Islanda, viaggio al centro della luna

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Un tour nel Nord del Paese da Reykjavík a Húsavík, fra villaggi solitari, ampie baie, vulcani e campi di lava, pecore e cavalli. Sulle tracce degli astronauti della Nasa nelle Highlands, dove 50 anni fa fecero le prove generali di allunaggio 

È nei piccoli paesi che nascono grandi sogni. Quelli che prendono corpo nella minuscola Islanda del ghiaccio e del fuoco. Quelli liberati da cieli felici per sgroppate di nuvole ribelli, che inseguono i raggi di sole mentre tagliano la lamina dell’acqua e si incuneano fra le pieghe della terra. Quelli che gli scrosci d’acqua sospendono insieme a frange d’argento ai rami dei pochi alberi e il canto degli uccelli affida al respiro del vento. Voglia di evadere, di esplorare, di spingersi oltre i limiti che il destino ha riservato per scrivere la propria storia. Eppure questa non è una terra di eroi ma di piccole esistenze coraggiose, eterni coloni di un luogo senza tempo. 

Estrema, dura, tutta d’un pezzo, l’Islanda non scende a compromessi. È un Paese per sottrazione, che svuota e libera la mente e il cuore e riporta tutto all’essenza. È natura allo stato puro, esuberante, drammatica, ascetica. È l’infanzia del mondo. Rifiuta l’omologazione, rivendica il diritto di essere se stessa, detta le proprie regole. Non vende la propria anima, non si consegna al turismo nonostante viva di turismo. L’Islanda si sceglie, sedotti da un’immagine letteraria prima che reale. Si arriva stranieri, si riparte innamorati di frammenti di vita accarezzati e subito persi. Stregati da una bellezza che nasce da cose semplici, in luoghi semplici. Che germoglia da luci e colori che si fanno superfici, volumi, linee, mentre nell’aria dalla friabilità luminosa o nella malinconia opaca di nebbia e di pensieri si respira il fremito della natura e si beve la vita. Si vive una libertà che sa di acqua e di luce, di terra e di vento e del grido degli uccelli. Si inciampa nel silenzio di villaggi e di baie, si respira lo stupore della quotidianità e delle piccole cose. Si cavalcano arcobaleni e cascate, cullati da una solitudine che spinge alla riflessione, e alla pazienza. Eppure non c’è nulla di retorico e stereotipato in quest’isola dove case e alberi sono un’eccezione nel paesaggio. Una terra croccante di pomice, lava pietrificata che sfilaccia la terra, si distende, si raggruma. Logorata dall’oceano da un lato, nutrita dai ghiacciai dall’altro, come il mare, il deserto, l’Islanda è uno spettacolo senza attributi. Compatta, austera, stretta ai suoi vulcani, difende il suo cuore di ghiaccio, lasciando ai mortali solo il conforto della fascia costiera. Quella sulla quale si avvita la Ring Road, la Statale n. 1, l’unica dell’isola, che ritma e collega un paesaggio che si chiude in baie raccolte, si dilata in laghi golfi, si chiazza di case, si inerpica su alture, precipita su vallate. 

All’inizio ti affidi alla cartina, poi i nomi impossibili da memorizzare le fanno fare un lancio sul sedile posteriore. Ti arrendi, accetti il gioco, ti abbandoni alla strada, insegui ciclisti che sbucano dal nulla e vanno verso il nulla, resti in ascolto delle acque, delle erbe e degli uccelli. Ti butti in un monopoli di paesi, valli, monti, dove gruppetti di macchine a cavalcioni della strada sono sicuro indizio di qualcosa da vedere: una cascata, un branco di cavalli, un chiesetta timida. Rapide rissose, cascate aggressive, geyser giocosi, vulcani feroci, terra crepata dal calore: questo è il luogo dei miti, della natura estrema, il porto franco della fantasia e delle avventure umane. Fonte di ispirazione per Victor Hugo con Han d’Islanda, Pierre Loti con Pescatore d’Islanda, Giacomo Leopardi con Dialogo della Natura e di un Islandese e soprattutto Jules Verne, che dal vulcano Snæffel fa iniziare il suo Viaggio al centro della terra. 

 

L’Islanda non si racconta, la si deve vivere e ognuno che vi si addentra diventa suo malgrado un esploratore. Come i Vichinghi, i primi europei ad arrivare in America, come gli astronauti delle missioni Apollo: dalla terra alla luna. Epicentro di tutto Húsavík, sulla costa settentrionale, a 480 chilometri da Reykjavík, primo insediamento vichingo del Paese nel IX secolo e l’abitato più importante nei pressi dei campi di addestramento dove poco più di cinquant’anni fa due gruppi di astronauti furono spediti dalla Nasa a studiare la geologia dei vulcani e completare la loro formazione in vista dei futuri allunaggi. L’estate scorsa Harrison Schmitt (Apollo 17), Russell Schweickart (Apollo 9), Walter Cunningham (Apollo 7) e la famiglia di Neil Armstrong, il primo uomo sulla Luna nel 1969, sono tornati in quei luoghi e hanno inaugurato un monumento a ricordo dei 32 astronauti che parteciparono alle due spedizioni, nove dei quali furono tra i 12 che toccarono il suolo lunare. La formazione degli equipaggi del Programma Apollo era iniziata nel 1964 in Arizona e proseguita al Grand Canyon, Texas, Oregon, New Mexico, Hawaii e Alaska. Ma le caratteristiche geologiche dell’Islanda erano le più simili a quanto avrebbero trovato sulla Luna.

Un primo gruppo arrivò nel luglio del 1965, un secondo nel 1967, sempre a luglio. L’addestramento si svolse nelle Highlands, a nord del lago Mývatn, nella zona di Drekagil, Nautagil, Askja. Nel 2015 a condurre gli astronauti fra campi di lava, aree geotermiche e caldere in questa spedizione organizzata dal direttore del Museo dell’esplorazione di Húsavík, Örlygur Hnefill Örlygsson, lo stesso autobus Mercedes azzurro usato cinquant’anni prima, guidato dal nipote dell’autista del 1965-67. Pochi conoscono la parentesi islandese delle missioni Apollo, compresi gli stessi islandesi. Che pure non ignorano quanto siano stati importanti i rapporti con gli Usa fin dalla seconda guerra mondiale, quando l’occupazione delle truppe angloamericane dà un colpo di accelleratore allo sviluppo delle infrastrutture locali. Nel 1946 il Paese, per anni scalo strategico di grande importanza, entra nell’Onu e apre agli americani la base di Keflavik, che verrà abbandonata dai militari nel 2006. Nel 1986 a Reykjavík l’incontro fra Reagan e Gorbachov segna la conclusione di quella Guerra Fredda che quattordici anni prima Bobby Fischer e Boris Spassky avevano giocato sulla scacchiera, fermando per la prima volta l’Islanda nelle carte geografiche. Eppure bisogna attendere la voce ipnotica di Björk perché il mondo cominci a essere incuriosito da questo Paese di poco più di 100mila chilometri quadrati. Una delle società più aperte esistenti, che ha avuto il primo presidente della Repubblica e il primo ministro donna (e lesbica) del mondo e un comico, Jón Gnarr, fondatore del partito Besti flokkurinn, come sindaco di Reykjavík. Ma anche una delle più colte, vantando il maggior numero di laureati e la più alta vendita di libri e giornali, oltre a 400mila biglietti teatrali l’anno, con una popolazione di circa 300mila abitanti. 

Nel 2008 il crollo delle tre principali banche ha portato il Paese sull’orlo della bancarotta eppure oggi l’Islanda è tornata in sella. Negli ultimi sei anni il turismo è esploso, passando da 600mila a 1.2 milioni di presenze e la storia degli astronauti comincia a essere conosciuta e ad attirare a Húsavík, conosciuta per essere la capitale del whale watching e per il suo Museo delle balene, curiosi e appassionati. È dal 2011 infatti che, grazie all’entusiasmo di Örlygsson, aiutato da due assistenti marchigiani, Francesco Perini e Giuditta Gubbi, è nato il Museo dell’esplorazione e l’Islanda ha visto riconosciuto il ruolo che ebbe nella preparazione degli astronauti. E, anche nel caso si voglia dare credito alla tesi negazionista raccontata nel libro di William Kaysing Non siamo mai stati sulla Luna, che vedrebbe autore del falso allunaggio il regista Stanley Kubrick, il Paese manterrebbe la sua importanza. La parte delle riprese riguardanti la superficie lunare infatti sarebbe stata girata in Islanda, nel territorio di Moorudalur, il resto in uno studio cinematografico. Insieme agli astronauti l’anno scorso è arrivato anche il geologo Jim W. Rice, che ha selezionato i siti di atterraggio su Marte dei rover. La Nasa infatti, adesso ha nel mirino il pianeta rosso e ancora una volta è in Islanda per identificare i luoghi di esercitazione per i prossimi atterraggi. Dalla terra alla Luna, a Marte: la storia si ripete. La piccola Islanda continua a sognare.

Foto di Maurizio Fabbro