Arizona. Rapido scorre il fiume

Pete Mc BridePete Mc BridePete Mc BridePete Mc BridePete Mc Bride

La discesa in barca del Colorado attraverso il Grand Canyon. Un’esperienza mozzafiato attraverso l’Arizona più selvaggia, tra natura e misticismo

Sono curvo su una barca di legno a chiglia piatta mentre scendo una delle rapide più impegnative del canyon più imponente del mondo e sono sorpreso da tutto quello che sento. Il rumore dell’acqua che si infrange sulle rocce di granito, ovviamente, ma sento anche rumori più piccoli: il cigolio dello scafo, lo scricchiolio dei remi, lo scroscio d’acqua di un canyon vicino. Forse l’adrenalina che scorre nelle mie vene ha amplificato i miei sensi, oppure è perché dormo da giorni sotto un cielo di stelle sulle rive del fiume Colorado. In ogni caso tutto è diventato particolarmente forte. È l’undicesimo di 15 giorni di un viaggio in barca lungo il Grand Canyon e stiamo per approcciare le Lava Falls, le cascate Lava. Un’esperienza che il nostro marinaio ha descritto come «essere buttati giù dalle scale mentre qualcuno ti spara addosso l’acqua da una pompa da giardino». Mi sto seriamente domandando perché abbiamo scelto questo tipo di imbarcazione. Mi aggrappo alla barca che si chiama Okeechobee anche se so che in 35 anni di navigazione sul Colorado, in Arizona, è stata ricostruita almeno cinque volte. Sono con mio fratello più grande, un appassionato di azione e avventure, ma ora lo vedo nervoso mentre controlla che i nostri giubbotti di salvataggio siano ben stretti. Noi due siamo cresciuti sul fiume Colorado, nuotandoci e pescando in estate, e sciando in inverno nei dintorni. Sei anni fa ho seguito il suo corso dalla sorgente sulle Montagne Rocciose, fino al delta nel golfo della California, per scrivere un libro (The Colorado River: Flowing through conflict) e ho visto il fiume “prosciugato” dalla siccità e dalla crescita della popolazione.

Oggi il Colorado non raggiunge più il golfo e lo shock per questa trasformazione mi ha indotto a volerlo conoscere meglio e a proteggerlo. Per questo una mattina di maggio mi imbarco su una carovana di cinque barche in partenza da Lees Ferry per una spedizione di due settimane e 277 miglia. Sulla scelta del tipo di imbarcazione, oltre allo spirito d’avventura, ha inciso molto anche il voler provare a dare un senso a quella che deve essere stata l’avventura di John Wesley Powell, geologo ed esploratore che per primo percorse il fiume e ne permise la mappatura, nel 1869. «Non sappiamo che cascate ci sono, che tipo di rocce, nemmeno quali pareti troveremo lungo il fiume», scriveva Powell. E anche se oggi il fiume è cartografato alla perfezione comincio a capire quello che doveva sentire in quel momento. Mentre scendiamo nel canyon 40 strati di roccia sedimentata indicano il passare del tempo e cerco di ricordarmi le nozioni di geologia imparate a scuola. Per fortuna a bordo le nostre guide sono enciclopedie ambulanti. Sono loro che ci svegliano all’alba per iniziare la navigazione. Nelle prime ore del giorno il fiume è basso, ma già a metà mattinata comincia a gonfiarsi e non è un fenomeno naturale, ma un evento gestito dalle centrali idroelettriche a monte: con l’alzarsi delle temperature in città, serve più aria condizionata, quindi più acqua va pompata per dare più energia. Uno scempio. E non basta. C’è chi sta pensando di costruire attraverso il canyon una funivia per aumentare il numero di turisti e costruire alberghi e altre infrastrutture senza considerare che ci sono ben 11 tribù di nativi americani che vivono intorno al parco nazionale del Grand Canyon e ciascuna di esse considera il fiume sacro ed è contraria allo sviluppo indiscriminato. E lo siamo anche noi.

Al quinto giorno di navigazione, vediamo per la prima volta entrambe le pareti nord e sud del Grand Canyon che incombono sopra di noi, alte 1500 metri. Decido di scendere e fare una passeggiata. Dopo un po’ trovo le rovine di abitazioni di nativi americani che sono sopravvissute 900 anni alle intemperie e agli eventi naturali. Ogni giorno di navigazione offre un’esperienza diversa, ma quella dell’undicesimo, la discesa delle cascate Lava descritta all’inizio, è la più intensa. La portata d’acqua è la più imponente del Grand Canyon e si sente. Per scenderle bisogna aspettare il momento giusto, quando il livello dell’acqua è ottimale. Decido nell’attesa di sbarcare per esplorare la zona. Dopo pochi passi incontro un anziano della tribù Hualapai con in mano piante di tabacco da benedire. Mi dà il benvenuto e io lo ringrazio per la possibilità di visitare la sua bellissima terra. «Sono abituato alla gente che viene qui. Spero solo che la rispettiate» mi dice salutandomi. Il rispetto per questa terra era proprio quello che aveva in mente il presidente Theodore Roosevelt quando vide per la prima volta il Grand Canyon nel 1903 e disse «Lasciatelo così com’è». Nel 1919 divenne parco nazionale e da allora, in effetti, è rimasto integro. Dopo queste riflessioni la discesa delle cascate è impegnativa ed emozionante. La nostra barca Okeechobee costruita, come ci ha detto un marinaio, con carta velina e ossicine di pulcini, resiste. Quando alla sera ci ritroviamo tutti intorno al fuoco a Tequila Beach finalmente ci rilassiamo e le storie, insieme alla tequila, scorrono serene. Siamo tutti d’accordo nel dire che vorremmo ricominciare da capo l’esperienza, senza dimenticare però di lasciare tutto comunque così com’è.