molo a cui è ormeggiato il Thekla, lo spazio galleggiante per performance musicali e non, lanciato negli anni Ottanta dal bizzarro Viv Stanshall. Roll for the Soul (Quay Street 2) è un bike-cafè fulcro di iniziative e ristoro per quadricipiti e palati. Chi vuole saperne di più segua i ciclo- racconti del progetto Böikzmöind (documentario che segue gli amanti dello scatto fisso in giro per la città) e segni tre appuntamenti per giugno: la World Naked Bike Ride, il campionato di biciclette elettriche e la Bristol’s Biggest Bike Ride.
I saliscendi sono parecchi a Bristol, meglio camminare per attraversare Queen Square. È un enorme slargo quadrato, quasi una piazza d’armi. Intitolata a una regina (Anna) ma con la statua di un re al centro (Guglielmo III). Le vie si stringono e si arrampicano intorno ai gradini di Christmas steps: qui c’è il laboratorio di John Stagg che da quarant’anni produce solo archetti per violini, viole e violoncelli in legno di Pernambuco (al 10). E a pochi passi il Bristol Cider shop (al 7). Il vicino mercato coperto di St. Nicholas vale visite ripetute per il contenitore (una graziosa struttura settecentesca) e per il contenuto: Farmer’s Market il mercoledì, Food Market il venerdì e ogni giorno il Nails Market, ricco di chincaglierie varie. Non distante l’Old Corn Exchange rammenta l’opulenza e l’indipendenza della città. Lo fa con la terza lancetta dell’orologio che segna l’ora di Bristol (due minuti indietro rispetto a quella di Londra) e i piedistalli su cui si contavano soldi e chiudevano affari. Del resto la prima banca fuori da Londra è nata qui, era il 1750. E qui si usa il Bristol Pound: una delle valute alternative più diffuse e avanzate, serve a pagare alcune tasse locali ed esiste in forma elettronica certificata. George Ferguson è il primo sindaco eletto dai cittadini e non nominato dai partiti. «Eletto ed elettrico», scherza con Touring. Sul suo profilo twitter si definisce establishment rebel. «E molto resistente alle critiche, con una lunga storia di impegno nell’ambiente e nel rinnovamento urbanistico. La nuova sfida di Bristol sta nel coniugare equità e sviluppo, modernità e cambiamenti sociali».
Il tour tra innovazione e autonomia potrebbe continuare. Ashley Vale è un esperimento di comunità autosufficiente: edilizia a basso costo, recupero di aree dismesse e nuovi rapporti di vicinato. Stokes Croft è il modello di riferimento per i duri e puri della partecipazione alla vita di quartiere. Da malfamato a popolare, non cede alle tentazioni hipster e mantiene un’identità popolare. Trendy ma non modaiolo, si reinventa di continuo come epicentro della vita culturale di Bristol. Cos’altro aggiungere? Quello che non c’è più, ma che rinascerà, e i nuovi progetti. Nella prima lista il centro aerospaziale di Filton, dove si producevano i Concorde. Nella seconda The Wave, il sogno di una grande piscina per fare surf da onda senza per forza andare in Cornovaglia. Benvenuti a Bristol, metropoli d’inventori e centro del proprio mondo.