Cuba. L'Avana nuova

Antonio ArmanoAntonio ArmanoAntonio ArmanoAntonio ArmanoAntonio ArmanoAntonio ArmanoAntonio Armano

Souvenir del cambiamento. Dopo la distensione con gli Stati Uniti, Cuba ha avviato un lento (ma evidente) processo di apertura al mondo. Senza perderne in fascino

«L’isola che il tempo ha dimenticato si prepara al cambiamento». La cover story di Time riassume nel titolo la recente svolta delle relazioni tra Usa e Cuba ma soprattutto amplifica una definizione: «l’isola che il tempo ha dimenticato...». Più proustiana che politica, non fosse che è stata la rivoluzione a preservare l’isola – nel bene e nel male – dalla globalizzazione. Qui, in seguito all’embargo, circolano macchine americane anni Cinquanta, i contadini vanno al mercato a cavallo, i sigari si fanno a mano, nelle città si è costruito pochissimo e dominano le architetture coloniali o d’inizio secolo. Non ci sono centri commerciali, internet è agli albori e le persone non sono sempre incollate a uno schermo retroilluminato. Al posto dei cartelloni pubblicitari scritte stinte di propaganda: «Avanziamo senza fretta ma senza fermarci». L’irripetibile cocktail caraibico, il fascino struggente di Cuba, si è mantenuto intatto nel tempo ma si vedono segni di cambiamento. Nessuno sa bene cosa accadrà. Ho chiesto una previsione allo scrittore cubano Padura Fuentes. Ha detto di rivolgermi a una veggente. Si respira insieme all’umidità dell’estate ottimismo e desiderio di novità. Raul Castro è benvoluto. Non è carismatico come il fratello, dicono, ma ha fatto importanti riforme. I cubani si possono spostare liberamente all’estero, per esempio. Se hanno i soldi per farlo... La crisi economica è cronica dal crollo dell’Urss, il rovescio della medaglia. Ci sono molti segnali di fermento. Passeggiando per l’Avana Vecchia di notte si vedono più vetrine. Ci sono nuovi negozi di souvenir, per fortuna ancora non troppi. Un atelier di pittura dà sulla strada ed è possibile entrare. Un giovane pittore che somiglia al Che – a parte le macchie di colore che si sono stratificate sui suoi vestiti – si aggira tra le tele. Noto una piccola porta di legno con sopra dipinto Don Chisciotte. Ricorda il don Quijote de la farola, figura ieratica fotografata da Alberto Korda al tempo della rivoluzione sopra alla folla della capitale cubana, arrampicato su un lampione. Prendo un taxi e cioè una vecchia Chrysler e raggiungo il paladar La Guarida che dovrebbe aver riaperto da poco. Temo che il palazzo sia stato rimesso a nuovo e invece la scala che porta al ristorante è ancora immersa in una gloriosa fatiscenza. Mi dicono che al piano superiore – l’ultimo – La Guarida ha aperto un bar e vado a vedere. Purtroppo è in stile contemporaneo ma la vista sui tetti dell’Avana notturna compensa la delusione. Vado quindi sulla terrazza dell’hotel Inglaterra. Si trova vicino al Capitolio e ha mantenuto la patina del tempo. Qui si beve sempre la migliore limonata di Cuba. Le stanze hanno ancora un prezzo accessibile. Mi dicono che il Diablo Tun Tun, locale del quartiere di Miramar che apriva solo quando gli altri chiudevano, è diventato più popolare e frequentato dai cubani, in particolare il pomeriggio del giovedì con la musica dal vivo. Non più solo after-hour per turisti e jineteras, almeno quel giorno.

Difficile sottrarsi all’Avana ma ci sono anche altre città bellissime. Come Trinidad che raggiungo con un lungo viaggio in autobus attraversando un paesaggio di campi e vegetazione verdissima su cui svettano le palme reali, esili e alte, fatte apposta per sottolineare con ondeggiamenti piuttosto vistosi il vento degli uragani. Arrivo a Trinidad, provincia di Sancti Spiritus, di notte, e vado alla Casa de la Trova, in calle Cristo, dove fanno musica dal vivo nel patio. I pochi turisti sono più giovani e modaioli nella loro trasandatezza calcolata rispetto a quelli della capitale. A due passi è aperto un atelier di pittura che fa anche da bar. Tutto alla buona. Sono esposte tele di artisti contemporanei e compro un ritratto di spalle, un nudo di mulatta. Niente di erotico, quasi un bianco e nero astratto. Ha piovuto e sul ciottolato delle strade, rimasto quello della città coloniale, scorre un rivolo verso valle illuminato dalla luce gialla dei lampioni. Il giorno dopo la pioggia cammino per la città lucida. Ci sono gruppi di scolarette con la divisa blu-azzurra delle studentesse cubane che si assiepano sotto a un ombrello. Di fianco all’atelier c’è una casa che fa da casa particular e cioè da affitta camere. Molte case particular hanno aperto negli ultimi tempi, il governo concede più licenze. Trinidad è patrimonio Unesco dall’88. La casa particular è gestita da Maria Cristina Mendez, maestra in pensione che mi mostra un quadro dove è raffigurato uno zuccherificio. Questa era terra di industria azucarera – ora orientata più sul tabacco per i sigari – ma molti zuccherifici hanno chiuso da quando non esiste più l’Urss da rifornire. La canna da zucchero resta – anche se in misura minore – una risorsa dell’isola e ricordo delle colazioni in un mercatino della Chinatown dell’Avana con il succo di canna prodotto frullando direttamente i fusti legnosi con un rumoroso congegno meccanico in mezzo alla strada. Ora che il tempo si è ricordato di questa isola, vorremmo che il desiderio di novità non prendesse il sopravvento, che molte cose che abbiamo amato non diventino un ricordo. I tempi sono giusti per dare il giusto valore a quello che miracolosamente è sopravvissuto al tempo.