Modena. Sulle ali dorate dell'opera

Zoe VincentiZoe VincentiZoe VincentiZoe VincentiZoe VincentiZoe VincentiZoe VincentiZoe Vincenti

L’amore, la gelosia ma anche lo scontro fra società civile e società religiosa nel Nabucco di Giuseppe Verdi allestito in ricordo dell’archeologo siriano Khaled Assad, custode del sito di Palmira, ucciso dai jihadisti per non aver rivelato il nascondiglio di importanti reperti romani. Continua il nostro viaggio nei teatri italiani fra gli artigiani della qualità

Di solito le eccellenze puntano in alto. A Modena ci nascono. Qui, dove le acetaie cullano nel silenzio delle soffitte quel balsamico che costituisce uno dei prodotti più ricercati del Made in Italy, dove la candida Ghirlandina pende sui tetti rossi e solletica il cielo con il suo merletto di pietra, portando in alto il gotico modenese, la quintessenza del Teatro Comunale si nasconde all’ultimo piano del sobrio palazzo neoclassico. Un’eccellenza che, anche in questo caso, bisogna conquistare scalino dopo scalino fino a raggiungere la grande sala di scenografia, una delle poche rimaste in Italia, con le immense tele a macchie colorate che solo dall’alto prendono senso fino a comporre l’immagine di un fondale. Allo stesso modo i gesti, le luci, le voci, pezzi di un puzzle messi in campo nell’allestimento di un’opera e ripetuti fino allo sfinimento durante i lunghi giorni di prove, improvvisamente trovano il loro incastro e si compongono in una sintesi perfetta durante la rappresentazione. I gesti si armonizzano, le luci esaltano e scolpiscono scene e personaggi, le voci si accordano. Ancora una volta, potente, sincera, vitale, rinasce la magia dell’Opera. E la sua eterna giovinezza. Sempre nuova, sempre diversa perché sempre diversa è ogni rappresentazione, un unicum non riproducibile.

Da questa città bianca e rossa, da quella pietra forte e priva di orpelli, nasce un teatro solido fuori quanto elegante e generoso dentro, proprio come i modenesi. Sono loro a dare vita e calore all’ossatura candida degli edifici del potere politico e religioso  sfilando nelle sequenza infinita dei portici, così come il sangue rosso vivo del lambrusco, dell’aceto, della Ferrari, non miti stereotipati ma solide realtà. Le cose autentiche infatti non hanno bisogno di urlare per farsi notare. Quello che fanno gli artigiani dell’Opera, che lavorano sodo, a testa bassa, con passione e senso del dovere. Quello che si percepisce entrando nel teatro, dove tutti i muri degli uffici sono arrotondati per abbracciare fisicamente la grande sala tutta stucchi e fiori dipinti: tecnologia e cuore, fantasia e creatività, echi lontani di melodie e colpi di martello. Profumo buono di caffè, di legno e di bucato.

Se il mondo corre impazzito, a Modena si vive, e bene, anche senza spingersi oltre. Solo qui si può sentire quanta energia ci sia quando alla forza e al rigore morale del “Beppino” Verdi si uniscono l’orgoglio e il senso di appartenenza dell’immenso Luciano Pavarotti, il tenore che ha reso grande la città e fatto onore alla propria professione. Ma che non ha mai smesso di essere uomo per diventare divo, non ha rinunciato agli amici della briscola e a un buon bicchiere di vino. Allo stesso modo Modena, che porta nel mondo passione e alta professionalità, rimane la splendida rappresentante dell’Italia migliore, quella piccola e preziosa che tutti ci invidiano. Quella che non cede al successo, non fa mai passi indietro. Non tradisce se stessa e il suo modo di vivere.

Fotografie di Zoe Vincenti