di Barbara Gallucci | John Kernick/NGS Traveler
Boschi, cascate, fattorie, orsi e procioni. Lo Stato così vicino (e così lontano) a New York che nei luoghi comuni è solo set per serie tv sui mafiosi, fabbriche e sale gioco, mi ha mostrato l’altra faccia. Quella verde. La stessa che appare anche sulle targhe delle auto: “The Garden State”
ESCLUSIVA WEB. Guarda a destra la presentazione di Barbara Gallucci, autrice dell'articolo.
All’aeroporto di Newark atterrano molti voli diretti provenienti dall’Italia. Perfetti per andare alla scoperta di Manhattan e degli altri quartieri di New York. Il panorama della Grande Mela è di quelli che non si dimenticano. Questa volta però volto le spalle a quello che già conosco per salire su un suv e imboccare l’interstatale 80 che attraversa il New Jersey (e prosegue fino a San Francisco). Il suv lo guida mio padre che, ultrasessantenne, è andato a rimpolpare la categoria dei cervelli in fuga proprio in New Jersey. «L’altro giorno siamo stati in coda due ore perché c’era una famiglia di orsi che cercava di attraversare la strada e il traffico si è bloccato. Speriamo oggi vada meglio». Già, speriamo. Gli orsi, in New Jersey? L’impalcatura del luogo comune su questo Stato, piccolo, ma densamente popolato, comprende: fabbriche e ciminiere, Atlantic City, il suo Boardwalk, ovvero la passeggiata lungomare più lunga del mondo (così dicono), e la costa popolata da ragazzi in stile Jersey Shore, il programma televisivo che narrava le vicende reali di un gruppo di guidos e guidettes, così come vengono chiamati i giovani discendenti di famiglie italiane. E appunto tra gli italiani spiccano il Boss delle torte Buddy Valastro che staziona a Hoboken e i Sopranos, i mafiosi della serie tv, che stazionano ovunque. Gli orsi proprio no. E nemmeno le foreste e i laghi. Eppure sono mesi che i miei genitori, nuovi migranti, mi mandano foto di luoghi verdi, di natura e boschi; mi raccontano di incontri con scoiattoli in giardino e di procioni visti mentre buttano la spazzatura. In effetti nelle 40 miglia che separano Newark da Hackettstown, dove vivono, tutto è come me lo hanno descritto. Svincoli autostradali conducono su strade secondarie che danno finalmente un senso alla definizione Garden State che c’è sulle targhe. Il verde è il colore dominante con pareti di foreste che fiancheggiano le strade quasi fossero un trompe l’oeil ben riuscito. Forse dovrebbero anche aggiungere sulle targhe Shopping State. I mall, i centri commerciali dove vendono di tutto, sono ben mimetizzati tra gli alberi, ma quando ne scovi uno, a occhio, potrebbe essere grande come il Pentagono. Dopo decenni sento mia madre insistere nel starle vicina e obbedisco volentieri. La paura di perdermi è più forte delle istanze di autonomia.
La mattina successiva la invito ad accompagnarmi alla scoperta della cittadina che è diventata la loro nuova casa: Hackettstown. Dista meno di un miglio a piedi, ma mia madre si è integrata alla perfezione e vorrebbe prendere l’auto. La spunto, ma mi rendo conto che non ci sono marciapiedi. Per fortuna ci sono prati perfettamente tagliati e piccoli slarghi che sono poi gli ingressi alle case di legno che si affacciano sulla strada principale, nonché un bellissimo parco che si rivela essere un cimitero storico, con lapidi che risalgono al Settecento. La provincia americana si manifesta in tutto il suo splendore con i farmer market, i mercati dei contadini, i negozi di antiquariato, i piccoli birrifici artigianali e le chiese di varie confessioni sempre di legno. Non mancano i cartelli di avviso di future feste di paese e garage sale, le svendite casalinghe che qui sono la regola per chiunque traslochi o abbia bisogno di fare spazio in casa. «stasera andiamo a mangiare al pub 199 a Randolph. Prendiamo la 46 e in mezz’ora ci siamo». Questa nuova fissazione di mio padre nell’indicarmi le strade che faremo è indice del fatto che si sta integrando bene. Basta aver guidato almeno una volta per le strade degli Stati Uniti per saperlo, ma comunque mi suona strano. E poi non c’è un ristorante più vicino? «Questo lo devi vedere per capire meglio il New Jersey». Come oppormi? Costeggiamo il Budd Lake, il più grande lago naturale dello Stato, attraversiamo la ridente Dover, che solo dopo scopro essere definita Walking town, la città che va a piedi, perché la maggior parte delle strade è dotata di marciapiedi (la maggior parte...), ci immergiamo in un paio di densissimi boschi nei quali, si deduce dai cartelli stradali, ci sono orsi e cervi, e arriviamo in un enorme parcheggio. Siamo qui per mangiare lobster. L’aragosta da aprire con pinze e mani, possibilmente sporcandosi fino ai calzini.
L’enorme pub ha tre sale: la prima è occupata da un bancone da bar, la seconda è di ispirazione marina con velieri appesi al soffitto e pesci, finti, alle pareti. La terza è la nostra e mostra quanto l’arte della tassidermia, ovvero dell’imbalsamazione, sia un business ancora in pieno sviluppo da queste parti. Le pareti sono un diorama della fauna nordamericana: cervi, orsi, lupi, iene, cani della prateria, capre di ogni ordine e grado, bisonti... La clientela sembra non farci caso intenta com’è ad addentare bistecche giganti mentre tiene d’occhio i risultati di una partita di basket, una di baseball e di un incontro di boxe sui maxischermi piazzati vicino al bar. Pare che i tornei di basket e baseball siano stati inventati proprio qui nel Jersey già a metà Ottocento. E ora anche i celebri New York Giants, squadra di football americano, hanno lo stadio dall’altra parte del fiume Hudson. Per molti il New Jersey è un sobborgo di New York e sono migliaia i pendolari che fanno la spola. In realtà questo piccolo Stato ha un’identità potente, della quale vanno fieri (forse perché se ne sono andati) le decine di personaggi famosi nati da queste parti. C’è chi il Jersey l’ha piazzato nelle sue canzoni come Bruce Springsteen, nato a Long Branch, e chi se n’è andato veramente lontano appena ha potuto come l’astronauta Buzz Aldrin, secondo uomo a mettere un piede sulla Luna. L’elenco annovera anche Michael Douglas e Ray Liotta, Frank Sinatra e Jerry Lewis, Meryl Streep e John Travolta, ma potrebbe andare avanti all’infinito. Ce li si può solo immaginare a sognare di sfondare al di là del grande fiume. Pronti a lasciare boschi e colline, fattorie e centri commerciali, per andare alla conquista della Grande Mela. Per ora io vorrei rimanere ancora un po’ qui a percorrere strade a caso per incontrare almeno un orso. Mi accontenterei anche di un procione. Ma per buttare l’immondizia devo prendere la macchina?