Botswana, l'ultimo santuario

Aaron HueyAaron HueyAaron HueyAaron HueyAaron Huey

Celebra 50 anni di indipendenza lo Stato africano che si propone come modello virtuoso nella tutela della natura in tutto il continente

La polvere rossastra del deserto del kalahari avvolge la nostra 4x4 in una nuvola di polvere mentre percorriamo il tracciato che conduce alla colline Tsodilo, nel Nord del Botswana. Improvvisamente si scorgono tre monoliti che emergono nel pianeggiante panorama che caratterizza la maggior parte di questo Stato africano. «In questo luogo vivono esseri umani da più di 100mila anni», spiega la mia guida. «Il popolo indigeno San crede che questo posto dia energia positiva a tutti». Le montagnette rocciose di Tsodilo, patrimonio Unesco dal 2001, conservano anche la più alta concentrazione di arte rupestre del pianeta, con più di 4.500 disegni. Le tre colline principali sono note con i nomi Maschio, Femmina e Figlio e sono riverite perché, secondo la tradizione locale, sono il luogo dove iniziò la creazione, una sorta di giardino dell’Eden per il popolo San. In effetti prove geologiche dimostrano che l’area era coperta d’acqua migliaia di anni fa e la pesca era ricca e abbondante. Xuntae Xhao mi accompagna su uno dei tanti sentieri che attraversano le Tsodilo Hills fino al punto preciso nel quale i suoi avi San credevano che il creatore avesse posato tutte le creature dal cielo. Le rocce sembrano zoccoli di un’antilope kudu e il profilo di un corpo umano si profila su una parete. «Prima sono venute le persone, poi gli animali per aiutarle a sopravvivere. Era un tempo in cui umani e animali erano tutti uguali», racconta Xhao. Oggi questo luogo venerato è tutelato dal Tsodilo Community Trust, una collaborazione innovativa tra gli abitanti della zona e il governo. «Il popolo San è guardiano e beneficiario delle colline Tsodilo», spiega Charles Motshubi, manager del progetto. Xhao annuisce. «Siamo noi a conoscere le vecchie storie di queste terre». Arriva la notte e sale il vento che, insinuandosi tra le rocce preistoriche decorate con figure di rinoceronti, elefanti e antilopi eland, ulula alla luna.

Into the wild sul delta dell’Okavango
«Ippopotami e coccodrilli pattugliano le acque profonde, meglio se rimaniamo in quelle basse e lasciamo loro la giusta privacy», dice Goitseone Monnaphutego mentre ci inoltriamo con il mokoro, una canoa, nel delta dell’Okavango. Quello che non dice è che agli elefanti l’acqua piace in tutti e due i modi, profonda o meno. Due esemplari maschi emergono infatti da dietro un canneto davanti a noi. Quando quello più grosso si gira verso di noi e agita le orecchie per avvertirci, Monnaphutego porta il mokoro in un angolo più riparato e sussurra: «Chiunque dica che il leone è il re della giungla si sbaglia. Quel titolo è sempre spettato all’elefante». Questo re è in grave pericolo. Dal 2010 al 2012 più di 100mila elefanti africani sono stati massacrati in tutto il continente, per soddisfare il commercio illegale di avorio in Asia. In questa confusione, il Botswana sta diventando velocemente il loro ultimo santuario. Questo Paese senza sbocchi sul mare vanta i più imponenti branchi di elefanti liberi in tutta l’Africa e ospita un terzo di tutta la popolazione del continente. «Se questa tendenza del bracconaggio continua così, senza sosta, è possibile che gli elefanti si estingueranno nello spazio di una vita», ha dichiarato lo scorso luglio Seretse Khama Ian Khama, il presidente del Botswana che è molto attento alla loro tutela. Il suo progetto prevede la promozione di un sistema di ecoturismo su base comunitaria, l’inasprimento delle pene per i bracconieri e la messa al bando totale delle battute di caccia. Monnaphutego esemplifica questo approccio alla conservazione. «Mio padre era un bracconiere; io ero destinato a seguire il suo percorso almeno fino a quando ho capito che gli animali selvatici sono da preservare, non temere, per migliorare le nostre vite». Lui e la veterana delle guide locali Kgaga Kgaga mandano avanti l’Okavango Museum Explorations, un’agenzia specializzata nei tour sul delta in mokoro. Rappresentano una nuova generazione di imprenditori africani nel settore dell’ecoturismo. Quasi tutti i giorni navigano sulle acque, «che i nostri avi hanno usato per secoli», incontrando ippopotami, aquile pescatrici africane, aironi golia e gru caruncolate. Una sera vediamo per un attimo un sitatunga, una specie di antilope d’acqua che gli abitanti di qui chiamano l’unicorno del Botswana. «Ho visto un sitatunga solo tre volte nella mia vita», mormora Monnaphutego: «appare e poi subito dopo scompare». l’arca africanA nella riserva moremi «Ci sono licaoni là avanti!» urla il nostro “segugio” seduto su un sedile saldato sul cofano della nostra Toyota Land Cruiser. Dall’alba stiamo seguendo le tracce di uno dei mammiferi più sfuggenti e in pericolo del mondo, il cane selvatico africano o licaone. Non ne seguiamo uno ma un branco di 21. Una confusa serie di tracce rivela che la sera precedente questo branco stava cacciando un impala. Con lo stomaco pieno, la famiglia si sta ora rilassando all’ombra di un’acacia. I cuccioli Giocherellano, gli adulti sonnecchiano dando un’immagine falsata e troppo rilassata della realtà: la loro intera popolazione si è ridotta a circa cinquemila esemplari cosa che li porta evidentemente sulla porta dell’estinzione. La buona notizia? La riserva Moremi con il suo ecosistema che alterna paludi a praterie e foreste di acacia e alberi di mopane (noti anche come alberi farfalla, ndr), è diventata una roccaforte dei licaoni. Il primo di questi santuari fu creato dalle comunità locali negli anni Sessanta. Oggi strutture come il Sandibe Okavango Lodge offrono la possibilità di pernottare e fare escursioni nel Moremi. «La conservazione è al centro di tutto quello che facciamo», mi conferma il direttore del lodge Joss Kent. La sua compagnia, in partnership con un’altra, la Great Plains Conservation, e il governo del Botswana, si è imbarcata in un altro progetto ambizioso, Rinoceronti senza frontiere, per salvare un altro animale iconico ora a rischio di estinzione: un corno di rinoceronte può valere anche 200mila euro sul mercato nero (i suoi supposti poteri medicinali sono stai ampiamenti smentiti dalla scienza). L’impegno è diffuso tra gli imprenditori locali che stanno promuovendo campagne per mettere in salvo rinoceronti dei Paesi limitrofi dove il bracconaggio ha raggiunto numeri straordinari negli ultimi anni. Il Botswana è diventato il paradiso più sicuro in Africa, una moderna arca di Noè per tutte le specie minacciate d’estinzione. E il Sandibe Okavango Lodge sembra esso stesso un’arca, anche se di un genere decisamente lussuoso. Gli elefanti rosicchiano alberi e piante vicine alle stanze degli ospiti, i babbuini scorrazzano attraverso la veranda del lodge e alcuni leoni non troppo lontani lanciano richiami con ruggiti profondi.

Distese saline del Kalahari verso il Makgadikgadi
Una delle più incredibili visioni dal satellite sull’Africa sono una serie di bianche e oblunghe distese nella parte meridionale del continente. Avvicinando l’immagine appaiono le distese saline del bacino di Makgadikgadi. Arido, infinito, vuoto, apparentemente senza vita. Eppure in questo luogo desolato, caldo di giorno e freddo di notte, non mancano le impronte di zebre, giraffe, struzzi e altre creature che attraversano il terreno lasciando segni che mi ricordano quelli del primo uomo sulla luna. Tracce apparentemente senza senso che raccontano però una storia: è qui che, ogni anno, si svolge una delle più epiche migrazioni d’Africa, quando grandi branchi di zebre si mettono in viaggio verso le zone circostanti dove vanno alla ricerca di erbe ricche di minerali. Le zebre sembrano però poche in confronto alle centinaia di migliaia di fenicotteri che vanno a nidificare nelle aree più remote del bacino. Basta fermarsi un attimo e la vita si materializza anche qui. «Vogliamo riportare semplicità nei safari e per noi questo significa stare all’aperto in sella a un cavallo», spiega David Foot che ha messo in piedi il progetto Ride Botswana con la moglie Robyn. La loro missione è di offrire ai viaggiatori l’opportunità di sperimentare un safari africano come si faceva un tempo, prima dell’avvento dei 4x4. Dall’accampamento San, composto da sei tende arredate con mobili d’antiquariato e prodotti artigianali, prepariamo i cavalli e partiamo. Nei circa 12mila chilometri quadrati di Makgadikgadi che ci circondano non vedo un edificio, un ripetitore o una strada asfaltata in nessuna direzione. Al tramonto ci fermiamo per un aperitivo mentre branchi di gnu ci osservano incuriositi. Senza l’ausilio di motori di nessun tipo, ci mescoliamo con il regno animale. «Ho sentito che ci sono hotel a sette stelle da qualche parte nel mondo», dice Robyn e, allargando le braccia verso il cielo sopra di noi dichiara: «Questo è un hotel da un milione di stelle». Più tardi quella sera incontro Super, la guida anziana dell’accampamento San che ha speso gli ultimi 26 anni a esplorare il bacino di sale. Usciamo per una gita in notturna e incontriamo una delle specie più rare di iena, quella bruna, ma anche un altro raro animale notturno, il solitario protele. E quando un grande istrice sudafricano ci taglia la strada capisco che il mio giro in notturna è davvero completo.

In bicicletta nel bush safari a Tuli Block Tuli Block
Una striscia di terra nella parte più orientale del Paese, è un posto dove la popolazione e la natura si mescolano a beneficio di entrambi. Ospita la riserva Mashatu, la più grande area protetta privata di tutta la parte meridionale del continente africano e dispone di tour operator, lodge, dal rustico al lussuoso, tutti gestiti e di proprietà della popolazione locale. Tuli è anche l’unico posto in Botswana dove si possono fare safari in mountain bike. L’ideatore delle pedalate nel bush è Johan Rakumako che ha contribuito a disegnare la mappa del Tour de Tuli, un tour di cinque giorni sulle “strade” migratorie degli elefanti. Chi poteva immaginare che questi pachidermi potessero creare dei sentieri perfetti da seguire in bicicletta? «Vedere un elefante mentre si pedala è un’esperienza unica», racconta con entusiasmo Rakumako mentre ci prepariamo per una gita di un giorno nella remota Limpopo River Valley, la valle del fiume Limpopo, dove i confini di Botswana, Zimbabwe e Sudafrica si intersecano. Questa parte del Paese è molto diversa: scarpate rocciose e crinali di arenaria al posto di pianure. E ancora, impetuose cascate e alberi di Nyala che rendono tutto particolarmente verde. L’euforia di questi giorni indimenticabili mi travolge. Ora so che Rakumako, Monnaphutego, Kgaga, Xhao e molti altri che ho incontrato stanno creando un futuro per loro stessi, ma anche per alcune delle specie più in pericolo della Terra. Mentre pedaliamo sulle autostrade create dai passi pesanti degli elefanti, attraverso fiumi in secca e campi aperti, gruppi di galline faraone starnazzano, le antilopi eland brucano tranquille mentre mandrie di impala e giraffe dallo sguardo nobile ci osservano passare.

Foto di Aaron Huey