di Marta Calcagno Baldini | Foto di Alberto Campanile/Alinari
Nuovi quartieri emergenti riportano la città polacca agli antichi fasti. Tra teatro, arte e una rilettura della storia tutta proiettata nel futuro
Il clima che si respira camminando per le vie di Cracovia è assolutamente impareggiabile. Ogni angolo di questa città riacquista un senso profondo perché rinasce dalla sofferenza. A soli 40 chilometri da Auschwitz, in quella che è a prima vista una città romantica e delicata, ordinata e pulita, si sono consumate le stragi razziali della seconda guerra mondiale e subito dopo è stata imposta l’uguaglianza povera e senza identità degli anni del regime comunista. Qui, oggi, tutto rinasce e cerca vorticosamente una nuova vita senza mai dimenticare il passato. Cracovia è unica per la sua grinta, che è quella delle centinaia di giovani, e non solo, che si riversano ogni giorno e sera nelle vie, e interpretano il riscatto storico e sociale che tutti i polacchi desiderano. Sono capitata a Cracovia la prima volta nel 2010-11. Seguivo le orme di Tadeusz Kantor (Wielopole, 1914-Cracovia, 1990), artista e uomo di teatro polacco dalla forza poetica ed espressiva inimitabile. Secondo lui l’opera creata è, in estrema sintesi, un modo per dare nuova vita ai ricordi, attribuendo loro un senso alto e una potenza poetica. Un objet trouvet, la spazzatura, ciò che è considerato superato e antico, costituiscono la base essenziale perché ogni opera d’arte viva due volte: una in quanto ora il rifiuto è materia prima del nuovo quadro, installazione, oggetto di scena (il cosiddetto Teatro della morte kantoriano), due perché ogni elemento mantiene anche la sua vita precedente che continua a portare con sé. Ho capito solo dopo esserci venuta che non è un caso che Cracovia fosse la città adottata da Kantor (che si diplomò all’Accademia di Belle Arti, e qui visse la maggior parte dei suoi anni): l’essenza di questo luogo riflette perfettamente la poetica dell’artista per il modo originale, poetico e vero che ha di elaborare il doloroso passato e investire sui ricordi anche tristi per costruire un nuovo futuro.
Kantor aveva creato nel 1981, nel centro storico di Cracovia, la sua Cricoteka, ovvero il luogo in cui riuniva ogni scenografia, costume di scena, articolo di giornale e altro che riguardasse Cricot2, il suo gruppo teatrale, e luogo in cui lavorava con gli uomini e donne che stavano con lui. Kantor avrebbe voluto fondare una Cricoteka di dimensioni maggiori, ma la morte glielo impedì. Oggi, dopo aver attraversato il centro storico e il Kazimierz (quartiere ebreo), attraversando la Vistola, e arrivati nel Podgórze (ex quartiere operaio della città), ci s’imbatte quasi per caso nella nuova Cricoteka, ovvero il nuovo museo, teatro e spazio polifunzionale dedicato a Tadeusz Kantor che ha aperto lo scorso dicembre all’interno di una vecchia fabbrica (in ulica Nadwislanska 2-4). Il “rifiuto” dello spazio di archeologia industriale è stato ampliato con un’originale piano sopraelevato che lascia intatta la vecchia industria, resa teatro, e aggiunge nuovi spazi come a incorniciarla (le sale espositive del Museo): la nuova Cricoteka è quindi ora un centro polifunzionale che da un lato espone a rotazione la collezione d’arte kantoriana e propone le video-registrazioni dei suoi spettacoli, dall’altro seleziona opere e spettacoli di giovani artisti secondo un calendario di mostre, lavori per il teatro e performance. La nuova Cricoteka è stata realizzata in anni di lavoro (se ne inizia a parlare concretamente già nel 2002) anche grazie a un lauto finanziamento europeo, ed è stata inaugurata alla presenza di Ewa Kopacz, primo ministro polacco, in un clima di calore e partecipazione per un progetto culturale e sociale, in cui si respirano i sogni e le speranze per il futuro: «Sono molto contenta di questo risultato – ha detto Natalia Zarzecka, direttore della Cricoteka, in un breve scambio di battute nel giorno dell’inaugurazione –, abbiamo lavorato tantissimo per raggiungerlo e spero davvero riusciremo a realizzare tutti i nostri sogni qui». Con lo stesso spirito di attività, di positività e di curiosità, è rinata, sempre nel Podgórze, anche la fabbrica di Schindler (ul. Lipowa 4): Oskar Schindler fu l’imprenditore tedesco che riuscì salvare numerosi ebrei facendoli lavorare nella propria azienda di oggetti smaltati, azienda che oggi è un museo articolato e ricco di ambientazioni che ricreano la storia della vita in città ai tempi della deportazione. Proprio accanto al museo e sempre parte dell’ex fabbrica, ecco il Mocak, il museo d’arte contemporanea di Cracovia, che ospita una collezione permanente di artisti polacchi e varie mostre temporanee. Questo quartiere industriale è anche il triste luogo in cui si trova plac Bohaterów Getta (piazza degli Eroi del Ghetto), ovvero il luogo in cui i nazisti riunivano di volta in volta gli ebrei per deportarli nei campi di concentramento: oggi 70 sedie di pietra simboleggiano la tragedia della deportazione. Ancora per sottolineare l’energia di una città come Cracovia, sempre pronta a stupire tra rinnovamento e tragedia, non è irrilevante dire che il luogo scelto dai nazisti per riunire gli ebrei e deportarli in origine si chiamava plac Zgody, ovvero piazza della Pace.
Cracovia è espressione diretta del dinamismo costruttivo tipico della Polonia di oggi e la parola d’ordine, l’avrete capito ormai, qui è rinascita. Girare per questa città significa continuare a passare dalla dolorosa storia recente alle continue speranze e investimenti nel domani. Già semplicemente il fatto che il centro storico di Cracovia sia uno dei pochi, in Polonia, che non ha subito distruzioni, non è casuale. Essendo Auschwitz a pochi chilometri dalla città, le bombe tedesche la risparmiarono perché proprio qui risiedevano molti nazisti. Da notare la perfezione delle vie più centrali, in cui le case ancora arrecano un disegno sulle mura esterne, una specie di simbolo che rappresenta il lavoro di chi le abitava (le vie non erano nominate né numerate); o la Torre del Municipio che, lasciata intatta, ripete ancora quotidianamente la tradizione durante la quale un vigile del fuoco in costume suona la tromba per ricordare quello che in origine era un segnale per avvertire la città: l’hejnat (chiamata a raccolta) è la melodia che viene ripetuta ogni ora, in direzione dei quattro punti cardinali. Il suono viene interrotto sempre nello stesso punto in ricordo della freccia di un tataro che nel 1241 uccise il trombettista sentinella di turno che aveva avvistato il nemico e stava per dare l’allarme. E ancora da non perdere, sempre nel centro storico, l’Accademia, ovvero l’Università Jagellonica, di cui fa parte il Collegium Maius, edificio Quattrocentesco dove, un secolo più tardi, studiò anche Copernico. Non si può mancare poi di vedere il Museo della Farmacia, in una palazzina d’epoca e che comprende attrezzature mediche e strumenti farmaceutici del 1800 e 1900. E la piazza del Mercato, attraversata da eleganti carrozze trainate da cavalli bianchi, in cui si trova un mercato coperto, dove acquistare souvenir e artigianato, che fu eretto nel Trecento e ricostruito dopo l’incendio che lo distrusse nel 1555.
La città antica è sovrastata dal maestoso castello di Wawel che domina la collina e in cui si trova la Grotta del Drago (simbolo di Cracovia, come la Sirena lo è di Varsavia): scendendo dal castello verso le rive della Vistola si arriva alla statua di bronzo dello scultore contemporaneo Bronisław Chromy che ha riprodotto il Drago che secondo la leggenda viveva proprio in quel punto per difendere la città. Provenendo dal centro storico e tornando verso le rive della Vistola, il fiume che attraversa la città per poi salire verso Varsavia e Danzica, s’incontra il Kazimierz, antico quartiere ebraico che si propone come un incrocio di chiese (anche cattoliche), esistevano prima che diventasse un quartiere ebraico e rimasero in funzione, di sinagoghe, di ristoranti di cucina kosher, dove si trova anche il museo della Galizia, omaggio alla cultura ebraica e luogo di commemorazione delle vittime dell’olocausto. L’atmosfera qui è già pungente del freddo dei ricordi di esperienze passate, tragiche e dolorose, anche se certamente venire alla sera modera quest’impressione ed è occasione per assaggiare un’ottima cucina in piccoli ristoranti d’eccezione. Laddove c’erano leggi razziali, deportazioni o tentativi di nascondere le persone per farle scampare a una morte certa, oggi c’è rinascita, riflessione e dibattito attraverso l’arte.
Come è già successo a Podgórze e nel Kazimierz, oggi Nowa Huta (Nuove Acciaierie) è l’ultimo quartiere di Cracovia in corso di trasformazione: ci troviamo a est del centro storico. Per arrivarci meglio prendere un taxi (i prezzi in Polonia lo consentono), e chiedergli di percorrere tutte le vie principali di quest’area della città. Arrivano a Nowa Huta anche i tram 4 e 15: che raggiungiate il quartiere in un modo o nell’altro, non c’è da stupirsi se qui non si ritrova nulla della Cracovia del centro storico. Né la storia antica che adorna le vie del centro, né, per ora, le gallerie, i ristoranti e i nuovi centri di aggregazione del Kazimierz o del Podgórze, creano il sapore di quest’area della città che si presenta fin da subito come un vero e proprio esempio storico di architettura socialista. Gli spazi diventano improvvisamente ampi, si percorrono larghissime strade su cui si affacciano casermoni in stile comunista. C’è molto verde, alberi costeggiano i viali, ma ciò non crea un senso di apertura, anzi: case tutte uguali e palazzi costruiti come alveari-dormitorio sono testimonianza di tutte le piccole grandi esistenze di un tempo passato, ma non molto, tra fabbrica e appartamento consegnato dal regime. Nowa Huta è infatti il quartiere operaio per eccellenza di Cracovia, ottenuto dal nulla solo per assecondare le esigenze dell’ideologia imperante, passando anche sopra l’identità della città, più luogo di cultura e artigianato. All’inizio degli anni Cinquanta si decise di dotarla di un’acciaieria (materia prima non disponibile nei dintorni di Cracovia, l’acciaio veniva portato in fabbrica sui camion), e così fu ricavata una città nella città che ruotava intorno allo stabilimento e arrivò a ospitare 200mila abitanti. La fabbrica di Nowa Huta è ancora aperta e, anche se ha ridotto le dimensioni, non è visitabile all’interno. A ogni modo, negli anni Ottanta il quartiere si dimostrò una vena attiva del movimento di Solidarno´s´c, il sindacato nazionale indipendente (non comunista) di cui era presidente Lech Wal˛esa (l’elettricista, anche Premio Nobel per la Pace a cui si deve l’importante sciopero di Danzica nel 1980 e che fu il primo presidente eletto in libere consultazioni). A Nowa Huta è la storia del secondo Novecento a parlare: superate le deportazioni, ancora il tema è la rinascita in nome della ricerca della libertà, questa volta dal regime comunista. Ecco che piazza Centralny oggi si chiama piazza Ronald Reagan, e al posto della statua di Lenin trionfa un monumento appunto a Solidarno´s´c. In piazza si trova anche il museo di Nowa Huta, che racconta appunto la storia del quartiere. Nel progetto originale di tutta la nuova area mancava una chiesa cattolica, ma già negli anni Sessanta gli abitanti cominciarono a presentare domanda per costruirla. L’allora vescovo di Cracovia Karol Wojtyla (futuro Papa Giovanni Paolo II), s’impegnò in prima persona perché anche qui fosse costruita una chiesa, che consacrò lui stesso solo nel 1977, dopo molti anni di insistenze. Ecco infatti che in ulica Obro´nców Kryza sorge imponente la chiesa di Nostra Signora Regina Polonia, anche detta Arca del Signore, un edificio moderno eretto esclusivamente grazie al lavoro di volontari e artisticamente interessante più come testimonianza di un’epoca recente che per effettive rarità di stile o opere particolari. Nella periferia sud orientale di Nowa Huta, ulica Klasztorna, è riuscita a scampare all’architettura di regime e ancora è visitabile la chiesa di S. Bartolomeo, un gioiellino in legno del XV secolo con un monastero cistercense dall’altro lato della strada. Un’ultima segnalazione che permette di rilevare un ulteriore aspetto di Cracovia: la città è circondata dalla natura. Per rendersene conto basta visitare il tumulo di Ko´sciuszko, patriota polacco. Subito a est di Zwierzyniec, infatti (il nome del sobborgo in cui si trova il tumulo), partono i 485 ettari di area boschiva di Las Wolski, accessibili e frequentati dagli stessi abitanti di Cracovia.