di Gianmario Marras | Foto di Gianmario Marras
La nuova edilizia sostenibile del Campidano. Una storia antichissima, fatta di grandi saperi e tecniche artigianali che diventa stile, arte e modo di vivere.
Làdiri. In Sardegna si chiamano così i mattoni in terra cruda, ottenuti facendo essiccare al sole un impasto di terra argillosa, piccoli ciottoli, acqua e paglia.
Un materiale da costruzione antico come la civiltà umana: di terra cruda erano le case di Babilonia e le mura della biblica Gerico, e di paglia e fango seccati al sole sono ancora oggi costruite le case in cui vive, secondo l’Unesco, la metà della popolazione mondiale. Una tecnica costruttiva conservatasi nel Sud della Sardegna più che in qualsiasi altro luogo d’Europa, con un patrimonio di oltre 25mila abitazioni distribuite in 184 paesi, nella piana ondulata del Campidano fra le città di Cagliari e Oristano.
Interi centri storici, sopravvissuti all’omologazione prodotta dal cemento, sono oggi il manifesto di una resistenza culturale in grado di incrociare la crescente esigenza di architetture sostenibili. Integrate e radicate nel territorio abitativo, edificate secondo la vecchia regola secondo cui “bisogna usare la terra cavata dallo stesso luogo dove sorgerà la casa”, troviamo case semplici, ville padronali, eleganti case a corte dai grandi portali con loggiato e ampie dimore familiari, come quella in cui vive, a San Sperate, l’artista Pinuccio Sciola. È la più antica del paese, costituita da due blocchi, separati da un grande cortile, ombreggiato da alberi e vegetazione.
Una casa che è come un porto di mare: negli spazi aperti si vedono gli utensili da lavoro dello scultore, usati per dare forma e anima alla pietra grezza. Blocchi di roccia calcarea, graniti e frammenti di vulcano, da cui Pinuccio è riuscito a trarre un suono ancestrale e melodioso come si immagina possa essere il canto delle sirene. Nelle stanze interne, cataste di libri, schizzi, carte, colori e pennelli, locandine, vecchie foto: come in un fermo immagine d’autore.
Un edificio acquistato 40 anni fa, divenuto nel tempo approdo di idee, persone, esperienze, dove la creatività incontra la quotidianità in maniera del tutto naturale. «Qui c’è spazio per ognuno, che sia un pastore, che sia un premio Nobel, come Pérez Esquivel» dice Sciola, davanti a un piatto fumante di fregola (pasta sarda) al trito di sedano, carote e salsa di pomodorini. E aggiunge «in una stanzetta, ho avuto ospite Don Cherry (celebre trombettista jazz statunitense, scomparso nel 1995; ndr), un giorno lo trovammo sul terrazzino che con il suo strumento parlava con gli uccelli».
Eppure qui, ancora negli anni Sessanta, «le condizioni erano quasi preistoriche, l’energia elettrica c’era solo in poche case, i soldi non esistevano e l’economia si reggeva sul baratto. Le case erano tutte in fango e paglia, ognuno si costruiva la propria. Alla fine dell’estate, terminato il raccolto, ogni famiglia costruiva i mattoni, i làdiri per riparare gli edifici» testimonia ancora Sciola. Poi la rivoluzione: i muri dipinti di bianco per la processione del Corpus Domini, il 13 giugno 1968, si trasformarono in altrettante tele per le opere degli artisti invitati da Sciola stesso. Il paese di fango si illuminò di luce nuova e l’arte offrì al borgo una prospettiva diversa, catapultandolo in pochi anni sulla ribalta internazionale.
Da allora San Sperate non è più stato solo il paese delle arance e delle pesche, è diventato il Paese Museo. Le sue strade e i suoi muri si sono arricchiti nel tempo di opere, donate da artisti in arrivo dai cinque continenti. Sembra una favola, ma è tutto vero. A testimoniarlo centinaia di murales, installazioni, sculture, botteghe artistiche e artigiane, incontri culturali e stage come quelli, divenuti ormai tradizione, con i giovani dell’Istituto d’arte Rudolf Steiner di Milano, impegnati ogni anno ad abbellire i muri delle case con le loro opere (info: www.turismosansperate.com).
È una strana pianura il Campidano: quasi mai piatta. Le strade sono un saliscendi fra altopiani, improvvisi rilievi, montagnole e speroni di roccia, creati in epoche remote dai movimenti della crosta terrestre e inframmezzati da sedimenti alluvionali. Un paesaggio privo di monotonia, in cui la vista si appaga a ogni chilometro. Campi coltivati a cereali, carciofi, pomodori e vigne, fanno da contorno ai borghi con case in terra cruda. Per decenni segno di povertà e abbandono, sono ora protagoniste di una rinascita, nel nome dell’architettura sostenibile e della bioedilizia. Terra argillosa mescolata con ciottoli, acqua e paglia, pressata in stampi di legno e messa a seccare al sole, per costruire mattoni, ma anche in maniera più innovativa per coperture, intonaci e pavimentazioni.
È un’edilizia facilmente realizzabile con bassi consumi energetici, che a chi oggi è attento alla sostenibilità ambientale offre ottime proprietà di isolamento termoacustico, resistenza all’elettromagnetismo e totale riciclabilità. Per promuoverne il riconoscimento, la conservazione e la diffusione stimolando lo sviluppo di un turismo responsabile nel territorio, opera dal 2001 l’Associazione internazionale Città della terra cruda con sede a Samassi, dove si possono avere informazioni sulle attività culturali e turistiche promosse nei comuni associati, e avere accesso alla più ricca biblioteca d’Europa sull’argomento (info: www.terracruda.org).
A Serramanna, un grosso borgo agricolo ricco di storia, c’è un’altra casa d’artista, quella di Flaviano Ortu. Una tipica dimora campidanese, con le stanze della casa al centro e corte doppia: una davanti, con lo spazio per il carro e i buoi, una dietro destinata alle attività domestiche.
Flaviano insegna disegno e storia dell’arte a Cagliari. «Qui ci vengo nel fine settimana e d’estate. Nel pagliaio ho lo studio dove dipingo, che ho tenuto con le pareti a nudo» dice, mentre aggiunge particolari sulla vita in questa casa dove è nato e ha visto nascere i suoi fratelli. «L’ho ristrutturata rispettandone la storia, i passaggi di tempo»; mi mostra i decori originali della stanza in stile Ottocento e di quella in stile Novecento, fatti da un imbianchino-pittore locale. In cortile c’è ancora il forno di mattoni in terra cruda, perfettamente funzionante. Per conservarlo insieme ad altre architetture in terra, Flaviano si è battuto fin da ragazzo, perché qui, testimonia: «negli anni Sessanta venivano a prendere le tegole e la gente era contenta di mettere l’eternit, e in cambio di una macina in pietra ti davano una bambola di plastica».
A Serramanna c’è anche una dei pochi laboratori in cui si fabbricano i mattoni in terra cruda; ci lavora Stefano Coccodi insieme a Francesco Carboni. Fanno tutto con le mani e con i piedi (necessari per impastare fango e paglia), alla vecchia maniera. La domanda è in crescita, ma i produttori che rispettano il metodo di fabbricazione tradizionale sono pochi, afferma Stefano:«non basta pressare insieme paglia e fango, si deve scegliere accuratamente la materia prima, rispettare le misure dei mattoni e i tempi di essiccazione con esposizione al sole di almeno tre settimane».
Il suo sogno? «Realizzare una casa in terra cruda, da consegnare chiavi in mano per 60mila euro», mi dice salutandomi, mentre con il dito sulla mappa, cerco la mia prossima destinazione. Siddi, per una sosta gourmand fra le mura di Casa Puddu, alla tavola del ristorante stellato S’Apposentu dello chef Roberto Petza, da anni protagonista del rilancio gastronomico e della valorizzazione delle eccellenze della produzione agricola locale, con la sua Accademia di alta cucina che attira giovani da tutto il mondo.
Ci arrivo attraversando Villasor, con la chiesa gotico-aragonese di S. Biagio e la casa fortezza medievale d’Alagon, nota anche come Castello di Seviller, per proseguire dopo pranzo verso sud, nel paesaggio ondulato di colline coperte di vigne della regione del Parteolla. A Soleminis, c’è la settecentesca Casa Spada, acquisita dal Comune e restaurata per divenire sede di eventi e di una collezione etnografica permanente; a Sinnai, Debora Tidu ha trasformato una casa in terra cruda nell’esclusivo bed & breakfast Corti Froria; a Settimo San Pietro, nella grande casa a corte dell’architetto Alessandro Baldussi, il design incontra l’antico in sorprendente sinergia, si organizzano eventi ed è possibile la visita in date prestabilite.
La statale 130 mi porta poi a Villamassargia, borgo fortificato in epoca pisana, con un ricco patrimonio di case in terra cruda, come la casa in via Mercato recuperata da Walter Secci e trasformata nel bed & breakfast Ventanas. Questo è un buon punto di partenza per esplorare le meraviglie del Sudovest dell’isola: boschi secolari, come quello dell’oasi naturalistica di S’ortu mannu (l’orto grande) piantato in epoca pisana dai monaci benedettini, e a soli 20 minuti, la costa delle miniere fra Masua e Nebida di fronte alle isole di San Pietro e Sant’Antioco.
Nello scenario verde attraversato dalla statale 126, raggiungo Guspini per incontrare Daniela Ducato, straordinaria imprenditrice nel campo della bioedilizia, insignita di numerosi premi fra i quali il prestigioso Euwiin International Awards come miglior innovatrice d’Europa, per aver avviato la produzione di materiali ad alta tecnologia senza uso di petrolio, con l’utilizzo di materie prime eccedenti, in buona sostanza scarti di lavorazione da materie agricole e alimentari, con largo utilizzo di terra cruda e lana di pecora.
«Faccio prodotti ispirandomi ai materiali usati dagli uccelli per costruire i loro nidi. Architetture perfette, fatte di fibre animali, di terra, di paglia, tutto in armonia con madre terra. Per me innovare è come guardare con gli occhi di formica, andare a lezione dai colombi, copiare dalle resistenti tane dei ricci», dice Daniela. E intanto, ricevuta l’onorificenza di Cavaliere della Repubblica Italiana per meriti ambientali, ha dato avvio a La Casa Verde CO2.0, il polo produttivo bioedilizio più grande d’Italia, con il coinvolgimento di 72 aziende, di cui 40 in Sardegna.
Basta guardarsi intorno per cogliere la potenza evocatrice di natura e paesaggio. Ci sono la spiaggia di Scivu, le dune di Piscinas, le miniere dismesse di Montevecchio e i monti di Villacidro con foreste e cascate, che ispirarono lo scrittore Giuseppe Dessì. Poco più a nord, gli arenili di quarzo della penisola del Sinis e la piana del Campidano, dove si può prenotare una stanza all’hotel Lucrezia, elegante albergo in terra cruda. E fra le rustiche cantine in paglia e fango di Nurachi, Solarussa e Riola Sardo, prepararsi a degustare in atmosfera d’altri tempi, la nobile e antica vernaccia di Oristano.