Il viaggiatore. Un tanga di terracotta

Già un millennio di anni fa gli indios Marajó utilizzavano l’indumento oggi icona sulle spiagge di Rio

Domenica mattina a San Paolo del Brasile. Passeggiavo lungo la grande Avenida Paulista inondata dal sole. Qualche ora davanti a me, prima del prossimo aereo, per tentare di riabituarmi al traffico cittadino anche se la mente era ancora nel villaggio degli indios Yanomami, sul confine tra Brasile e Venezuela, dove avevo passato le ultime settimane.
A pochi passi dall’imponente museo d’Arte mi soffermai tra le bancarelle di un mercatino delle pulci che non prometteva granché. Ma tra varie cianfrusaglie vidi qualcosa che proprio non mi aspettavo: un tanga di terracotta, proprio come quelli che avevo visto sui libri di archeologia. Lo rigirai tra le mani con cautela osservandolo nei minimi particolari: era senza dubbio autentico e aveva un migliaio di anni.
Il venditore mi guardava incuriosito senza parlare. Poi si avvicinò e con aria di sfida mi chiese se sapevo cos’era. «Se indovina glielo regalo per un dollaro; altrimenti ne voglio trenta». Accettai la sfida e con ostentata sicurezza tirai fuori dalla tasca un dollaro e glielo porsi, senza dire una parola. Lui mi guardava stupefatto, mentre io incartavo il tanga in un pezzo di giornale. «Un momento signore, prima mi deve dire cos’è!» Accettai l’interrogazione come uno studente diligente. «Si tratta di un tanga e viene certamente dalla grande isola di Marajó, alla foce del Rio delle Amazzoni. In tutto il Brasile solo gli indios Marajó hanno prodotto tanga di terracotta. È riferibile alla fase culturale Marajoara che si sviluppò tra l’anno 400 e il 1350. Quindi può avere 1600 anni o 650; non posso essere più preciso perché non ha alcuna decorazione che aiuti a datarlo meglio. I tre forellini che si vedono agli apici servivano per farci passare le cordicelle e legarlo al corpo».

Il mio uomo era decisamente sorpreso, e io cercai di stupirlo. «Se ne conoscono di due tipi: quelli semplici come questo, senza decorazione, erano utilizzati dalle donne sposate; sono molto bombati e sembrano più adatti a persone piuttosto in carne. Quelli delle ragazze più giovani erano invece più piccoli, meno incurvati, dipinti in ocra chiaro e decorati con sottili motivi geometrici rosso-bruno che paiono eleganti pizzi e spesso richiamano simboli sessuali. In un primo momento gli archeologi pensavano che la differenza tra i due tipi indicasse diverse classi sociali, ma poi hanno capito che erano riferibili a due fasce di età. Ciò è stato stabilito sulla base dei resti ossei, associati a questi oggetti, ritrovati nelle grandi urne funerarie. Non dovevano essere molto pratici quindi è possibile che fossero utilizzati in occasione di particolari cerimonie, mentre nella vita di tutti i giorni probabilmente si usavano tanga realizzati con fibre vegetali intrecciate; più comodi e meno fragili».
Il venditore mi aveva ascoltato senza batter ciglio e quando terminai la mia piccola conferenza confessò che nessuno prima di allora aveva saputo rispondere alla sua domanda provocatoria, tanto che da mesi l’oggetto aspettava un compratore. Gli spiegai che aveva perduto ventinove dollari perché da sempre mi occupavodi etnografia e archeologia precolombiane e conoscevo i tanga dell’isola di Marajó per averne letto su diversi libri. Quindi io ero stato fortunato, lui no. Rise di gusto anche se aveva perso il duello, soddisfatto di avermi interrogato; ma soprattutto perché quello che gli avevo detto, lui lo sapeva già.
Partii per il Mato Grosso, dove mi aspettava un’altra tribù, ma strada facendo mi rubarono un bagaglio, quello dov’era il tanga di terracotta e la mia biancheria. Chissà cosa avrà pensato il ladro.