di Silvestro Serra
Ulivi, funghi e panorami. Ma anche residenze d’artista e opere contemporanee sparse tra conventi e botteghe. Il borgo antico sui Nebrodi segna la direzione di un possibile sviluppo turistico della Sicilia
Che non sia un paese come tutti gli altri, Ficarra, 1500 anime aggrappate alle ultime pendici dei monti Nebrodi, provincia di Messina, nella Sicilia nord orientale, lo si capisce già all’ingresso del paesino tutto di pietra arenaria con più di mille anni di storia (pare fondato da Ruggero il normanno). Il borgo si è infatti andato costruendo tra boschi di querce e lecci e uliveti (produce il miglior olio dell’ isola e vanta i grandi patriarchi, ovvero piante di ulivo millenarie) e al tempo stesso si è disposto in modo da potersi godere lo spettacolo dell’arcipelago delle isole Eolie e a pochi tornanti più a valle anche la lunga spiaggia di Brolo e di Patti.
Dopo l’ultimo tornante, si incontra infatti una bella statua di bronzo a grandezza naturale di un giovane che si allontana dal paese ma ha ancora lo sguardo rivolto verso la chiesa dell’Annunziata, la patrona che si festeggia il 25 marzo (la meravigliosa e miracolosa statua della Madonna, una volta carica di gioielli ex voto poi rubati, è attribuita al Serpotta), e con la valigia sottobraccio si appresta a emigrare, verso le Americhe o a Vigevano, colonia di ficarresi in Lombardia. E infatti è stato un ficarrese emigrato a Vigevano a regalarla al suo paese. E non è l’unica opera di land art che si trova salendo lungo il corso e la piazza Vittorio Emanuele, cuore sociale e mondano del paese.
Davanti a quello che una volta era il circolo dei nobili, detto più prosaicamente il circo degli “spillacchi” (gente con i soldi), due figure, sempre di bronzo, si guardano un po’ impacciate. Sono il poeta e musicista Lucio Piccolo di Calanovella che a Ficarra era di casa e suo cugino Giuseppe Tomasi di Lampedusa che qui si rifugiò dopo che gli alleati gli avevano bombardato la casa palermitana e a questo paesaggio e a ai suoi abitanti si ispirò per scrivere il suo romanzo capolavoro Il Gattopardo. Infine davanti alla scalinata che porta alla piazza, un’arcigna statua del campiere, panciotto, coppola e baffi a manubrio, la versione sicula del fattore. Gli manca solo lo schioppo per farci precipitare in una antica dimensione da “padrino”. E assente è vero la statua di Giovanni Gerbino, altro ficarrese doc, partito per Milano e diventato protagonista dell’avventura artistica (e pubblicitaria) del Futurismo con Marinetti e Depero: ma di opere d’arte sparse in giro e non solo commemorative dei cittadini vip, questo centro agricolo della Sicilia meno nota e più autentica, abbonda. Soprattutto da quando il comune ha aderito, con la collaborazione della fondazione Brodbeck di Catania e del museo Riso di Palermo a un programma di residenze d’artista e alla realizzazione della mostra Ficarra Contemporary Divan, vero museo diffuso, un progetto che permette di effettuare un vero e proprio itinerario artistico che coinvolge tutti i tesori architettonici, gli angoli più suggestivi e panoramici e le vetrine ricavate in antiche botteghe.
Tra la pescheria, il vecchio frantoio, il giardino accanto al cimitero, il palazzo baronale, lo spettacolare convento dei frati minori detto dei Cento Archi (ma uno solo in piedi), il castello-fortezza saraceno, molti artisti italiani e internazionali (dal portoghese Hugo Canoilas all’austriaco Lois Weinberger) hanno avuto negli ultimi anni la possibilità di vivere a stretto contatto con il paese attraverso laboratori e seminari e di realizzare e mettere in scena, con la complicità curiosa dei ficarresi, le loro opere, nate tutte in loco, dalla esperienza avuta su questo territorio che è così via via diventato un vero salotto artistico.
Il risveglio artistico del paese, fortemente voluto dal sindaco-ingegnere Basilio Ridolfo («l’agricoltura, il turismo e la cultura saranno il futuro modello di sviluppo dell’intera Sicilia») ha già dato i suoi primi frutti. A parte il flusso continuo di ficarresi e non, che hanno fatto ritorno in paese o ne hanno fatto la loro residenza di vacanze, permettendo al tempo stesso il recupero dell’antico e prezioso patrimonio urbanistico, ci sono i segnali forti e grandi numeri a segnare il cambiamento. Ad accogliere il visitatore ora ci sono il museo Lucio Piccolo, quello dell’arenaria, il museo del giocattolo medievale, il museo dell’emigrazione e quelli della fiaba, del baco da seta... Inoltre dieci anni fa in paese non esisteva né un ristorante né un albergo. Oggi tra hotel, B&B, fattorie, agriturismi e dimore storiche sono una decina le strutture di ospitalità (da villa Ginevra, una ex cantina affacciata su Lipari e Vulcano all’antica dimora Garibaldi). Così come sono almeno sei i ristoranti e le trattorie che servono la cucina dei Nebrodi, basata oltre che sulle carni, anche sui funghi che si trovano in abbondanza e quasi tutto l’anno. Soprattutto
al Boschetto, davvero in mezzo ai boschi dove Gaetano sa cucinare per i clienti e per i villeggianti in pic nic i funghi in almeno 7-8 maniere diverse o a la Badia sotto il palazzo baronale