di Mauro Agnoletti
Suscita opposte polemiche il progetto di taglio di un quarto della foresta del Marganai, nella zona del Sulcis, nel Sud-ovest della Sardegna. È un atto sconsiderato da parte dell’Ente forestale sardo che interviene pesantemente su un sito di interesse comunitario come sostengono molti ambientalisti, oppure si tratta di una normale e corretta pratica di gestione attiva del patrimonio boschivo? Ospitiamo il parere di un esperto, il professore associato presso il Dipartimento di gestione dei sistemi alimentari e forestali dell'Università di Firenze
Sono di recente apparse sui giornali notizie circa il taglio del bosco nella foresta del Marganai, nel Sulcis. Notizie dalle quali sembra di capire che si sta distruggendo una foresta preistorica, dando il via a estesi processi erosivi in un’area naturale appartenente a un Sic, un sito di interesse comunitario. Giudicando la qualità delle notizie pubblicate, in particolare dal Corriere della Sera, pare opportuna qualche precisazione. Intanto rassicuriamo chi pensa che i boschi della Sardegna siano in pericolo. La Sardegna aveva nel 1947 un’estensione forestale di 293.000 ettari, oggi siamo a più di un milione e duecentomila ettari. L’estensione è quadruplicata e questo è avvenuto per l’abbandono sia della pastorizia sia dell’agricoltura e per il degradarsi delle attività economiche a cui si deve parte dello stato di declino economico dell’isola. Dal tempo di Cartagine i boschi naturali della Sardegna sono stati modificati con il fuoco per sviluppare la pastorizia, anche se nel corso dei secoli sono stati frequenti i massicci tagli per la produzione di legna per il riscaldamento. Con l’applicazione ripetuta del fuoco e del pascolo – il primo è necessario al mantenimento del secondo – si è sviluppato un paesaggio unico, caratterizzato da arbusteti bassi tipici della macchia mediterranea e del pascolo arborato. Grazie agli estesi pascoli la Sardegna produce la maggior parte del latte di pecora usato nel nostro Paese, anche per formaggi non prodotti in Sardegna, visto che nella nostra penisola i pascoli sono quasi spariti. In sostanza è un paesaggio ancora legato ai prodotti locali. Gli arbusteti sono pertanto formazioni non di origine naturale, che oggi ricoprono circa 520.000 ettari dell’isola, inclusa l’area del Sulcis, dove tagli del bosco, fuoco e pascolo sono applicati da secoli per via della miniera.
Il fatto che sia stato istituito un Sic ha poco a che vedere con l’origine storica di quei boschi, ma piuttosto con la volontà di rinaturalizzare il territorio sardo e italiano, spesso senza nessuna attenzione ai suoi caratteri storici. Circa il contestato bosco ceduo, la gestione a ceduo è una normale pratica di gestione forestale che si attua in Italia fino dal periodo romano, insegnata e studiata scientificamente dalle Scienze forestali nelle nostre università. Non distrugge il bosco e certamente non procura disastri dal punto di vista idrogeologico, ma consente di avere un prodotto legnoso periodico, dato che la pianta tagliata rigenera nuovi alberi secondo un processo del tutto naturale. Sembra piuttosto innaturale invece demonizzare questa modalità di gestione attiva del bosco connaturata con la storia del paesaggio italiano che è storicamente un paesaggio coltivato, boschi compresi. Trattandosi della forma di governo forestale più diffusa, se procurasse intensa erosione in Italia non avremmo più né suolo né boschi. Peraltro, il taglio incriminato è stato realizzato secondo un regolare piano di gestione che, per legge, deve anche avere una valutazione sui possibili impatti dovuti a fenomeni erosivi. Il bosco ceduo ha contribuito a rendere quasi autosufficiente il nostro Paese dal punto di vista della legna da riscaldamento, mentre la Sardegna, pur essendo la prima regione forestale d’Italia è costretta a importare legname. La vicenda è significativa della scarsa conoscenza dei caratteri del paesaggio e del problema forestale in Italia. Abbiamo più che raddoppiato i nostri boschi negli ultimi cento anni, ma importiamo la stessa quantità di legname dall’estero, circa il 75 per cento. Abbiamo rinunciato a coltivare, abbandonando 12 milioni di ettari di superficie agricola e rinunciamo a coltivare il bosco, importando legno. Quale cultura e quale paesaggio intendiamo proporre alle generazioni future?