Massachusetts way of life

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Stockbridge è la cittadina del Massachusetts, nel New England a 200 chilometri da Boston, che ha ispirato soggetti e personaggi a Norman Rockwell, il più famoso illustratore della vita americana del Novecento e in particolare dell'American Way of Life degli anni Sessanta. E oggi per Natale lo celebra. Siamo andati a vedere che cosa ha di così speciale

Stockbridge è una cittadina del Berkshires, regione del Massachusetts a cavallo col Connecticut che è stata più volte citata per il suo straordinario paesaggio, come nel testo della canzone Sweet Baby James di James Taylor che dice «Now the first of December was covered with snow/And so was the turnpike from Stockbridge to Boston/Lord, the Berkshires seemed dreamlike on account of that frosting (Il 1° di dicembre era tutto coperto di neve/come l’autostrada da Stockbridge a Boston/Mio Dio, il Berkshires pareva un sogno per quel gelo)». Raggiungo Stockbridge da Boston, percorrendo in senso inverso l’autostrada citata da James Taylor. È la I-90, la più lunga Interstate degli Usa, ma io la seguo per poco più di 200 chilometri. Scesa dalla macchina, sono improvvisamente proiettata in una favola, in un tempo indefinito. Nel silenzio della notte, con l’aria rarefatta, tutto sembra perfetto e in ordine, le facciate delle case curate ed eleganti, e le luci di Natale aggiungono un tocco di magia. Non è cambiato nulla dal 1967, quando il pittore e illustratore più famoso d’America, Norman Rockwell, ha dipinto la celebre veduta Home for Christmas, nota come Stockbridge Main Street at Christmas e divenuta rapidamente un’icona dell’American Way of Life degli anni Sessanta.

Sono ferma davanti al Red Lion Inn, l’edificio a tre piani a destra nel quadro. Aprendo le porte di questo leggendario hotel le mie sensazioni sono amplificate: il calore degli arredi antichi, il camino acceso, l’ascensore con la cabina dalle grate scorrevoli di metallo sul quale un giovane mi accompagna al piano, la mia suite elegante e confortevole, una bottiglia di vino, dei biglietti di benvenuto e una stampa di un altro notissimo quadro di Norman Rockwell, Freedom From Fear. Per apprezzare la realtà in cui ci troviamo bisogna comprenderne la storia. Il New England infatti è stata la prima regione degli Stati Uniti a definire una propria identità. Stockbridge nacque come missione per una tribù di mohicani e la Mission House è considerata una delle attrazioni della città. Nel visitarla, la signora che mi accoglie mi dice «Puoi immaginare la vita qui, ben 300 anni fa?», e dentro di me sorrido ripensando alle mie passeggiate fra i Fori imperiali, per cui 300 anni possono sembrare nulla. Ma qui, tutto quello che ricorda la nascita e la storia degli Stati Uniti d’America, è preservato e valorizzato.

Situata in uno strategico luogo di passaggio, Stockbridge, durante l’American Revolution (più nota a noi europei come guerra d’indipendenza americana, conclusasi nel 1783), divenne sosta per i viaggiatori che trovavano rifugio e alloggio in un piccolo negozio di alimentari tramutato in locanda. L’insegna era un leone rosso (che simboleggiava la Corona britannica) con la coda verde (come incoraggiamento all’indipendenza). Così nasceva il Red Lion Inn, la cui gestione si è tramandata per generazioni. Dopo la costruzione della ferrovia, nel 1850, il Red Lion Inn fu ampliato per poter ospitare un gran numero di persone e arredato con mobili antichi e servizi pregiati. I ricchi di Boston e di altre grandi città scelsero la florida terra di Stockbridge per edificare le proprie ville estive, denominate Berkshire Cottage. Oggi molte di queste case conservano gli arredi originali, e sono visitabili tramite visite guidate. Per quanto Stockbridge sia rimasta una piccola località, la storia l’ha resa un’isola felice: ricca di eventi culturali, mostre concerti; dimora di artisti e letterati; impegnata nella tutela del territorio; promotrice dei diritti sociali e dell’integrazione (è stato il primo paese a ufficializzare la liberazione di uno schiavo). Anche il cibo ha la sua importanza; tutti i ristoranti utilizzano produzioni biologiche locali.

Tornando in hotel si nota una grande edificio bianco, è l’Austen Riggs Center, un ospedale psichiatrico residenziale fondato agli inizi del Novecento. Questo centro divenne uno dei più rinomati del New England, tanto da ospitare artisti e personaggi illustri. Proprio qui venne a curarsi Mary Barstow, moglie di Norman Rockwell. E con l’arrivo di Rockwell, Stockbridge si trasformò nel set fotografico per i ritratti del più famoso illustratore d’America. Norman Rockwell, infatti, deve il suo successo alla lunga e proficua collaborazione col Saturday Evening Post, periodico per il quale nell’arco di 47 anni produsse ben 321 copertine attraverso le quali raccontava il “mito” americano, ossia lo stile di vita che incarnava le aspirazioni della maggior parte degli americani del ventesimo secolo.

Rockwell nacque e crebbe a New York, dove la sua promettente carriera ebbe inizio. A 20 anni era già direttore artistico del Boys life, a 22 disegnò la sua prima copertina per il Post. Fece diversi viaggi in Europa per conoscere e poi sperimentare l’arte moderna, ma con scarso successo. Il suo trasferimento in un paese del Vermont e l’approccio con un paesaggio e una popolazione differente da quella delle grandi città influenzarono fortemente il suo stile pittorico e rappresentativo, che è stato poi definito come realismo romantico. Sebbene le vicende familiari che l’hanno poi portato nella piccola cittadina del Berkshires fossero tristi, alla fine si rivelarono foriere di un sodalizio positivo fra lui e questa isola felice, perfetto scenario per rappresentare il mito americano. Le tavole di Rockwell, infatti, erano opere pittoriche che non erano frutto di un’ispirazione estemporanea, ma nascevano da un’analisi approfondita del tema che doveva rappresentare e da una meticolosa ricerca dei soggetti o delle situazioni adatte a raffigurare l’argomento. Per rappresentare con verosimiglianza la realtà americana, i soggetti dovevano essere reali (non attori ma persone comuni), le scene dinamiche e le espressioni spontanee.

Per questo Rockwell sfruttò l’arte della fotografia, dimostrando un occhio e una sensibilità che solo i grandi fotografi sanno esprimere. Osservava, componeva nella sua mente le immagini rubate alla vita quotidiana, e le ricreava. Lo si vedeva sempre girare in bicicletta per la città, come un semplice vicino di casa, una persona socievole, come mi hanno raccontato Claire Williams e Rick Wilcox, ex capo della polizia di Stockbridge, entrambi modelli per Rockwell. Stringeva rapporti di conoscenza e amicizia con gli abitanti del paese prima di chiamarli a posare e, durante i servizi fotografici, riusciva a metterli a proprio agio, facendoli ridere e scherzare, così da sciogliere quel blocco espressivo che la fotocamera crea. La fortuna era che loro non fingevano il mito americano mentre posavano, ma lo vivevano nella vita di tutti i giorni.

Norman Rockwell continuò a vivere a Stockbridge, anche dopo la morte di Mary. Terminata la sua collaborazione col Post, si dedicò alla collaborazione con la rivista Look toccando temi come i diritti civili, la povertà, la guerra e la conquista dello spazio. Morì nel 1978, ma il suo spirito e la sua energia sono ancora presenti in questo luogo, in ogni angolo della città, nelle case, nei negozi, nei ristoranti, nei bar c’è qualcosa che lo ricorda. Un po’ distante dal centro, il Norman Rockwell Museum, costruito nel 1993 nella Linwood House (un altro famoso Berkshire Cottage), raccoglie la più ampia collezione esistente delle sue opere. E si potrebbe perdere un giorno intero a studiare tutti i dettagli dei suoi quadri...

Al grande artista Stockbridge dedica, agli inizi di dicembre (ndr: quest’anno nel weekend dal 4 al 6 dicembre), The annual Norman Rockwell Celebration, nel corso della quale lungo la Main Street viene ricreata con precisione la scena immortalata appunto nel celebre quadro Stockbridge Main Street at Christmas, dalle decorazioni alle automobili d’epoca, animando così ogni dettaglio del dipinto. Mi accingo a vivere questo evento: il clima è rigido, ma l’entusiasmo della gente scalda l’atmosfera. I canti di Natale nel portico del Red Lion, i mercatini di Natale, le letture delle favole nella Taggar House, il concerto alla First Congregational Church, i giochi per strada per i bambini, e per finire il caldo ristoro davanti al camino dell’accogliente lobby del Red Lion Inn, rendono questa festa speciale come in uno dei classici e commoventi film di Natale degli anni Sessanta. Oltre ai ristorantini della Main Street, anche il Red Lion Inn offre diversi ambienti confortevoli dove mangiare, chiacchierare o ascoltare musica. Per molti turisti statunitensi trascorrere qualche giorno a Stockbridge e al Red Lion Inn è un’esperienza vissuta come una vera e propria tradizione. Una coppia di turisti mi racconta: «Si respira il profumo del nostro passato… è questo che cercano qui gli americani!»

Foto di Mariagrazia Giove