Norvegia. A Nord del Grande Nord

Sul mitico “postale dei fiordi”, in navigazione da Tromsø a Kirkenes oltre il Circolo Polare Artico. Tra scogliere innevate e mari di ghiaccio

Il fatto che lo chiamino “il postale dei fiordi” non deve trarvi in inganno. Perché vi potreste immaginare una vecchia nave scrostata dal tempo e dal mare, magari di legno, con mozzi-postini barbuti che recapitano la corrispondenza a pescatori altrettanto barbuti, inseguita da balene e gabbiani tra una baia e l’altra della profonda Norvegia; e potreste rimanere spiazzati quando invece, al momento dell’imbarco, vi troverete davanti un’enorme nave da crociera, di quelle dotate di ogni comfort, il ristorante a buffet con tanto di opzione vegetariana, l’ascensore, la sala conferenze, il programma delle escursioni appeso in tre lingue alla porta della cabina. No, il nome “postale dei fiordi” non deve trarvi in inganno. Sulle navi Hurtigruten c’è meno romanticismo alla capitano Achab e più una perfetta comodità da hotel a cinque stelle. 

Però non dovete pensare neppure che un viaggio per mare nell’estremo Nord norvegese, appena prima che inizi la primavera, a metà marzo, rientri in una rassicurante normalità dell’ordinario. Perché in inverno è tutto vagamente fuori dall’ordinario, oltre il Circolo Polare Artico, agli estremi confini dell’Europa continentale. È fuori dell’ordinario che sul ponte più alto della nave che fa la spola tra un porto e l’altro ci sia una jacuzzi all’aperto, da cui – immersi fino agli occhi e con i capelli coperti di brina – si contemplano stelle che sembrano sfondare il cielo nero. È fuori dall’ordinario la desolazione di quei porti, in cui la nave attracca a banchine ghiacciate e solitarie per scaricare tutto quello senza cui le piccole comunità non potrebbero vivere, nell’isolamento dell’inverno. Sono fuori dall’ordinario la signora che torna a casa dalla spesa appoggiandosi alla sua slitta per non scivolare, la ragazza dalle trecce color del sole che dorme abbracciata al suo husky come se fosse un peluche, la gente che al bar sostiene che abitare in questi luoghi in fin dei conti è come abitare in un luogo qualunque, e fuori ulula il vento che quasi non si sente.

 

Non c’è dubbio: un viaggio invernale da Tromsø a Kirkenes sul postale dei fiordi – la nave che peraltro ancora porta la posta su al Nord, come faceva nel 1893, quando fu fondata dal mitico capitano With, autore del primo viaggio Trondheim-isole Lofoten – è un viaggio in cui dovete saper cogliere la straordinarietà. Dovete guardare e saper guardare, per apprezzare, per lasciarvi sedurre. Senza alcuna fretta, senza alcuna pretesa di effetti speciali. Dovete sedervi davanti a una finestra e contemplare la neve che scende e viene inghiottita dall’oceano, una scogliera che sfila maestosa riverberando nel sole, le nuvole che rimbalzano nel vento come se fossero coriandoli. E respirare. Altrimenti finirete come quel ragazzo svizzero che, una volta sceso dalla nave, ha dichiarato che la cosa più eccitante che gli fosse capitata durante i giorni del viaggio era stata salutare i passeggeri della nave che passava nella direzione opposta. No, non correte questo rischio: imitate piuttosto le matrone inglesi che fanno l’uncinetto, gli occhialuti tedeschi che si cimentano in terribili puzzle da migliaia di pezzi, gli sparuti birdwatcher che sfidando il vento cercano anatre rare come gli edredoni di Steller, le coppie di pensionati che leggono un romanzo vista fiordi e intanto si bevono un bicchiere di brandy. D’altronde è tempo di rilassarvi, è la vostra vacanza. E l’Hurtigruten sembra fatta apposta.

E poi ci sono le visite a terra, a farvi aggiungere alla lista motivi di contemplazione e straordinaria surrealtà. Come la gita a Capo Nord, che è un viaggio nel viaggio, e sarà uno dei momenti a cui ripenserete spesso, una volta tornati in Italia, magari senza accorgervene, quando aspettando in coda che il semaforo diventi verde vi tornerà in mente quella sensazione di libertà, con la neve portata dal vento che invadeva la strada, e lo spazzaneve gigante che guidava il convoglio di bus, perché senza la ruspa spazzaneve nessuno arriva a Capo Nord, durante tutto l’inverno, neppure a metà marzo. Difficile immaginarsi lo stesso posto stracolmo di camper, torpedoni e tende come succede ogni luglio e ogni agosto, difficile capire come i muri di ghiaccio possano lasciare spazio alle torme di bambini e motociclisti. A Capo Nord – luogo dell’immaginario collettivo, calamita per folle oceaniche attirate dal mito del Polo – ci sono il negozio di souvenir più grande della Norvegia, un cinema, una cappella Thai che definire fuori posto è un eufemismo, un troll con cui fare le foto, un casello autostradale in entrata e persino i pinguini antartici sulle cartoline – il Polo Sud è, come dire, un poco distante – ma quelle scogliere che scompaiono tra le nuvole di nebbia e neve non le scorderete, e non vi importerà neppure più di tanto che quello non è davvero il capo più a Nord dell’Europa, è un altro trucco del marketing, il capo vero è più a Nord, ma pazienza, fa freddo e c’è il sole e l’ebbrezza della libertà. 

Se prenderete la nave a Tromso e scenderete a Kirkenes, come abbiamo fatto noi, vi accorgerete in breve anche di altre cose. Per esempio che la storia norvegese di queste parti è una storia fatta di cacce e di balene, di spedizioni e tragedie: basterà una visita al museo polare di Tromsø per rendervene conto e capire l’epoca in cui queste latitudini estreme finirono sulle mappe e sui quotidiani di tutto il globo. Poi vi stupirete quando vi diranno che il mare è libero dai ghiacci grazie alla corrente del Golfo, quella che arriva fin dal Messico e si insinua fin nel più piccolo dei fiordi portando un piccolo, estremo bagliore di quel calore caribico, ma quando si doppia Capo Nord e si entra nella baia di Kirkenes, d’un tratto, le lastre gelate faranno crac sulla prua della nave perché la corrente se n’è andata, e il generale inverno comanda ancora lui. E infine arriverete in quello strano, incredibile paese che è Kirkenes, a qualche chilometro dal confine con la Russia, dove un bunker ancora fa bella mostra di sé in mezzo alle case del centro (triste record, quello di Kirkenes: la città più bombardata della seconda guerra mondiale dopo La Valletta, a Malta), il tasso di disoccupazione è all’uno per cento e in uno spettacolare hotel di ghiaccio si dorme in sacco a pelo a 300 euro a notte. Se il gelo non vi bloccherà le membra, aggiratevi tra i pescherecci russi che affollano il porto (a loro costa meno di oltreconfine: strano a dirsi, per un Paese caro come la Norvegia), stracolmi di nasse per la pesca di granchi giganti arrivati come clandestini dalla pacifica Kamchatka e ora proliferanti nelle acque gelate del Varangerfjord. 

Ma prima ancora di arrivare a Kirkenes vi auguriamo che sul postale dei fiordi vi capiti quello che è successo a noi, quando l’altoparlante in cabina ha annunciato quello che tutti stavamo aspettando, o forse sognando vista l’ora notturna. Vi barderete come eschimesi, alpinisti, esploratori artici, novelli Amundsen alla prova del Polo – solo che la meta sarà il ponte numero nove, mica l’Artico. Salirete i gradini a due a due, perché lei non aspetta, lei continua a cambiare, lei può sparire da un momento all’altro. Vi troverete a meno quindici, insieme ad altri coraggiosi schiacciati contro il fumaiolo della nave per ripararsi dal vento, le vette bianche di neve appena caduta al chiaror delle stelle, il mare color petrolio. E tutti insieme guarderete le strisce gialle all’orizzonte, i bagliori allo zenit, le luci extraterrestri di sabba stregati. “Hunting the light”, “Cacciando la luce” dice il motto scritto sulla nave Hurtigruten. D’estate la luce è quella perpetua del sole di mezzanotte. D’inverno è questa aurora boreale che fa battere i denti ma fa tornare in cabina con le scintille negli occhi. 

Foto di Stefano Brambilla