Palcoscenico palermitano

Gianni CiprianoGianni CiprianoGianni CiprianoGianni CiprianoGianni CiprianiGianni CiprianoGianni CiprianoGianni Cipriano

La città dei teatri e dei pupi ha una vita culturale vivace che si anima nei tanti palcoscenici. Ma l’anima di Palermo si trova soprattutto nelle piazze, nei mercati e per strade

Nel gennaio del 1990 Pina Bausch apriva il suo spettacolo Palermo Palermo con l’immagine enigmatica del crollo di un muro: qualcuno ci vide un segno di speranza, l’atto di ribellione di una città che proprio in quegli anni si apriva alla sua primavera, qualcun altro il triste richiamo all’immagine di una Palermo martoriata dai bombardamenti della seconda guerra mondiale e alle macerie che tuttora occupano le strade del centro storico. Palermo è così: un insieme di sensazioni spesso contrastanti che oscillano dalla speranza alla sfiducia, dalla volontà di riscatto alla più cupa rassegnazione. È una calamita che attrae con forza a sé chi esausto la vorrebbe lasciare, ma che a un tratto cambia di segno per respingere anche l’amante più appassionato. L’anima di Palermo scorre tra i vicoli, i mercati e i palazzi, negli occhi delle persone che diventano spesso attori e attrici inconsapevoli di piccole farse grottesche o di lunghi cori tragici. In fondo Palermo è un grande palcoscenico, su cui si alternano senza sosta spettacoli e interpreti diversi: l’anima di questa città è tutta teatrale.

Non è un caso, forse, che l’attività artistica di Palermo sia così vivace e che non manchi chi desidererebbe l’apertura di nuovi spazi culturali e il migliore funzionamento di quelli gestiti da Comune e Regione. Tuttavia, sono già molti gli spazi attivi, a cominciare dal tempio della lirica, il teatro Massimo che, insieme al Politeama, dove si svolgono i concerti dell’Orchestra sinfonica siciliana e degli Amici della musica, è l’icona musicale di Palermo. Dopo una chiusura ventennale, il Massimo ha riaperto i battenti nel 1997 e ospita oggi una stagione di concerti, opere e balletti, coinvolgendo anche registi poco ortodossi. Cerniera tra la città vecchia e quella nuova, il teatro Massimo sorge in piazza Verdi, a pochi passi da un altro tempio dell’arte, il teatro di via Bara all’Olivella, casa dell’opera dei pupi e del puparo e cuntista (cantastorie in siciliano) Mimmo Cuticchio. L’opera dei pupi era l’opera del popolo, di chi non poteva permettersi una poltrona al Massimo, dice spesso Cuticchio, il cui lavoro ha contribuito a far sì che questa forma d’arte fosse riconosciuta come patrimonio Unesco. Il 7 novembre 2015, poi, è stato inaugurato a palazzo Branciforte (sempre in via Bara) un allestimento permanente che ha permesso a Orlando, Angelica, Astolfo, Ferraù e a più di cento pupi ottocenteschi della famiglia Cuticchio di uscire dai bauli e trovare casa tra le scaffalature di legno dell’ex Monte di Pietà.

Proseguendo su via Bara, si giunge in via Roma: qui sorge il Biondo, simbolo del teatro di prosa inaugurato ai primi del Novecento. Da più di due anni il teatro è diretto dallo scrittore Roberto Alajmo, che ha aperto il Biondo a una molteplicità di linguaggi, riservando particolare attenzione ai migliori talenti del territorio. Artista residente è Emma Dante, che a Palermo gestisce uno spazio proprio, La Vicaria, vicino al Castello della Zisa. La Vicaria è la casa della compagnia Sud Costa Occidentale e ha tutte le caratteristiche di uno spazio autogestito e indipendente, dove si incoraggia un teatro sperimentale che conservi la propria autonomia rispetto ai circuiti ufficiali.

 

Non distante da qui, in via Paolo Gili, si apre il grande spazio dei Cantieri Culturali, un’area che venne realizzata per ospitare le officine industriali Ducrot e che dagli anni Novanta è stata riqualificata come centro in cui accogliere eventi e manifestazioni culturali. Fiore all’occhiello della prima amministrazione Orlando, per anni i Cantieri sono stati abbandonati a se stessi e solo da poco tempo sono tornati a lanciare segnali positivi e a rivendicare il ruolo di polo culturale cittadino. Qui hanno sede l’Accademia di Belle Arti, l’Institut français, il Goethe Institut, la sede siciliana del Centro Sperimentale di Cinematografia e il cinema Vittorio De Seta, dove Franco Maresco, ideatore con Daniele Ciprì di Cinico Tv, propone rassegne tematiche assieme all’associazione Lumpen. I Cantieri Culturali sono l’emblema delle potenzialità di una città come Palermo, che ha storia, spazi, idee e artisti per proporsi come centro di promozione della cultura, ma spesso si perde in un bicchier d’acqua di burocrazia, rimandi e scarsa lungimiranza. Per rimanere in un’area liminare – sia dal punto di vista della geografia cittadina sia da quello del circuito di produzione ufficiale – ci spostiamo in via Anwar Sadat, dove ha sede il teatro Mediterraneo Occupato che, tra sgomberi e difficoltà, resiste e lavora, bell’esempio di fermento di chi crede alla forza dell’autogestione e alla libertà di espressione.

Di chiusure e riaperture ne sa qualcosa anche il Teatro Nuovo Montevergini, ospitato all’interno della seicentesca chiesa barocca di Montevergini, a pochi passi dalla Moschea: lo spazio è meraviglioso e l’architettura da sola costituisce una scenografia d’eccezione. Al teatro si arriva addentrandosi nelle strette strade che alle spalle di corso Vittorio Emanuele si intersecano come in un labirinto tra la Cattedrale e i Quattro Canti. Non molto distante da qui, sempre nel groviglio di strade del centro storico di Palermo, sorge il minuscolo teatro alla Guilla, inaugurato nel 2008 e oggi sede di performance, concerti, laboratori e letture.

È proprio nel centro storico che vive l’anima più teatrale di questa città, un’anima che ha nel dialetto la sua espressione più autentica. La quintessenza di questa teatralità si trova nei mercati – quattro i principali: Vucciria, Capo, Ballarò e Borgo vecchio – dove si uò assistere allo spettacolo quotidiano degli abbanniatori, venditori di strada che gridano per pubblicizzare la propria merce, abbanniano, appunto. Abbanniatori stanziali, quelli dei mercati, abbanniatori ambulanti, quelli che si incontrano ancora per le strade di Palermo e che vendono sale, sfincione e quant’altro, sfrecciando ognuno con la sua Ape, che qui a Palermo chiamano Lapa.

Ritornando su corso Vittorio Emanuele, si va verso il mare che si intravede dall’arco di Porta Felice. Poco prima di arrivare alla porta, sulla destra, si apre l’ampia piazza Marina, circondata da antichi palazzi che vegliano maestosi sui ficus secolari del giardino Garibaldi, altra meraviglia di questa città. A piazza Marina sorge il teatro Libero, che dall’inizio degli anni Settanta è un punto di riferimento per le nuove tendenze della prosa e della danza. Qui vicino ha sede il Museo internazionale delle Marionette Antonio Pasqualino che, oltre a dedicare attenzione alla nostrana opera dei pupi, apre le porte anche a oggetti e a compagnie provenienti dall’India, dalla Cina, dalla Birmania, dal Vietnam, dalla Cambogia, dalla Turchia e da Bali.

Lasciato il Museo prima di arrivare a piazza Kalsa, si incontra il teatro Ditirammu, uno spazio dedicato alla rivisitazione della tradizione popolare siciliana, contaminata dal gusto contemporaneo. Proseguendo, si passa di fronte alla chiesa di S. Maria dello Spasimo, luogo ricco di fascino e spesso utilizzato per accogliere performance e concerti, e si giunge a piazza Magione, dove ha sede il teatro Garibaldi, in cui risuona ancora il successo di un pluriennale progetto di Carlo Cecchi e che ospita spettacoli internazionali di ricerca e di avanguardia.
Seppure con auspicabili e necessari miglioramenti, la vita artistica di Palermo trova in diversi angoli della città modi e luoghi per esprimersi.

Ma ci sono alcune eccezioni e l’eccezione più grande ha il nome di Franco Scaldati, poeta e drammaturgo palermitano scomparso nel 2013. Franco Maresco ha dedicato a Scaldati un bellissimo documentario, Gli uomini di questa città io non li conosco. Scaldati, esempio di strenua resistenza morale, non ha mai ricevuto il riconoscimento che questa città pure gli avrebbe dovuto tributare né un luogo fisico in cui far crescere il proprio teatro (a eccezione della lunga esperienza al Centro sociale S. Saverio all’Albergheria e dell’accoglienza che periodicamente gli ha offerto il teatro Biondo). “Senza casa”, Scaldati ha lasciato in eredità questa sua condizione alla compagnia da lui fondata e ora diretta da Melino Imparato. Scaldati diceva: «La bellezza è degli sconfitti. Il futuro non è dei vincitori, è di chi ha la capacità di vivere. E chi ha la capacità di vivere, di essere totalmente se stesso, è inevitabilmente sconfitto. È qui il seme che crea e si traduce in futuro, vita: una sconfitta di straordinaria bellezza. Le facce degli sconfitti, le loro voci, continuano a esistere. Sono i vincitori che non esisteranno più. Questo è il grande splendore dell’esistenza». Questa bellezza è anche la bellezza della Palermo che resiste, che non abbassa la guardia e non si adegua alla prepotenza di un certo pensiero dominante, che oggi trionfa, ma che domani, si spera, sarà solo un vago ricordo.

Foto di Gianni Cipriano