di Barbara Gallucci
Viaggio cinematografico on the road sull’isola più affascinante delle Ebridi scozzesi e sui set del kolossal Macbeth, a quattrocento anni dalla morte del grande commediografo
William Shakespeare è lo sceneggiatore più amato di Hollywood. Sono talmente tanti gli adattamenti cinematografici delle sue tragedie e commedie che un elenco rischia comunque di non essere esaustivo. Vita, morte, tradimenti, amori, gelosie, bramosie, rivalità, magie, misteri raccontati dal Bardo nato, si suppone, il 23 aprile 1564 a Stratford-upon-Avon e morto nello stesso luogo e nello stesso giorno di 400 anni fa, rendono la sua opera senza tempo. Romeo e Giulietta cantano hit da classifica mentre Amleto cammina per le strade di New York e Re Lear ha uno spiritato sguardo giapponese. Ci sono registi che hanno rispettato pedissequamente le ambientazioni scelte dall’autore e altri che hanno liberamente adattato, certo è che l’universalità degli argomenti trattati ha reso Shakespeare senza dubbio il più eminente drammaturgo della cultura occidentale. Un’icona pop con la quale confrontarsi per dimostrare di saperci fare dietro o davanti alla cinepresa. Un battesimo del fuoco, insomma, che ha regalato alterne fortune. Ultimo in ordine di tempo ad aver sfidato l’impresa il misconosciuto regista australiano Justin Kurzel che ha portato sul grande schermo niente di meno che il Macbeth, tragedia nota nel mondo teatrale anglosassone come porta sfortuna. A interpretare il regicida ha chiamato un credibile Michael Fassbender, mentre per lady Macbeth ha puntato su Marion Cotillard. Dopo Orson Welles, Akira Kurosawa e Roman Polanski è inutile dire che Kurzel, seppur volenteroso, non ha la stessa originalità e visione dei tre maestri ma, dalla sua, ha la scelta vincente di aver girato quasi tutto il film in Scozia, ovvero nel luogo giusto secondo la tradizione shakespeariana, in particolare sull’isola di Skye, nelle Ebridi interne.
«Camminare fino a quassù con addosso l’armatura da soldato, nel fango e sotto la pioggia per girare poche scene. Due giorni faticosissimi che poi nel film duravano qualche secondo. Non sono nemmeno certo di essermi riconosciuto!». Gordon Taylor, attore inglese, cresciuto in Australia e, da 16 anni, scozzese per scelta, racconta la sue breve, ma intensa esperienza delle riprese del Macbeth del 2015 su un cocuzzolo del Quiraing, un altopiano nel Nord dell’isola di Skye. «Era febbraio e il febbraio scozzese non è uno scherzo. Eppure il regista voleva proprio quelle luci, quelle nuvole, quella tensione climatica che poi, in effetti, sul grande schermo rende più drammatiche e intense le immagini. Più in sintonia con la tragedia», continua indicando una collina sulla quale si sarebbero dovuti inerpicare se all’ultimo il regista non avesse deciso che si poteva fare anche a meno di rischiare l’osso del collo per un’inquadratura. È marzo e il clima è perennemente indeciso tra la tragedia appunto e la commedia con un sole che quando sbuca scalda e regala squarci di bellezza che infonde buonumore. Skye a fine inverno non è verde, ma oscilla tra l’arancione e il marrone, con i picchi delle montagne ancora imbiancati da nevi che tardano a sciogliersi e le decine di laghi e fiordi blu in balia delle maree due volte al giorno. Skye a fine marzo non è nemmeno una meta turistica affollata come in estate. Escursionisti non mancano, ma gli unici greggi che si incontrano sono quelli delle pecore che rallentano il traffico sulle stradine a una corsia dell’interno dell’isola. Ma più si rallenta più si ha tempo per guardarsi intorno e immaginare come doveva essere simile il paesaggio all’epoca del vero re Macbeth che governò la Scozia tra il 1040 e il 1057. Un re non particolarmente spietato rispetto ai suoi predecessori o successori (in Scozia all’epoca non esisteva diritto di successione e il successore del re era eletto tra i parenti del defunto che spesso si regolavano a modo loro per arrivare al potere). Per raccontarne le gesta Shakespeare si ispira alle Chronicles di Holinshed, un compendio della storia medievale britannica scritto da più autori e pubblicato in numerosi volumi a partire dal 1577, riadattando poi la tragedia in chiave quasi promozionale visto che il personaggio onesto di Banquo è antenato degli Stuart e il re in carica Giacomo I (scozzese di nascita e primo a riunire in un solo regno Scozia, Inghilterra e Galles) ne era erede diretto (nonché generoso sostenitore di Shakespeare e delle compagnie teatrali per le quali lavorava).
Il secondo giorno di riprese per la comparsa Gordon Taylor non è andato meglio dal punto di vista climatico. «Ci siamo trovati col fango fino alle ginocchia a dover camminare per ore nei pressi del Sligachan Glen verso i monti Cuillin. Poi Fassbender e la troupe sono andati fino alle cascate Fairy Pools dove c’è la celebre scena con lui che si purifica in acqua in mutande». Per raggiungerle bisogna camminare in una bella vallata che in una giornata nuvolosa, con poca gente, ha un che di primordiale. Nemmeno una coppia di cani golden retrivier ha il coraggio di tuffarsi in una delle gelide pozze create dalle cascate. Sono piscine esclusive delle fate. E di Michael Fassbender. I sentieri conducono alla foresta di Glen Brittle e su fino ai monti. Qualche impavido escursionista cammina a passo svelto sulle rocce che aiutano ad attraversare i corsi d’acqua. D’estate tutto diventa verde e ricoperto di erica dando al viaggiatore d’inverno un buon motivo per tornare. «Dopo quella giornata di riprese siamo tornati a Portree dove c’era il quartier generale della produzione cinematografica per toglierci i costumi e scaldarci. Abbiamo trovato casse di birra e whisky. Regalo di Macbeth-Fassbender per noi comparse. Una bella sorpresa». D’altronde la distilleria del whisky Talisker a Carbost non è troppo lontana in effetti ed è una deviazione che merita (dopo le degustazioni si consiglia di fare due passi a piedi fino all’Oyster Shed dove aragoste e ostriche sono fresche e a prezzo da fast food. Un buon rimedio per abbassare il tasso alcolemico nel sangue).
L’isola di Skye si può scoprire a piedi, con del tempo e buone gambe a disposizione, o in macchina. L’unico vero problema della guida sul lato opposto della strada è reimmettersi nella giusta carreggiata dopo ogni sosta per annusare il paesaggio. Succede spesso tanto che, un po’ ovunque, ci sono cartelli che indicano luoghi perfetti per la contemplazione. Il più bello di tutti è nei pressi dello Storr, la montagna più alta di Skye il cui punto più celebre (che compare anche in una scena del film) è l’Old Man of Storr, il vecchietto di Storr, un monolite alto 55 metri che dà l’impressione di dover cadere da un momento all’altro. La passeggiata per raggiungerlo è in salita, su un sentiero ben battuto di circa otto chilometri e dura qualche ora (dalle tre alle cinque a seconda del proprio passo). Nel corso della camminata può succedere che la strana roccia sparisca dietro nuvole e nebbia o per bizzarri giochi di prospettiva, ma poi risbuchi in tutta la sua assurda spettacolarità. È uno dei punti panoramici più suggestivi di Skye con la vista che si allarga fino all’isola di Raasay nelle giornate più terse. Di nuovo ci si riempie gli occhi di colori e sfumature in una contemplazione cromatica che farebbe ammorbidire anche Lady Macbeth (e, in effetti, la lady più cattiva della storia della letteratura poi si pente seppur molto, anzi troppo, tardi). Forse le casette color pastello nei pressi del porto di Portree sarebbero un po’ troppo per lei, ma contribuiscono a confermare quel tocco di stravaganza che andando in giro per l’isola qua e là sbuca inaspettata.
Qui il gaelico è lingua viva e utilizzata quasi comunemente. Qui ha sede anche una squadra di Quidditch, lo sport preferito dal “maghetto” Harry Potter che, in teoria, dovrebbe praticarsi a bordo di scope volanti (il campionato era in pausa quindi lo sfizio di vedere ragazzini in volo sui cieli di Scozia non ce lo siamo potuti togliere). Qui vengono a vivere persone che hanno viaggiato in giro per il mondo e, a un certo punto, hanno deciso di fermarsi in pianta stabile nella campagna sovraffollata solo delle solite pecore di Skye. «Sono nato in Oregon, cresciuto in California e ho imparato a lavorare il metallo grazie a un fabbro navajo. Nel 2001 ho fatto armi e bagagli e sono venuto qui, sulle tracce della mia famiglia di origini scozzesi». La nuova casa di Garth Duncan non è esattamente quella dei suoi avi, ma ci si è trasferito in pianta stabile diventando uno dei migliori maestri artigiani della tradizione artistica del luogo. Con quel cognome poi... Duncan, ma è per caso parente del re ucciso da Macbeth? «Non saprei, ma il cognome Duncan è la prova che qui stanno le mie origini». Sembra un surfista scampato dal Mercoledì da leoni un po’ attempato, ma riesce a creare anelli, collane, bracciali e persino pugnali filologicamente perfetti. Ogni tanto ospita e istruisce giovani promesse della creatività artigianale che arrivano qui dai posti più disparati: dagli Stati Uniti alla Finlandia. «Il nostro passato è piuttosto barbarico, tra guerre, regicidi e violenze di varia natura. Eppure c’era del bello e dell’eleganza anche allora ed è proprio quel bello che io voglio continuare a forgiare», prosegue. Nonostante l’accento, la t-shirt e i pantaloncini da californiano, Duncan è chiaramente felice della sua scelta. Pur non vantando antenati scozzesi ci si chiede se davvero questa non sia l’isola perfetta per un buen retiro a lungo termine. Circumnavigando l’ennesimo Loch, sostando in piccoli villaggi per un tè o una birra, guidando al tramonto su strade strette, il fantasma di Macbeth sembra più lontano che mai come quello delle tre profetiche streghe d’altronde. «Per ingannare questo nostro tempo, assumi l’aspetto che esso richiede: porta il benvenuto negli occhi, nella mano, nella lingua, assumi l’aspetto del fiore innocente, ma sii il serpente che vi si nasconde sotto», recita una perfida Lady Macbeth incitando il marito a compiere la strage. Mille anni fa la vita in Scozia non doveva essere facile. I nemici arrivavano da ogni dove. Oggi il nemico è solo lei, l’ennesimo clone della pecora Dolly che attraversa la strada con lentezza estenuante. Ma forse è davvero proprio il suo il passo giusto da tenere.