Yorkshire da paura

Tra la quiete della campagna inglese e la tradizione del tè delle cinque, si insinua una tradizione gotica e misteriosa, dalle sorelle Brontë a Bram Stoker

Ci vogliono 15 minuti in macchina, a Ovest di York, per rendersi conto di essere entrati nella profonda campagna britannica. Gli indizi non mancano. C’è il cartellone pubblicitario dello spazzacamino locale. Ci sono agnelli, pecore e greggi interi che attraversano la strada. E ci sono anche i segnali stradali che indicano luoghi come il burrone di Gordale Scar o le caverne di Stump Cross, nomi minacciosi che sembrano anticipare qualcosa di spaventoso poco più avanti. In realtà è proprio quello che sto cercando. Lo Yorkshire è stato la spettrale musa delle sorelle Brontë e di Bram Stoker i cui romanzi gotici sono entrati nell’immaginario collettivo. Ora più che mai: basta grattare la superficie di ogni libro fantasy contemporaneo, dalla saga di Twilight fino a True Blood, per scoprire discendenti diretti del personaggio di Heathcliff (l’ombroso protagonista di Cime tempestose, ndr), del Dracula di Stoker e di tutti i vampiri, fantasmi, non morti che provengono in qualche modo da queste brughiere. Sono venuto nello Yorkshire per il puro piacere di spaventarmi un po’. E sono qui anche per capire perché alcuni dei nostri peggiori incubi provengono da questa landa caratterizzata da sale da tè e pazzie.
La mia prima tappa è Haworth, 50 miglia a Ovest di York. Proprio qui, nella prima metà dell’Ottocento, le tre sorelle Brontë si sono immaginate un mondo di malvagi diabolici, donne matte nei sottotetti e spiriti solitari in romanzi come Jane Eyre e Cime tempestose. La casa della famiglia Brontë sta in cima a una collina. Mentre mi incammino sulla via principale mi rendo conto di come le case sembrino quasi inghiottite tra le colline. Le foto mostrano un’abitazione incastrata tra alcune piccole tombe (il padre era il curato della città), ma in realtà la circondano, anzi quasi la inghiottiscono, in una sorta di registro cittadino di lapidi. Tifo, colera e tubercolosi piagarono Haworth nella seconda metà dell’Ottocento e più del 40 per cento dei bambini di quel periodo moriva prima di arrivare ai sei anni. Una lapide indica i nomi di sei di loro, tutti figli di un tagliapietre che decise di scolpire un bambino che dorme appoggiato a un cuscino. Chiaramente le Brontë prendevano spunto dalla vita mentre scrivevano di morte. Forse vedevano addirittura segni del loro destino. Emily infatti morì a 30 anni e qui riposa in pace. Ann Dinsdale, la responsabile della collezione di casa Brontë, mi spiega poi che l’acqua “potabile” sgorgava dalle campagne alla città proprio sotto il cimitero probabilmente contribuendo ad alzare il tasso di mortalità della cittadina. La casa, ora di proprietà della Brontë Society, non offre molto conforto. Mentre attraverso le stanze, fosche e buie, non posso fare a meno di provare un po’ di claustrofobia, specialmente nella piccola stanza da pranzo dove le tre sorelle scrivevano condividendo un piccolo tavolo rotondo. «Camminavano intorno al tavolo ogni sera discutendo dei loro scritti», racconta Dinsdale.

Ricomincio a respirare solo una volta uscito. Al tramonto la città si spegne e decido di fuggire 11 miglia a Nord per raggiungere il Devonshire Arms Country House Hotel & Spa, una locanda a Bolton Abbey che risale al Seicento. La quintessenza dello stile british: letto a baldacchino, il tè delle cinque servito con i tipici scones (dolcetti, ma non troppo, con uva passa, cioccolato o con i mirtilli, tipici della Scozia e del nord dell’Inghilterra, ndr), e persino la lounge canina, con immagini incorniciate di terrier e la tappezzeria con i labrador, un’ode alla passione tutta inglese per i cani. Ma anche dopo aver lasciato Haworth non riesco a sfuggire dai fantasmi dello Yorkshire. «C’è una stanza nella locanda che è sempre un po’ fredda e gli ospiti dicono di sentire rumore di passi la notte, anche se sopra non c’è niente», racconta il concierge Eddie Styles e continua: «alcuni dicono che è il fantasma di una ragazzina che si è persa nella brughiera che cerca un posto dove trovare un po’ di tepore». Ma deve essere in buona compagnia perché nei dintorni non c’è una casa, un paese, un cottage che non abbia la sua storia di apparizioni. Me ne racconta alcune Alan Rowley, guida locale che ha deciso di vendere il suo pub a York per inseguire la sua passione per la storia locale. «La gente dello Yorkshire è nata per raccontare storie», spiega mentre superiamo le rovine di Fountains Abbey dove pare che un coro di monaci canti durante la notte. Dopo altre 40 miglia arriviamo a Castle Howard. Qui, nel 1940, il collasso del soffitto fu un presagio raggelante: due dei figli della famiglia proprietaria morirono durante la seconda guerra mondiale andando ad allungare la lista dei giovani morti prematuri dello Yorkshire. Poco dopo arriviamo al North York Moors National Park e circumnavighiamo una pezzo di roccia che sembra avere una testa. «Quella è Fat Betty (la grassa Betty, ndr)», dice Rowley: «pare abbia centinaia di anni e la leggenda vuole che sia la moglie di un contadino che, dopo essersi persa nella nebbia della brughiera, si è trasformata in pietra. Ma Betty deve comunque mangiare e se ti fermi e le regali del cibo pare porti fortuna».

Andando più a est, verso Helmsley, la situazione sembra alleggerirsi. Ritornano tutti i canoni tipici dello Yorkshire: persone che passeggiano coi cani (labrador e terrier, ovviamente), sale da tè pronte per l’appuntamento delle cinque e non solo e alcune profumate panetterie. Ma basta uscire dalla città per ripiombare in un clima oscuro. «Sono nato a Whitby», mi racconta Andrew Pern, membro del crescente gruppo di chef locali che stanno trasformando la regione in una destinazione per gourmet. «Quando ero ragazzino giocavo a nascondino tra le tombe intorno all’abbazia. Fingevamo di non avere paura, ma quando qualcuno non si trovava...». A cena mi dimentico dell’aneddoto, forse grazie al pudding nero di Pern e al foie gras. Poi però, una volta sdraiato a letto a Swinton Park, una maestosa casa trasformata in hotel da una famiglia di baroni, non riesco a cancellare l’immagine del cimitero dell’abbazia. Abbarbicata sulla scoscesa costa dello Yorkshire, la città di Whitby sembra perfetta per la copertina di un libro horror. Non per niente Bram Stoker la scelse per alcune ambientazioni del suo Dracula scritto durante una vacanza in zona nell’agosto del 1890. In effetti, l’edizione originale di Dracula, pubblicata nel 1897, segue perfettamente la geografia del posto: al cimitero della chiesa di St. Mary un assetato Dracula addenta la bella eroina Lucy Westenra mentre la sua amica Mina Murray sale le scale della chiesa giusto in tempo per assistere alla scena. Salgo anche io tutti i 199 scalini ansimando per la fatica e non per la paura. Poi ridiscendo verso la città che ha trovato il modo per convivere con la nomea lasciata da Stoker. Numerosi sono i negozi che vendono carri funebri di cioccolato e braccialetti di teschi. Souvenir che sono venduti in grande quantità durante l’annuale festival gotico quando decine e decine di aspiranti Dracula, vampiri, zombie e amanti dell’orrido invadono Whitby. «Un tempo era un appuntamento underground, poco conosciuto, ma adesso arrivano persone di ogni tipo», mi racconta Elaine Horton nel suo negozio gotico che si chiama Pandemonium circondata da corsetti di satin e magliette da vampiri mentre giocherella con le ciocche blu dei suoi capelli. «Non so il perché». Io posso solo immaginarlo. Risalgo un’ultima volta le scale che conducono alla chiesa al tramonto e finisco per ritrovarmi di nuovo al cimitero. Un finale perfetto che mi riporta alla mente la mia prima visita al cimitero di Haworth. Mi viene in mente che forse i racconti gotici, con tutti quei vampiri e zombie, hanno tanto successo adesso perché ci consentono di fantasticare in un’epoca nella quale molte delle nostre storie, blog e tweet sono diventati prosaici. Oppure è solo perché le migliori storie horror catturano qualcosa di profondo: l’uomo nero sotto il letto, le nostre paure più innominabili, un elegiaco senso di inevitabile perdita. Ma qualsiasi possa essere la ragione, rimangono alcune costanti. Le tegole delle case di Withby, che alla luce del sole brillano di rosso, sono ben ancorate al loro posto. Lo stesso vale per la vecchia strada gotica che porta le storie fino al mare del Nord che sta di sotto, solo per essere rispedite indietro dalle onde e poi ancora sulla riva.

Foto di John Kernick