di Roberto Casalini
Artisti e imperatori, politici, grandi dame e starlette, spie, poeti e cantanti d’Europa e non solo, hanno letteralmente inventato la Costa più chic del mondo. Popolandola di ville, castelli, serate, feste e leggende. Che raccontiamo
«Conosci la terra dove fioriscono i limoni?». No, non è il lago di Garda. È Mentone, la Costa Azzurra che ci viene incontro lasciata l’Italia, Goethe approverebbe la correzione. Giardini su giardini. Come quello di Carnolès con le sue cento varietà di agrumi, o la Citronnaie sulle fasce collinari. Come Villa Maria Serena, alloggio di piante pregiate progettato per Ferdinand de Lesseps, quello dei canali di Suez e di Panama, o il giardino grecizzante delle Colombières allestito dall’illustratore Ferdinand Bac, pronipote di Napoleone. Giardini, a Mentone, vuol dire soprattutto giardini inglesi. Come l’esotico Val Rahmeh voluto da Lord Radcliffe, ex governatore di Malta, nel 1905. Come il più bello di tutti, Serre de la Madone con le sue 1.500 specie, creato amorevolmente tra il 1924 e il 1939 dal maggiore Lawrence Johnston. E come il Clos du Peyronnet, ancora dei Waterfield che misero a dimora le prime piante nel 1915. Già, gli inglesi. Gli inventori della Costa Azzurra, che nella prima metà dell’800 costruiscono la Promenade a Nizza ed erigono le prime dimore aristocratiche in un villaggio di pescatori chiamato Cannes. A Mentone arrivano nel 1861 con un medico in cerca di tepore, James Henry Bennett. Le sue memorie di quel soggiorno, Mentone and the Riviera as a winter climate, diventano un bestseller dell’epoca, sei edizioni in un anno. I connazionali seguono il richiamo: i ricchi e, anche, i tisici. Facile, per i cinici dell’epoca, fare dell’ironia: «A Nizza i matrimoni, a Mentone i funerali». Suscita battute e scongiuri «il cimitero più aristocratico del mondo», parola di Guy de Maupassant, «il magnifico cimitero che si affaccia sul mare eternamente giovane» di Gustave Flaubert. Il Cimetière du Vieux Chateau, dove accanto a un ministro della marina dello zar Nicola II, a una principessa polacca la cui statua sembra spiccare il volo, a una regina dei salotti parigini amica di Marcel Proust (la triestina Ernesta Stern che si firmava Maria Star), a banchieri, aristocratici e direttori d’orchestra, riposa l’architetto danese Hans-Georg Tersling, che costruì metà delle ville da Mentone a Nizza. Le tombe più celebri però – quella dell’enfant prodige Aubrey Beardsley, l’illustratore della Salomé di Oscar Wilde, e quella del reverendo William Webb Ellis, che nel 1823 inventò il rugby – si trovano al camposanto di Trabuquet.
A Mentone, a scorno dei maligni, gli inglesi tuttavia più che morire si rimettono in forze. Nel corso degli anni ci verranno Winston Churchill a dipingere paesaggi, Graham Sutherland a disegnare l’arazzo per la ricostruita cattedrale di Coventry, Elizabeth von Arnim cugina di Katherine Mansfield a scrivere, T. S. Eliot in luna di miele con la seconda moglie Valerie Fletcher. Nel 1882 ci arriva, al suo primo soggiorno in Costa Azzurra, la regina Vittoria. Alloggia allo Chalet des Rosiers, è entusiasta del clima e del paesaggio. Per Mentone è una pubblicità clamorosa, ricambiata con la centrale Place Victoria, che ospita una fontana sormontata da una statua della sovrana. Gli italiani, quando nella seconda guerra mondiale occuperanno la città – su quella pagina ingloriosa c’è un bel racconto di Italo Calvino, Avanguardisti a Mentone –, la butteranno a mare, e i mentonaschi cocciuti la rimetteranno al suo posto nel 1960. Nel 1920, quando vi soggiorna Katherine Mansfield, Mentone ha 5.000 inglesi residenti, 75 alberghi, due chiese anglicane e una presbiteriana, una tramvia e campi da tennis, centinaia di ville vigilate dalle palme. Inquieta e nomade, la scrittrice neozelandese arriva in Riviera per curare la tubercolosi. Soggiorna da una cugina a Villa Isola Bella, «la prima vera casa tutta mia che abbia mai amato», e nel 1921 riparte per la Svizzera. Oggi la villa è un piccolo museo, in una stanza-studio possono lavorare i giovani scrittori neozelandesi che ottengono, con la borsa di studio a lei intitolata, sei mesi di soggiorno e 75mila sterline. Discreta la Mansfield, chiassoso Vicente Blasco Ibañez. Lo scrittore spagnolo approda a Mentone nel 1921. Dai suoi romanzi sono stati tratti due film (I quattro cavalieri dell’Apocalisse e Sangue e arena) interpretati da Rodolfo Valentino. Con le royalties Blasco Ibañez si fa costruire un Alhambra in miniatura, Villa Fontana Rosa, un tripudio di maioliche un po’ kitsch che ospita nel patio i busti dei grandi della letteratura, da Cervantes a Balzac a Dickens.
Jean Cocteau invece, che dagli anni ’20 ha battuto la Costa Azzurra sino a Tolone a fumare oppio e inseguire amori e mecenati, a Mentone arriva nel 1955. È incantato dalla perla della Francia e Mentone ricambia, facendolo cittadino onorario nel 1958. In un reciproco gioco di cortesie, Cocteau affresca la sala dei matrimoni municipale e il sindaco gli fa dono del Bastione: l’autore della Voce umana ci vivrà e affrescherà anche quello. Diventerà il nucleo del Museo Cocteau, che oggi ospita duemila opere dell’artista. Chissà se Cocteau durante quel soggiorno ha percorso la Passeggiata Le Corbusier, che collega Mentone a Roquebrune-Cap Martin. L’avesse fatto sarebbe tornato indietro di quasi mezzo secolo, a quel 1911 in cui accompagnava l’amico Léon Daudet in visita dall’imperatrice Eugenia. La vedova di Napoleone III aveva allora 85 anni e chiamava Léon, che era l’amante in carica di Proust e stava scrivendo la biografia della sovrana, “mon cher enfant”. Eugenia viveva dal 1893 a Villa Cyrnos, una costruzione neoclassica di Tersling, ospitava la regina Vittoria e l’imperatrice Sissi – Cap Martin era stato ribattezzato “Capo delle Imperatrici” – ma anche Emmelyne Pankhurst e le suffragette. Anticonformista e curiosa, aveva fatto installare il telefono, girava a bordo di una Renault e a quasi ottant’anni aveva imparato ad andare in bicicletta. Avrebbe raggiunto i 94 anni in perfetta lucidità, stroncata soltanto da una polmonite, e la sua villa, passando di mano in mano, sarebbe andata a finire nelle mani di Al Abood Kawther, figlia dell’ex ambasciatore di Saddam Hussein a Roma e in Vaticano. A Mentone giardini, a Roquebrune (era la patria del Corsaro Nero di Salgari) ville su ville. Alla fine della Passeggiata si arriva al Cabanon, l’antivilla per l’eccellenza, dieci metri quadrati in legno, progettata e costruita fin nei minimi dettagli da Le Corbusier. Manca la cucina, il maestro andava al ristorante. Nei pressi c’è un monumento del modernismo, la villa E-1027 costruita negli anni ’20 da due amici di Le Corbusier, Jean Badovici e l’irlandese Eileen Gray, anche designer di mobili (nel 1972, quando il suo paravento laccato “Le Destin” viene battuto all’asta per 64mila dollari, la cifra più alta raggiunta allora da un pezzo di modernariato, il Sunday Times manda Bruce Chatwin a intervistarla).
Dalla Passeggiata si vedono anche la neo-bizantina Villa Cypris che appartenne al proprietario dei Magazins du Louvre, Le Souco di Dorothy Bussy sorella di Lytton Strachey, la faraonica Villa del Mare del dittatore zairota Mobutu (oggi, passata all’oligarca russo Shalva Chigirinsky, si chiama Villa Irina), Villa Zoraide di Daisy Fellowes erede delle macchine da cucire Singer. Soprattutto, si vede la sfrontata Casa del Mare che Dino De Laurentiis abitò con Silvana Mangano: leoni in pietra, un parco che si affaccia sulla spiaggia, un ficus immenso, eucalipiti albini. Le foto degli anni ’50 mostrano Mario Monicelli e Kirk Douglas che giocano a bocce, Camerini e Sordi che li osservano, Federico Fellini con Giulietta Masina. Sulle spiagge di Cabbè, a pochi minuti da Monaco, si affaccia la casa che Jacques Brel compra nel 1960: qui scrive capolavori come Le plat pays e Amsterdam; ora ci sta un architetto italiano. In alto, sulle colline, si nasconde La Pausa, la villa che Coco Chanel si fece costruire nel 1929, quando stava con il duca di Westminster. Celebre lo scalone (lei diceva di essersi ispirata a Versailles, in realtà aveva riprodotto quello dell’orfanotrofio di Aubazine dove era stata cresciuta), stratosferici e assortiti gli ospiti, da Stravinskij a Visconti, da Picasso a Dalí. Ceduta nel 1953 a un americano, La Pausa è stata riacquistata nei mesi scorsi dalla Maison Chanel per 40 milioni di euro. Dalle ville al Casinò, pochi chilometri e siamo a Montecarlo. Che cosa dirne? Tutti vip nessun vip, troppe celebrità da parata e troppi residenti per ragioni fiscali. E se proprio dobbiamo eleggere un genius loci che strida con questo reality show di lusso, scegliamo il grande chansonnier Léo Ferré, anarchico e, incredibile a dirsi, monegasco.
Gli scrittori però hanno frequentato Montecarlo con assiduità, pur dicendone tutto il male possibile. «Il più ripugnante luogo inventato da Dio» per Oscar Wilde, turista con Lord Alfred Douglas nel 1895 prima che esplodesse lo scandalo (ma Vita Sackville-West, nel 1918, ci si troverà benissimo con l’amante Violet Trefusis). «Un’anticamera dell’inferno, un attraente antro del diavolo» per Katherine Mansfield, in gita con un’amica nel 1920. Nello stesso anno, la diciassettenne Marguerite Yourcenar accompagna il padre giocatore e dissipatore: giudiziosa, gli consiglia di sposare l’amante e assieme a lui legge le Memorie di Saint-Simon. Al Casinò gli scrittori in genere perdono e pochi si azzardano a vedere altro (lo fa Evelyn Waugh, che visita l’Acquario e lo trova simile a una pescheria). Perde 500 franchi Cechov e commenta serafico: «Almeno potrò dire ai miei nipoti che ho giocato alla roulette», perde Paul Eluard e gli tremano le mani. Vince invece Walter Benjamin, che si procura i soldi per andare in Corsica. E vince alla grande anche Luigi Pirandello: meglio, vince una fortuna il suo Mattia Pascal, 82mila lire. Poi, mentre torna in treno a Nizza, scopre su un giornale che è diventato “fu”, che hanno ritrovato il suo corpo, e decide di cambiare nome, si chiamerà Adriano Meis e comincerà, come è noto, una nuova vita. Si prosegue per Cap d’Ail, a cercare la casa di Greta Garbo: Villa Le Roc, buen retiro del finanziere americano di origine russa George Schlee, marito di Valentina Sanina costumista per Broadway e Hollywood. Schlee incontra la Garbo negli anni ’40: da allora è amico, amministratore, amante. Con lui la svedese frequenta Cap d’Ail per trent’anni, in questa villa appartata con un accesso diretto al mare. Vecchie suggestioni del cinema che fu: qui c’erano anche le tre ville che i fratelli Lumière, pionieri della settima arte, si fecero costruire a fine Ottocento, resiste Villa Hèlios. Un’altra vecchia gloria francese, Sacha Guitry, si affacciava sul mare a Les Funambules, mentre il solito Winston Churchill alloggiava alla Capponcina di Lord Beaverbrook, editore (Daily Express, Evening Standard) e ministro conservatore. Teste coronate a Chateau de l’Hermitage, costruito a fine Ottocento da Tersling per sir Edward Malet, ambasciatore britannico a Berlino: ospitò tra gli altri la regina Vittoria, Edoardo VII e Leopoldo del Belgio; nel 2013 era in vendita per 102 milioni di dollari.
Dom Pedro, deposto imperatore del Brasile, scendeva invece alla Residence du Cap Fleuri, i reali inglesi villeggiavano negli anni ’30 a Castel Lina, Josephine Baker era di casa a Mirasol e André Malraux, romanziere e nel secondo dopoguerra ministro della Cultura di De Gaulle, risiedette a lungo a Villa Les Camelias, ora museo di storia locale. Cinque minuti e si raggiunge Eze, villaggio di rockstar e filosofi, principi senza corona, scrittori e personaggi da thriller. A Eze-bord-de-mer, villa Les Roses è la residenza francese di Bono degli U2: i fan bivaccano sulla spiaggia, pronti a registrare ogni suono della casa. Poco più in là The Edge, che a Eze si è sposato nel 2002, abita in un villino. Gli altri membri della band irlandese stanno nei paraggi: Larry Mullen jr. a Beaulieu, Adam Clayton a St. Jean-Cap-Ferrat. Dalla riva si sale a Eze-village, paesino medievale arroccato sulla collina, per l’impervio Sentiero Nietzsche: dice la leggenda che il filosofo, durante l’ascensione, vi concepì la terza parte di Così parlò Zarathustra. Dal 1920 al 1953 ci ha abitato Guglielmo di Svezia secondogenito di Gustavo V, principe francofilo, viaggiatore, archeologo e scrittore. La sua residenza, Chateau Eza, è ora un hotel di lusso. E fino al 1990, a Eze è stata di casa Maria Gabriella di Savoia, che qui si è sposata nel 1969 con il finanziere Robert de Balkany. Passeggiando per il paese avrà forse incontrato lo scrittore gauchiste Maurice Blanchot, amico di Marguerite Duras e di Elio Vittorini. Presenze, fantasmi: a Eze abitava anche il commissario di polizia Nicolas Hulot, che nel noir Io uccido! di Giorgio Faletti dava la caccia al serial killer. Si scende, si torna in riva al mare.
A Beaulieu, accanto alla tenuta che fu di Gustave Eiffel, c’è uno straordinario sogno a occhi aperti, il coronamento di un’ossessione: la bianca e luminosa Villa Kerylos oggi di proprietà dell’Institut de France cinta per tre lati dal mare, che reinventa sul filo del kitsch, ma riuscendo prodigiosamente a evitarlo, un’ideale dimora della Grecia classica, l’ispirazione è Delos nel secondo secolo avanti Cristo, con affreschi pompeiani e mosaici, statue e anfore. Anche i mobili ricalcano gli originali greci custoditi al Museo archeologico di Napoli. La fa costruire, tra il 1902 e il 1908, Thèodore Reinach, politico (è deputato per il blocco repubblicano) e studioso (è archeologo, matematico, giurista, filologo, epigrafista, storico, numismatico e musicologo). Viene da una famiglia di banchieri ebrei originari di Francoforte e imparentati con i Rothschild, a Villa Kerylos trascorrono molte estati il figlio Léon e la nuora Béatrice de Camondo che moriranno ad Auschwitz. Sulla storia della famiglia Filippo Tuena ha scritto le Variazioni Reinach, premio Bagutta 2005. Usciamo da Villa Kerylos per andare alla Reserve, albergo tra i più blasonati della Costa (fra gli ospiti sir Thomas Lipton e Charlie Chaplin, l’Aga Khan e Rita Hayworth, Paul Newman e Jack Nicholson), che nacque come ristorante nel 1880. Proprio in questo ristorante, nel 1959, cominciò l’ultima, la più importante storia d’amore del romanziere Graham Greene. Lei era Yvonne Cloetta, una francese bionda e graziosa, moglie di un dirigente della Unilever. Era rientrata da poco in Francia, assieme ai figli, dall’Africa, dov’era rimasto il marito e dove, qualche mese prima, aveva conosciuto lo scrittore. Si innamorarono mentre lei raccontava a Greene l’angoscia che le dava la nuova situazione. Rimasero insieme per più di trent’anni ad Antibes, alla luce del sole. Ma lei non lasciò il marito e lui, che era separato, non divorziò. E quando nel 1991 lo scrittore morì, al suo funerale c’erano due vedove.