Slow Touring/1 Vie d'acqua e a pedali

Da Venezia a Mantova tra laguna e canali. Una settimana in barca e in bicicletta per scoprire l’entroterra dell’Italia settentrionale

Per maggiori informazioni sul percorso, www.girolibero.it/tci

Solo quando arriva la caraffa con lo spritz un insieme di singoli diventa gruppo. Prima si era come al primo giorno di scuola: tutti timidi e solitari, a chiacchierare e guardare la laguna di Venezia dalla prospettiva inusuale di una barca ancorata alla Giudecca, lato esterno, verso l’orizzonte del mare. «Perché è arancione?» chiede una signora tedesca convinta che dentro ci sia aranciata mista a prosecco. Si vede che siamo al primo giorno e la compagnia non è abituata a Veneto e dintorni. Poco male, ne hanno altri sette (e 210 chilometri di pedalate) per rifarsi: da Venezia a Mantova lo spritz non manca. A bordo dell’Ave Maria neanche. Chiamarla nave da crociera sembra brutto, ma questo è: anche se a misura d’uomo. Prima era una chiatta da trasporto in servizio sul Po. Poi Girolibero, tour operator di Vicenza specializzato in viaggi in bici, l’ha acquistata e un cantiere di Mantova l’ha trasformata in un hotel galleggiante di 40 metri dove il trattamento è quattro stelle, l’atmosfera rilassata, la compagnia pacata, il vitto una piacevole sorpresa. Solo la chiglia è la stessa, rossa e non troppo profonda, adatta a navigare in splendida solitudine nelle acqua calme del Canal Bianco e della laguna.

L’idea è ricreare in Italia l’esperienza fortunata di un viaggio bici+barca sulle acque interne. Tra canali e canaletti, in Francia e Olanda è tradizione; sul Danubio, tra Passau e Vienna è diventata una ricercata alternativa al solito viaggio lungo la ciclabile più efficiente (e battuta) d’Europa. Da noi è un’occasione unica: nel senso che l’Ave Maria (e la gemella Vita Pugna, più antica e spartana), sono le uniche imbarcazioni passeggeri che incrociano sulle placide acque della Pianura padana. Permettono di ammirare l’entroterra dell’Italia settentrionale da una prospettiva diversa: a pelo d’acqua, o pedalando su un argine, tra i campi e le valli da pesca del Delta.

A bordo dell’Ave Maria si è in trenta di otto nazioni, quattro membri dell’equipaggio (più uno, Helmut, il tour leader tedesco trapiantato nel Lazio) che si scambiano i ruoli come i bambini le figurine: il comandante se c’è da sparecchiare sparecchia, la cuoca fissa le cime, il motorista factotum fa tutto. E i passeggeri? I passeggeri di giorno pedalano, di sera si rilassano nella terrazza sopra coperta, o ne approffittano per scoprire paesi e città dove si attracca (Chioggia, quanto è bella Chioggia?). Perché la vita di bordo è scandita dall’ordinato saliscendi delle bici arancioni. Al mattino vengono sbarcate e, guidati da Helmut – che a tutto sovrintende e dispensa semplici consigli per i meno avvezzi alle pedalate –, ci si inoltra per paesaggi affascinanti, nel retrobottega d’Italia. Il primo giorno, lasciata Venezia dopo un passaggio discreto vista S. Marco, si percorre il Lido, si prende il ferry boat per cinque minuti e si attraversa Pellestrina, lingua di sabbia popolata di pescatori di vongole, uccelli migratori e pochi turisti. Trenta chilometri di riscaldamento e passa la giornata. E se sono troppi non c’è problema: basta chiedere una bici elettrica che si va comodi e veloci che neanche Pantani. Si arriva ovunque: un 85enne tedesco non si è perso un chilometro.

Il secondo giorno ci si inoltra tra le valli da pesca della laguna fino a Porto Viro, prima di navigare sul Canal Bianco (il Po non assicura la navigabilità, meglio non rischiare) per attraccare ad Adria. Poco più di 50 chilometri percorsi zigzagando sugli argini massicci dell’Adige, immersi in un panorama di acqua e canneti, vongole e anguille, lavori di bonifica e terre bonificate. Con il fiume che diventa pensile e alla fine non lo vedi, ma lo senti perché domina il paesaggio. E poi ancora: una scampagnata di 30 chilometri per arrivare a Ferrara, la città più ciclabile d’Italia, prima di passare la notte in banchina nella piccola Zelo che è un concentrato di vita di pianura. Da qui il giorno dopo si pedala verso Mantova, attraversando paesi di qualche centinaio d’anime e qualche migliaio di animali da ingrasso. Già dai nomi sembrano ancorati dagli anni Settanta: Revere, Bergantino, San Pietro Polesine. E se poi ti fermi – le soste sono frequenti, a mezzodì si consuma il pranzo al sacco preparato liberamente al buffet della colazione – anche in un bar per un chinotto o una più appropriata spuma, l’impressione è che gli anni Settanta, quelli dei tavoli di formica e delle bottiglie in esposizione ma non in vendita, in certi posti non siano passati.

così per quattro giorni pedalando o navigando ci si addentra in un paesaggio che sembra disegnato da un geometra con la passione per righe nette e forme definite, tra filari di pioppi che sembrano pedine di una dama infinita, campi di grano arati con la livella, scacchiere di peschi e argini sinuosi. E viene da pensare che c’è tutta quest’Italia sincera e tranquilla che merita di essere conosciuta andando piano, al ritmo di un’Ave Maria: pedalando accanto a un’imbarcazione che taglia le onde con leggerezza