di Marta Calcagno Baldini
Caotica, energica, vitale, creativa, giovane. Dal Paese delle aquile soffia un vento di novità. È la nuova destinazione del Mediterraneo. E non solo per il mare.
Ismail Kadaré, l’autore albanese più volte in odore di premio Nobel, ha scritto che l’eroe nazionale albanese Giorgio Castriota Scanderbeg era chiamato il “non-compianto” nei documenti ufficiali ottomani. Negli anni tra il 1443 e il 1468, fu lui a guidare la resistenza contro i dominatori turchi dal suo castello di Croia (Krujë), piccola città sui monti a una trentina di chilometri da Tirana, ritardandone per anni la conquista e la sottomissione. E non basta. Secondo gli albanesi che si incontrano nel “Paese delle aquile” (così chiamato dal vessillo di Scanderbeg, tutt’ora bandiera nazionale) il suo merito è ben superiore: riuscì a difendere non solo l’Albania, ma tutta l’Europa dall’attacco dei turchi nel loro periodo di massima espansione. Un’affermazione orgogliosa, certo, ma anche una strizzata d’occhio a italiani, greci, rumeni, croati, polacchi fino ai francesi, olandesi, tedeschi...
Ora, dopo oltre mezzo secolo di isolamento internazionale, aperti i confini e spalancatasi all’Europa, la nuova Albania guarda con interesse verso il Mediterraneo, allaccia rapporti economici e costruisce ponti artistici e scambi culturali. Gli albanesi oggi sono accoglienti, simpatici, ospitali e disponibili, sembrano sempre pronti, sia tra le montagne sia sulla lunga costa adriatica a tentare di risolvere con la loro generosa disponibilità ed entusiasmo le inevitabili lacune organizzative e logistiche che ancora si presentano numerose ma sormontabili.
Questo è il racconto di un viaggio alla scoperta del Paese, dal porto di Durazzo (Durrës in albanese) alla capitale Tirana (Tiranë), ad Argirocastro (Gjirokastra) e lungo la costa punteggiata di belle spiagge e siti archeologici romani.
A Durazzo si arriva comodamente in nave da Bari: l’antica capitale albanese è città dai mille colori, chiassosa e vacanziera sul lungomare popolato di spiagge, locali e ristoranti, ma sorprendentemente ricca di scoperte archeologiche appena all’interno. Certo, fa effetto il contrasto tra i grattacieli bianchi costruiti sul lungomare e il vicino anfiteatro romano del II secolo d.C. Presto, però, si scopre che che tutto ciò è oggi parte integrante e sale del viaggio in Albania.
Il benessere degli ultimi anni non contempla ancora la stessa cura e la conservazione dell’ambiente e dell’estetica urbana. D’altra parte dopo il periodo comunista, che era stato caratterizzato dalla soppressione di qualsiasi manifestazione libera della fantasia, si è passati, come reazione, a un modo di esprimersi perfino esagerato. Del duro periodo della dittatura filocinese l’Albania porta ancora cicatrici visibili come il Monumento ai Martiri sul lungomare, tra nuovi palazzi e locali serali, con il nerboruto soldato che brandisce il fucile in posizione di assalto. Eppure quello stesso soldato che vorrebbe incutere rispetto, la sera è circondato da frotte di bambini che corrono da una giostra all’altra e di giovani che ti si rivolgono in italiano. La maggior parte degli albanesi conosce infatti la nostra lingua, imparata guardando la televisione. La vicinanza dell’Italia è peraltro palpabile dappertutto a Durazzo, perfino nel profilo delle case e nell’impronta lasciata negli edifici pubblici dalla nostra architettura razionalista, sia nel Municipio (ex sede del consolato italiano) sia nella Casa Tedeschini (oggi grazioso b&b nel cuore del centro storico).
In mezz’ora d’auto, da Durazzo si arriva a Tirana, città dal fascino vibrante e con un’allegria finalmente conquistata dopo le angherie subite, tra la seconda guerra mondiale e gli anni del duro regime del dittatore Enver Hoxha morto nel 1985. Anche qui gli architetti italiani durante l’occupazione fascista non tardarono a costruire palazzi secondo il gusto dell’epoca. Uno degli esempi più significativi, oltre all’Università (copia ridotta de La Sapienza di Roma), è il teatro Nazionale, Teatri Kombetar, all’interno dell’ex Casa del Popolo, il Dopolavoro, innalzato dai coloni italiani in Rruga Sermedin Said Toptani, la via della Galleria d’Arte nazionale. Il Dopolavoro comprende l’ex cinema, ora teatro contemporaneo di drammaturgia, e una piscina pubblica. In questo punto della città si è vicini da una parte al fiume Lana, che attraversa la città, e dall’altra al luogo forse più emozionante della capitale, piazza Scanderbeg. L’ampia area è un ritratto di quello che Tirana è stata durante gli anni della dittatura e di ciò che è rimasto. La mega statua in bronzo di Hoxha è stata abbattuta nel 1991; resta invece in sella l'eroe nazionale che domina la moschea di Et’hem Bey, uno degli edifici più antichi di Tirana (1789).
La monumentalità che si respira in piazza è dovuta anche al Museo nazionale di Storia, che riporta sulla facciata un grande mosaico, una specie di Quarto Stato in versione balcanica. A fianco, l’immancabile palazzo della Cultura, che però oggi ospita un teatro, negozi e gallerie d’arte e una specie di casinò. Le auto attraversano veloci la piazza e sfrecciano davanti alle file ordinate di case popolari, prima anonime, ma oggi inaspettatamente colorate con tinte sgargianti per volontà dell’ex sindaco, ora primo ministro, Edi Rama, un politico con un passato da artista. Il quartiere più di tendenza e d’avanguardia è Biloku, fino al 1991 zona off limits ai comuni cittadini e riservata alla nomenclatura del partito. Qui, tra l’Università, il Museo archeologico e l’ex residenza di Hoxha, edifici severi, dall’architettura di regime, sta rinascendo la vita culturale e artistica: proliferano negozi di moda, ristoranti, bar e gallerie d’arte frequentati dai giovani.
Simbolo della trasformazione in città è la faraonica Piramide di cemento, vetro e marmo bianco, progettata dalla figlia di Hoxha come futuro Museo per il padre e trasformata con disprezzo in palestra dai giovani freeclimbers urbani.
Da Tirana è consigliabile una gita a Croia (Krujë), luogo natìo di Scanderbeg; il Museo dedicato all’eroe nazionale contiene reperti storici albanesi delle sue vittoriose battaglie.
Il tour del Paese non può non prevedere il decantato mare albanese; prima però, è fondamentale una sosta ad Argirocastro, antica città del Duecento paese natale di Hoxha e di Kadarè. Circondata dai monti, è caratterizzata da un borgo antico di case in pietra sovrastato da un massiccio castello, oggi Museo nazionale degli Armamenti albanesi. All’esterno, sulle mura, il relitto di un aereo militare degli Stati Uniti del 1957, atterrato per un’avaria, ma fatto passare per aereo spia dal regime.
Le ultime tappe del viaggio sono lungo la costa albanese, da sud, da Orikum (mitico luogo dell’agguato di Cesare a Pompeo, battaglia che mise fine alla guerra civile tra i Romani) a Palermo, fino a Saranda (Sarandë), per poi tornare a Durazzo.
Il mare, bello azzurro, presenta una costa ancora intatta, il pesce fresco è ovunque nei ristorantini e le coste sabbiose interrotte da calette riparate sembrano una destinazione ideale per i turisti. I passi da fare però sono ancora molti sia nell’organizzazione dei servizi sia nella capacità di custodire l’ambiente naturale. Infatti cumuli di spazzatura abbandonata, automobili parcheggiate sulla spiaggia e centri balneari improvvisati quanto surreali non depongono a favore di uno sviluppo armonico. Ma altre località come Porto Palermo (nome dato dai contadini siciliani spediti da Mussolini per insegnare ai pastori albanesi come si coltivava la terra) a sud di Himara, è, certamente una bella speranza per il turismo futuro. La baia è isolata, circondata da colline verdi, non ci sono costruzioni e il servizio è discreto e decisamente a buon mercato. Come in tutta l’Albania del resto.