di Isabella Brega
La Reggia legata alle vicende personali dei Re d’Italia è tornata all’antico splendore. E i monzesi si sono riappropriati di un pezzo del proprio patrimonio artistico
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Un colpo di pistola. E tutto cambia. È la sera del 29 luglio 1900 quando a Monza, a 300 metri dalla residenza di villeggiatura dei Savoia, l’anarchico Gaetano Bresci assassina Umberto I di Savoia, il “Re Buono”, al termine delle premiazioni di un concorso ginnico. È il 16 settembre 1914 quando a Sarajevo lo studente serbo Gavrilo Princip scarica la sua pistola contro l’arciduca Francesco Ferdinando e sua moglie Sofia. Questa la scintilla che causa lo scoppio del primo conflitto mondiale; quella di 14 anni prima, invece, l’inizio di una guerra non dichiarata contro la Villa Reale di Monza. L’inizio dell’ostracismo, della rovina cui un re ha condannato per oltre un secolo il grande palazzo neoclassico a U, eretto nel 1777 per volere dell’imperatrice Maria Teresa d’Austria, passato di mano in mano e donato da Vittorio Emanuele II al figlio Umberto e a Margherita per il loro matrimonio nel 1868.
Il nuovo re, Vittorio Emanuele III, sigilla gli appartamenti paterni, chiude la residenza di villeggiatura tanto amata dal sovrano defunto (anche perché la sua amante Eugenia Attendolo Bolognini risiedeva a Vedano al Lambro), e ne trasferisce gli arredi al Quirinale, a Roma. Amore e odio. Insieme ai suoi battenti si chiude tutta un’epoca. Il sobrio edificio neoclassico progettato dal Piermarini si trasforma nel chiuso e impenetrabile castello della Bella Addormentata: porte sprangate, persiane serrate, muri sbrecciati, muri scoloriti. Un palazzo fantasma, un enorme guscio vuoto e solitario. Così la vedono per decenni i monzesi, che finiscono per non farci più caso, quasi dimenticandosene.
I sontuosi giardini all’inglese perdono la loro fisionomia, travolti dall’esuberanza della natura. Solo il roseto impiantato nella seconda metà del xx secolo, uno dei più importanti d’Europa, conserva la sua dignità, ospitando per anni a maggio il Concorso internazionale della rosa. Piano piano l’oblio cade sul corpo centrale di rappresentanza, sulle due ali laterali con le stanze padronali e quelle riservate agli ospiti e sulle due sezioni perpendicolari destinate alla servitù e ai servizi: 700 ambienti costati all’imperatrice d’Austria ben 70mila zecchini. La villa resta all’onore delle cronache solo per il grande parco di 750 ettari, il più grande parco recintato d’Europa, voluto da Eugenio di Beaurharnais come tenuta agricola e riserva di caccia, rifugio domenicale di tante famiglie milanesi, e per l’omonimo, celebre autodromo.
Poi l’8 settembre 2014 la Bella si risveglia. Si riaprono le porte, si spalancano le finestre e la vita torna a scorrere. Dal piano terra, ricco di mosaici liberty, occupato ora dal bookshop e dai raffinati ma non ingessati ambienti de Le Cucine di Villa Reale che, nel lounge bar e nei due ristoranti, Conviviale e Gourmet, serve i piatti della tradizione lombarda, al primo piano nobile, con le stanze di rappresentanza di Umberto e Margherita. Ambienti ammodernati dagli architetti Achille Majnoni d’Intignano e Luigi Tarantola, con la sala delle feste, quella del trono, gli ambienti della regina e quelli del re, tutti dotati di riscaldamento e luce elettrica. Qui si trova anche la stanza da letto dove, con la Corona Ferrea ai piedi del catafalco, fu esposto il corpo del sovrano in attesa dell’arrivo del figlio ed erede. Il secondo piano nobile, con gli appartamenti per gli ospiti, tutti ori e stucchi, è ora sede per mostre ed esposizioni, come quella di Steve McCurry.
Di grande suggestione il Belvedere, che dal 13 dicembre ospita una selezione di icone della Collezione permanente della Triennale, con le star del design italiano appoggiate su semplici casse di legno da imballo. Altrettanto suggestivo l’allestimento del Belvedere stesso, firmato da Michele De Lucchi. Niente stucchi e dorature ma travi di legno a vista che dialogano con tubi d’acciaio, pareti grezze e uno straordinario affaccio sul parco. E i graffiti lasciati dalle famiglie istriane sfollate qui nel dopoguerra. Un ritorno alle origini quello degli oltre 200 pezzi di design italiano dal 1945 a oggi. Non a caso dalla Brianza, culla del design italiano, provengono maestri del calibro di Antonio Citterio e Piero Lissoni. Qui negli anni Venti è nato l’Istituto Superiore Industrie Artistiche e qui sono state allestite le prime Biennali, trasformatesi poi nella Triennale milanese. Ma la Reggia ospita anche il Serrone, 100 metri e 26 finestroni affacciati sul roseto, destinato a spazio espositivo, la Rotonda con gli affreschi di Andrea Appiani, il teatrino neoclassico e la cappella.
Una villa di gioie e di dolori. Un mondo a parte, come sottolinea il vialone che ne enfatizza la prospettiva, spezzata dal braccio su cui si innesta la Cappella Espiatoria, sorta sul luogo del regicidio. All’estremità opposta, fronte alla villa, il mondo corre a perdifiato, la nevrotica statale 36, canalizza ogni giorno migliaia di pendolari. Ma ora che la Reggia è tornata tale e ha ripreso il ruolo che le spetta, anche la città, con il suo Duomo spettacolare, ha ricomposto la propria identità e ritrovato il proprio baricentro. Monza è Monza, non la periferia nord di Milano.