di Tino Mantarro | Foto di Paolo Ciaberta
Quello della lava, quello dei boschi di castagni e degli aranceti dell’Etna. Un itinerario scenografico tutto intorno al grande vulcano da percorrere in bicicletta
Quando alle scuole elementari la maestra spiegava la geografia dell’Italia si soffermava a lungo a parlare dei vulcani. Dell’Etna raccontava che era il più alto d’Europa (vero) e il più grande tra quelli ancora in attività (falso); e poi passava a descrivere il cono dell’Etna e tutto quel che c’era intorno. Una parola, cono, che sentita con le orecchie di un bambino aveva una fascino tutto suo. Rendeva dolce, quasi commestibile, qualcosa che per definizione doveva invece essere terribile e pericoloso, il vulcano. Una fascinazione che ci si porta dietro da adulti, quando si pensa di vederlo dal vero questo benedetto cono del vulcano più alto d’Europa e provare a percorrerlo in qualche modo, purché sia lento. Le opzioni non mancano, sull’Etna. C’è la Circumetnea, la ferrovia inaugurata il 10 luglio del 1888 che fa il giro dell’intero cono del vulcano, da Catania Borgo fino a Riposto. Lenta è lenta: impiega tre ore e mezza buone e bisogna cambiare a Randazzo. Bella, però non regala la soddisfazione che regala circumnavigare l’Etna pedalando. Soddisfazione fatta di sudore e vento, odori di zolfo e zagara, piacevoli solitudini e panorami sovruman
In bicicletta per fortuna non è come in treno, che se sbagli lato sei finito. In bicicletta il panorama ti si apre davanti: puoi guardare a destra e a manca a piacimento, mentre arranchi piano piano sulla salita. Perché quelle che non mancano intorno al vulcano sono le salite. I salitomani dell’Etna, un gruppo di appassionati cicloamatori che si incrociano su queste strade, giurano che non hanno nulla da invidiare a quelle delle Alpi, almeno come pendenze e lunghezza. Ed è vero: volendo si sale che è una bellezza. Il rifugio Sapienza, per esempio, è a 1920 metri di altitudine, lo si raggiunge seguendo la statale 92. Ma è meglio lasciarlo come tappa finale con gran premio della montagna di un giro dell’Etna. L’ideale è prendere un punto di partenza a mezzacosta e seguire un percorso medio alto, che non lesina sulle salite ma permette di pedalare in strade poco trafficate (tranne la domenica). Se per esempio parti da Zafferana Etnea (a 571 metri) e decidi di percorrere il cono del vulcano in senso antiorario puoi impiegarci tre giorni di pedalate a 50 chilometri al giorno per fare un giro completo. Da Zafferana la prima vera salita è lungo una strada dal nome gioioso, la Mareneve, che da Fornazzo in 14 chilometri sale in quota al rifugio Citelli a 1741 metri, che è forse il più bello di tutta la montagna.
Già, la montagna: che il fatto che vulcano sia maschile è un accidente della grammatica che qui poco interessa. Perché a Catania per tutti l’Etna è femmina: è a’ muntagna. Da questo versante, quello nord, si gode una vista che ripaga la fatica. Qui la strada sale, ripida e lenta. Stanchezza a parte è una salita che si benedice: si va tanto lenti da poter gustare fino in fondo lo spettacolo maestoso che ti circonda. Sali e guardi in alto, la cima dell’Etna che respira affannosamente. Sali e guardi in basso, sulla destra ecco il mare Ionio che riluce: più vicina ecco Taormina; lontana, sfocata la punta della Calabria con l’Aspromonte a far da corona. Ed è sempre da questo versante, quando rimanendo in quota inizi ad aggirare il grande cono e punti Randazzo seguendo la strada chiamata quota mille, dove si possono ammirare alcuni dei paesaggi più spettacolari. Lunari è l’aggettivo che si usa di solito, perché si immagina la luna come l’avamposto del nulla. E invece questo è una “luna” piena di vita, pure troppo, volendo vedere. Pedalando tra queste rocce esplose, su colate che si sono sovrapposte a ondate successive hai chiara l’idea della vita incessante che scuote il vulcano. Quel che colpisce è il paesaggio mai identico a se stesso: nero su nero la strada sorpassa colate di roccia che ancora stentano a essere colonizzate dalla vegetazione. Mentre sotto hai paesi che se ne stanno in attesa, fiduciosi che alla prossima colata qualche santuzza farà il miracolo. La prima tappa, può ben essere Randazzo che tra tutti i paesi intorno all’Etna è forse il più bello con le sue chiese di pietra scura e quell’aria da Sicilia di un tempo, dove ti immagini Verga che fa dei sopralluoghi
Da Randazzo sali ancora, in zone in cui non capisci più se sei in Sicilia o in qualche zona d’alta montagna. Attraversi posti di una poesia rara, quotidiana. Poesia che non sta tanto nelle pietre dei paesi, troppo spesso violentati da una furia edilizia senza senso, ma nel paesaggio. Perché è davvero verde questa Sicilia intorno all’Etna. Nera e verde che quasi non ce lo si aspetta, abituati come siamo a pensare al giallo dell’interno e all’arsura dell’estate. È verde di boschi fitti e densi castagneti, che alle volte sembra una foresta di altre latitudini; nera di lava, di accumuli di lapilli, dune di cenere. Meno male che dal versante di Catania ci sono aranceti sterminati e pale di fichi d’India a dare un tocco di colore mentre si pedala per le strade che incrociano le tante carrozzabili interpoderali che disegnano la campagna quassù. A Maletto, quando sei nuovamente in alto incroci la Circumetnea, la ferrovia con la sua littorina a gasolio che arranca sul passo più alto del suo percorso a 924 metri; a Bronte trovi distese di alberi di pistacchio raccolti su stessi quasi custodissero il loro tesoro, ad Adrano/Biancavilla ti fermi, perché 50 chilometri al giorno possono bastare, anche perché l’ultimo giorno c’è da salire, e non poco. Si arriva al rifugio Sapienza, a 1920 metri d’altitudine, il punto dove l’Etna si fa turistica e si abbandona la splendida solitudine: da qui partono gli impianti di risalita e le passeggiate verso la valle del Bove, immenso “cestino” dove si sono esaurite le ultime colate; da qui ci si inerpica per salire ancora più in alto, con i robusti 4x4 che portano in quota, fino a 3500 metri, a sentire vicino il respiro del vulcano e vedere quel comignolo sempre acceso e la lava che scende. Poi si scende di nuovo verso Zafferana, con in faccia il mare e la consapevolezza di aver fatto un gran viaggio. Bello, bello davvero. Ci si merita un gelato o forse, meglio, una granita.