di Tino Mantarro
Da San Miniato a Monteriggioni, in Toscana, tre giorni sulla Via Francigena per scoprire che un semplice viaggio a piedi è un’esperienza rock
Per maggiori informazioni sul percorso e sui viaggi sulla via Francigena, www.sloways.it/tci.
Nella vita bisogna essere onesti. Ho letto da qualche parte che ogni uomo sulla terra compie una media di 7.500 passi al giorno, l’equivalente lineare di quasi quattro chilometri: dal letto al bagno, dalla scrivania alla stampante, da casa al bar. Non io. Scale mobili comprese, se arrivo a tremila sono tanti. Tommaso Castelli, la guida di Sloways che mi deve accompagnare in questa camminata lungo la Francigena, non so da cosa ma deve averlo intuito. Forse colpa dello sms in cui chiedevo se mettere nello zaino una borraccia grande e il sacco a pelo. «Certo, la borraccia serve, però basta anche una bottiglietta di plastica. Sacco a pelo no, mica andiamo in campeggio. Piuttosto, dimmi: tu cammini? Vuoi fare un’esperienza rock?». Rock? Cosa c’è di più rock dell’idea di camminare in Toscana percorrendo tre delle 44 tappe che costituiscono la Francigena italiana? Da San Miniato a Monteriggioni in 72 ore: quasi 80 chilometri, 171.428 passi. Per i miei standard è piuttosto rock, quasi punk.
Che l’andare a piedi sia un’esperienza di viaggio diversa, per certi versi primordiale, lo capisci appena ne parli con chi ha già seguito lunghi cammini, da Santiago di Compostela in giù. E non è questione di filosofia dell’andare e spirito dei passi: è un’attenzione più prosaica, tutta pratica. «Stai attento prima di partire: far bene lo zaino conta» dicono. E in questo caso non bisogna star attenti a farlo essenziale e leggero, perché si è deciso di sfruttare il provvidenziale servizio trasporto bagagli che di tappa in tappa ti fa trovare tutto nella prossima stanza. Bisogna invece stare attenti a quel che ci metti. «Scarpe comode e rigorosamente non nuove?». Fatto. «Mantella traspirante per la pioggia?». Presa. «Crema solare, calzini morbidi, guide e mappe, cappello per il sole?». Ci sono. Non resta che camminare: di per sé non un’attività difficile.
Non difficile ma sostanzialmente differente se lo devi fare per tre giorni di fila, per decine di chilometri al giorno. Giorni di sentieri semplici, ben tenuti e battuti; strade bianche, qualche tratto di asfalto qua e là, che questo è pur sempre il Paese delle auto. Tutti sempre segnalati con una profusione di cartelli che anche da soli per perdersi ci vorrebbe metodo e sbadataggine. E comunque c’è Tommaso a segnar la via e dare consigli di buon senso, che quando li ascolti dici «certo, scontato». Ma se li dovessi elencare non ti verrebbero mai in mente. Primo e fondamentale: andare sempre al proprio passo. Non si vince nulla ad arrivare con mezz’ora d’anticipo, e se si sta boccheggiando non si accorcia certo la sofferenza, la si amplifica. Il resto è un apprendimento lento, giorno dopo giorno. Perché se c’è una cosa che non manca quando ti metti in cammino è il tempo. Con una marcia regolare si percorrono circa 3,5 chilometri l’ora, dipende dal dislivello del terreno.
Ma in questo tratto toscano della Francigena le tappe appenniniche sono alle spalle e in una giornata il dislivello in salita è intorno ai 400, 500 metri. Bazzecole. Non si incontra mai una vera salita, nulla che ti faccia pentire di esserti messo in cammino. Così hai tempo per parlare e conoscere chi ti accompagni. Ma anche per chiacchierare con chi trovi sulla via. Anche se non sono certo orde come a Santiago, i viaggiatori (pellegrini forse è troppo, la motivazione religiosa muove ben pochi dei camminatori) iniziano a percorrere la Francigena. Pochi arrivano fino a Roma, molti percorrono solo le tappe toscane, o quelle dell’alto Lazio. Però tutti hanno voglia di raccontare e raccontarsi. Leslie e Dave sono americani di Chicago, procedono con calma, sveglia presto, passo costante, voglia di conoscere i borghi toscani a fine tappa. Esperti di viaggi a piedi e amanti dell’Italia sono finiti sulla Francigena perché sembrava un buon modo per conoscere la Toscana minore: «E poi è una bella esperienza».
E lo è davvero: «A parte che alle volte non sempre hai informazioni in inglese sui siti, ma una volta qui si sistema sempre tutto». Merito di persone come Maria, che incontri alla Torraccia di Chiusi, agriturismo che ti offre un caffé, chiacchiere piacevoli e una visita ai resti etruschi «perché la Francigena è incontrarsi». Spirito che anima le insegnanti di una seconda superiore di Bergamo che hanno portato gli studenti a camminare tra Altopascio e Siena. E una coppia di tedeschi di 75 anni che punta decisa Roma. La Francigena l’hanno iniziata in Svizzera, tre anni fa. Ogni anno 21 giorni di cammino, questo dovrebbe essere l’ultimo: di ogni tappa ne fanno due «perché le ginocchia sono quelle che sono». E dopo pranzo li becchi a dormire all’ombra di un albero, accanto alla pieve (chiusa) di Badia a Coneo. Questo si chiama vivere.
Così di incontro in incontro finisci a fantasticare, pensando a come doveva essere questo contado quando lo attraversò Sigerico nel 990 d.C. di ritorno da Roma diretto a Canterbury, inaugurando – così vuole la convenzione – la via di pellegrinaggio verso la capitale della Cristianità. Che poi questo che si fa oggi sia o meno il vero percorso dell’arcivescovo inglese è un fatto secondario. Dalla via della Seta al Cammino di Santiago nessuna via è un percorso dato: sono un fascio di tracciati che hanno in comune solo la meta. Se fantasticare è un’attività che vela la fatica, anche la bellezza del paesaggio nasconde la relativa stanchezza.
Se sfogli le guide della Francigena sono tutte concordi nel dire che il secondo giorno, tra Granbassi Terme e San Gimignano, attraversi uno degli scenari più idilliaci e meglio disegnati di tutta la Toscana. Laddove disegnati non è un errore: ma è l’unico verbo che rende giustizia alla sostanza di quel che attraversi. Non la secca bellezza delle Crete senesi, ma una campagna segnata da secoli di presenza umana, dove ogni dettaglio, ogni boschetto, ogni filare di alberi, ogni macchia di ulivi, ogni rivo diritto è figlio di un intervento antico che ha reso questo paesaggio quel che è: una bellezza. Come è una bellezza arrivare in vista di Monteriggioni, tenendo la cinta murata con le sue torri come riferimento costante, meta sognata quando la stanchezza (da San Gimignano sono quasi 30 chilometri) si fa viva. Meno male che ci si ferma ad Abbadia Isola, antica pieve murata che da qualche settimana è diventata un bell’ostello comunale dove riposare dormendo nelle stanze che ospitarono monaci e viandanti.
E, camminando accompagnato da una guida, hai anche il tempo per osservare e imparare. Così in un tratto di selciato impari che le pietre grandi sono di epoca romana, mentre i lastroni piccoli di epoca medievale. Inizi a riconoscere i rumori dei cespugli: un fruscio più rapido una lucertola, uno improvviso un merlo, uno prolungato forse un serpente. E tutto finisce qui, perché grandi animali non se ne scorgono. Nello scrivere bisogna essere onesti: il cinghiale che devasta campi e vigneti lo trovi solo sui menu, in umido o con i pici. Ed è una bella ricompensa, a sera, quando pensi che la cena, non parca, non da pellegrino, te la sei conquistata