Bulgaria in filigrana

Una collezione di francobolli permette di ritrovare i luoghi più significativi della storia di questa sconosciuta “Terra di mezzo”. Dall’affascinante capitale Sofia ai monasteri, fino a Plovdiv, futura capitale europea della cultura

È la mia schiena a sentire per prima la bulgaria. Colpa del tassista che attraversa ad alta velocità Sofia e le sue strade acciottolate. «Questo Paese è come Piccadilly Circus!», esclama in un inglese semplice, ma entusiasta. «Tutti vengono qui. E poi vanno in giro e in giro», racconta togliendo entrambe le mani dal volante per illustrare quanto la Bulgaria sia una centrifuga di civiltà. Quello che dice è definitivo: tutti, a quanto pare, sono passati dalla Bulgaria. I Traci, con il loro oro, Roma e le sue legioni, ma anche Unni, Slavi, Ebrei, Turchi... E, negli ultimi due decenni, si si sono aggiunte orde di inglesi assetati di birre buone ma a basso costo e di felicità. Io, invece, sono arrivato a causa dei francobolli. Le pale del ventilatore da soffitto di una casa nel michigan cercano di diminuire il tasso di umidità mentre tre ragazzini di dieci anni setacciano una pigna di francobolli sul tavolo. «Liz porpora», esclama mio fratello Fred mettendo in cima al mucchio dell’impero il francobollo della regina d’Inghilterra. «Testa rosa», sbotta il mio amico Shawn indicando il ritratto del re belga Baldovino. Tocca a me: «Un altro Franco arancione», borbotto cupamente. Quello che vorrei veramente guardare è la piccola pigna in disparte con i francobolli della Bulgaria, un Paese a quei tempi sequestrato dietro la cortina di ferro. I suoi bolli sono grandi, con immagini di montagne rocciose, antiche città collinari e cavalieri in duello. Ma quello che mi intriga di più mostra un monastero riccamente decorato che potrebbe essere uno scenario perfetto per il libro che sto leggendo che parla di nani, elfi, castelli e di un posto che si chiama Terra di mezzo. La Bulgaria, con i suoi paesaggi selvaggi, la popolazione esotica, le robuste fortificazioni e l’alfabeto cirillico è diventata, nella mia immaginazione, una terra degna di Lo Hobbit. Un giorno viaggerò laggiù, già lo so, e troverò quel monastero.

È quasi mezzanotte quando il taxi mi lascia all’ hotel. Pago l’autista che riparte sfrecciando nella notte ascoltando a tutto volume le note della musica chalga, con i suoi ritmi folk elettrici. Mi guardo intorno. Vedo solo finestre buie di bei palazzi Belle Époque. Poi noto qualcosa di familiare nell’edificio al di là dalla strada, con la sua maestosità e la facciata neoclassica, e una guglia che punta verso l’alto. Rovisto eccitato nella mia busta con i francobolli. La miniatura che tiro fuori, colorata di un rosso marxista, è identica a quello che è di fronte a me: il vecchio quartier generale del partito comunista di Sofia. Un buon inizio. La mattina dopo incontro la mia interprete bulgara, la 25enne Polina Simeonova. Assomiglia alla ballerina sul mio francobollo di un duetto bulgaro, ma nella sua versione contemporanea con jeans e smartphone. «Qui tutti quelli sotto i 30 anni hanno imparato l’inglese guardando Cartoon Network», mi rassicura, «quindi fidati». Ci immergiamo alla scoperta di Sofia, una città con più di un milione di abitanti che ha tutte le caratteristiche di una classica città del Vecchio mondo, con un’aggiunta qua e là di tocchi ottomani, vestigia che i bulgari definiscono eredità del “giogo turco”. L’impero turco ottomano conquistò quello bulgaro alla fine del Trecento e lo mantenne per 500 anni, riempiendo Sofia di moschee, minareti e persino un hammam o bagno turco. Un impero più recente ha di nuovo trasformato Sofia con un altro tipo di architetture: enormi edifici oggi ricoperti di fuliggine e graffiti. «Hai visto? Architetture sovietiche e American graffiti», commenta la mia guida con un umorismo inglese, ma senza ridere. Mi indica anche la nuova, sfavillante torre di vetro che, con la sua impertinenza capitalista, è lo specchio del nuovo corso bulgaro celebrando con la sua presenza l’ingresso del Paese nell’Unione europea nel 2007. Mentre Polina mi mostra la sua città natale io trovo un altro elemento raffigurato sui miei francobolli. La cattedrale di St. Alexander Nevsky, un glorioso esempio di architettura neobizantina, che si staglia di fronte a me, identica a quella dell’immagine che tengo in tasca. Un piccolo gruppo di famiglie è raccolto intorno a una guida che ne spiega la storia. La costruzione iniziò nel 1882; la cattedrale commemora la guerra russo-turca del 1877-1878; nei suoi circa diecimila metri quadrati può ospitare altrettanti fedeli. Un papà gentilmente rimette in riga il figlio girandogli la testa verso la guida: «Ascolta», gli dice: «Questo è importante». Comincio a pentirmi di aver programmato solo un giorno a Sofia, ma d’altronde per vedere più luoghi possibili della Bulgaria ho un itinerario molto fitto. Scarpino verso diversi quartieri tra venditori di lamponi giganti che sembrano i preziosi rubini di un pasha, skateboarder che si allenano ai piedi del memoriale della guerra sovietica, e sperimentazioni gastronomiche. Mangio un’insalata chopska, un mix di cipolle, peperoni, pomodori e cetrioli completata con un fresco e saporito formaggio. La divoro e la mia guida commenta sarcasticamente: «Ne mangerai tanta domani di chopska a Veliko Tarnovo».

Un viaggio di due ore e mezza verso est mi porta verso lo scenario di un altro francobollo, un posto che i bulgari considerano un’icona nazionale: la fortezza Tsarevets, un bastione che proteggeva la città di Veliko Tarnovo, capitale del secondo impero bulgaro fino alla conquista degli invasori ottomani del 1393. Il mio francobollo mostra un complesso murario conteso, con palpabile ferocia, tra cavalieri medievali. Quando mi addentro nella città che oggi conta circa 68mila abitanti e si sviluppa ai piedi dei monti Balcani mi ritrovo con un umore pensieroso. L’assedio durò tre mesi e si concluse con le forze turche che conquistarono e distrussero il fortino, come dimostra anche il mio francobollo. I cittadini furono per la maggior parte uccisi o mandati in esilio. La fortezza nella quale entro oggi fu ricostruita nel Novecento. Mura merlate circondano la struttura abbarbicata sulla roccia e intorno scorre il fiume Yantra. In cima alla collina svetta una piccola chiesa. Salgo sul campanile per osservare il panorama caratterizzato da ripide colline e profondi burroni, esattamente come raffigurato sui miei francobolli! Alla mia destra individuo le vie di Veliko Tarnovo con le case vecchie di 200 anni. Ed è proprio in una di queste che mi imbatto in un negozio antiquario che mette in vendita, tra i tanti oggetti, un compendio di quella che è la storia della Bulgaria: samovar (il tipico bollitore dell’est Europa, ndr), piastrelle turche, un busto di Lenin e un’arrugginita sveglia con un simbolo familiare, i cinque cerchi olimpici con dietro la scritta Berlino 1936 e una svastica. Un souvenir dei giochi di Adolf Hitler. «Ti piace?», mi chiedono da dietro le spalle «te la do a un buon prezzo». «No grazie», rispondo riappoggiando l’orologio. La Bulgaria è stato un alleato riluttante della Germania nella seconda guerra mondiale; per evitare l’invasione firmò un patto nel 1941. Lo stesso anno la Germania la costrinse a dichiarare guerra agli Stati Uniti. In risposta gli americani bombardarono Sofia nel 1943 distruggendola e uccidendo più di mille persone. È interessante scoprire che, nonostante l’alleanza coi nazisti, i bulgari salvarono tanti cittadini ebrei. Come ogni cosa in questa terra strategicamente collocata, la storia è sempre più complicata di quello che sembra.

Una storia più lontana, e un altro francobollo, mi conducono nella seconda città più grande del Paese, Plovdiv, in italiano Filippopoli, che sarà Capitale europea della cultura nel 2019 insieme a Matera. I primi insediamenti risalgono a più di seimila anni fa, ma è l’influenza romana ad aver lasciato più tracce a partire da una serie di acquedotti e un anfiteatro nella parte vecchia della città. La leggenda narra che l’acustica del teatro è ancora talmente perfetta che si può far cadere una moneta sul palco e sentirne il rumore anche nell’ultima fila. Voluto dall’imperatore Traiano nel secondo secolo dopo Cristo, quando la città era un’importante insediamento romano, l’anfiteatro ospita spettacoli ancora oggi. Stasera, per esempio, è la volta del Nabucco di Verdi. Estraggo ancora una volta la mia collezione di francobolli per scovare quello che raffigura le case metà in muratura e metà in legno della città vecchia. Costruite per la maggior parte nell’Ottocento da ricchi imprenditori, hanno colori accesi e battenti di ferro sulle porte di legno. Mi incammino verso la strada principale, Tsar Battenberg Boulevard (dal nome del primo reggente della Bulgaria moderna) e arrivo alla moschea Dzhumaya, una delle strutture religiose più antiche dei Balcani. I suoi minareti sono protagonisti di un altro dei miei bolli, ma ho poco tempo per aggirarmi ancora per la città prima che tramonti il sole e l’indomani devo ripartire per la prossima tappa. Alla sera stendo tutti i francobolli sul letto. Ho lasciato il mio preferito per ultimo, come fosse un dessert. Raffigura Rila, il mio monastero della Terra di mezzo, nonché la mia meta di domani. Per raggiungerlo da Plovdiv guido per tre ore verso le montagne Rila fino a una valle boscosa. A farmi compagnia decine di farfalle e il rumore del fiume Rilska. Il monastero originale fu fondato nel decimo secolo da Ivan di Rila, un eremita che sarebbe poi diventato il santo patrono del Paese. Appena ne varco la soglia sono trasportato in un’altra era. Una transizione quasi fisica, un salto nel medioevo. Il mio francobollo raffigura solo le linee base del monastero, ma la realtà che mi si para di fronte è un’esplosione di colonne, archi, croci e balconi lavorati nel legno. L’apoteosi dell’architettura del rinascimento bulgaro. Al centro di tutto sorge la cattedrale di Nostra Signora dell’Assunta, che ha di fronte un colonnato a righe bianche e nere tipiche della tradizione islamica mamelucca. All’interno gli affreschi rappresentano scene bibliche e storie di santi illuminate dalle candele. Questo luogo santo è talmente prezioso per i bulgari che quando un incendio lo distrusse agli inizi dell’Ottocento lo ricostruirono identico. Durante i secoli di dominio ottomano fu il simbolo dell’identità locale diventando meta di continui pellegrinaggi. Ma l’opulenza della cattedrale contrasta decisamente con la semplicità della vita quotidiana dei monaci che vivono qui. Ripenso a quanto il mio francobollo di Rila sia stato per me un talismano e quanto la realtà si stia rivelando ancora più potente. I simboli sono importanti, ma sono i dettagli della vita quotidiana che hanno reso per me la Bulgaria un luogo così vivo. Purtroppo ho un francobollo che non si trasformerà in un ricordo vero in questo viaggio. Raffigura bagnanti che prendono il sole sulla costa del Mar Nero. Sarà per un’altra volta, mi sembra chiaro. Le spese di spedizione sono incluse.

Foto di Aaron Huey