di Marco Lupis | Foto Ente Parco Aspromonte
Giuseppe Bombino, presidente del Parco nazionale dell’Aspromonte, in Calabria, nell’estate 2015 è riuscito a debellare completamente gli incendi dolosi, trasformando i pastori in guardiani del territorio. Vincerà anche quest’anno?
Si estende per quasi settantamila ettari ricoprendo la punta più estrema della nostra penisola, tra montagne che sfiorano i 2000 metri di altitudine, ma dalle quali si può sempre vedere il mare. I 37 Comuni che si trovano al suo interno ne fanno il Parco nazionale più antropizzato d’Italia. E anche il primo e l’unico a comprendere buona parte di una città, la nuova “Città Metropolitana” di Reggio Calabria (dove si trova il nuovo Museo archeologico nazionale che ospita i Bronzi di Riace, e dove i volontari Tci accolgono i visitatori alla Necropoli ellenistica di piazza De Nava, vedere box a pagina 21).
Ma non sono questi i motivi – già sufficienti da soli – a fare del Parco nazionale d’Aspromonte un caso unico e particolare nell’ambito delle aree protette del nostro Paese, quanto il fatto che il suo territorio coincide in modo quasi perfetto con quello che, storicamente e culturalmente, è sempre stato il feudo della n’drangheta calabrese. Che ha utilizzato, per decenni, quelle aspre montagne fitte di boschi – Aspro-monte, appunto – come prigione a cielo aperto per le vittime dei sequestri di persona e che oggi, con i suoi interessi criminali ormai spostatesi verso altre ben più lucrose attività, come il narcotraffico internazionale, resta il centro almeno “simbolico” della sua capacità di controllare criminalmente il territorio.
Dal 2013, a dirigere una realtà tanto particolare e problematica, ovvero a capo dell’ente Parco nazionale d’Aspromonte, non c’è un politico – come la maggioranza dei suoi predecessori – ma un 44enne ricercatore e docente di Idraulica Agraria e Sistemazioni Idraulico-Forestali, un tecnico preparato, insomma, in servizio presso l’Università degli Studi Mediterranea di Reggio Calabria, Giuseppe Bombino, recentemente eletto anche coordinatore di Federparchi Calabria. Un giovane professore che ha portato una carica di entusiasmo e di novità, che gli sono costate diverse intimidazioni da parte della criminalità organizzata (la più recente lo scorso febbraio). Ma anche una idea molto efficace, che gli ha permesso di ridurre a zero l’incidenza degli incendi, quasi sempre dolosi, che ogni estate funestavano l’area protetta del Parco. «Da noi la piaga degli incendi boschivi è legata, per il 99 per cento, all’attività pastorizia, ovvero ai movimenti delle greggi. Da tempo mi chiedevo come invertire questa deriva disastrosa, che spingeva i pastori a utilizzare il fuoco per la gestione dei pascoli creando, così, un meccanismo perverso secondo il quale l’ente Parco – che ovviamente ha sempre cercato di reprimere questi comportamenti dannosi per l’ambiente – veniva visto come un nemico che si opponeva al loro legittimo lavoro e profitto».
Dopo avere incontrato in più occasioni l a comunità dei pastori che operano nel Parco e avere ascoltato i loro argomenti, Bombino ha capito che l’unica mossa possibile era trasformare gli stessi pastori in custodi dell’ecosistema, ribaltando così l’approccio verso il problema. «L’idea – continua Bombino – era in realtà a portata di mano: creare una sorta di squadra speciale a tutela del parco, con l’incarico di vigilare sugli incendi boschivi, e dare formalmente e ufficialmente agli stessi pastori l’incarico di farne parte». Insomma: trasformare i distruttori in guardiani.
L’iniziativa naturalmente prevedeva incentivi economici per i pastori che accettavano di entrare a far parte di questa squadra anti-incendi, portandoli così a ribaltare la visione che essi avevano dell’ente: da nemico da “combattere” a risorsa per se stessi e le loro famiglie. E i risultati non si sono fatti attendere: successo pressoché assoluto dell’iniziativa, tanto che l’ultima estate gli incendi boschivi nel territorio del Parco nazionale dell’Aspromonte si sono ridotti a zero.
Le difficoltà, però, non sono mancate, «e le più difficili da superare – spiega il presidente – prima che dagli interessati sono venute dalla burocrazia.» Rispetto alla totalità dei pastori operanti nel territorio del Parco, infatti, è stato possibile inquadrare formalmente e retribuirne con gli incentivi previsti poco più della metà, spiega Bombino. Non è stato possibile coinvolgere, per esempio, quei pastori che avessero precedenti penali o provvedimenti pendenti con la giustizia. Ma non c’è dubbio, l’efficacia dell’idea resta dimostrata dalla prova dei fatti, e il professore è certo che funzionerà altrettanto efficacemente anche la prossima estate, «senza contare – conclude – che questo esperimento riuscito non ci ha permesso soltanto di tutelare il Parco dagli incendi, ma ci ha consentito di dare il via, forti di un esempio vincente, a quel percorso virtuoso che vuol far comprendere a tutte le tante realtà umane che si trovano a vivere e lavorare nell’area del Parco, che quest’ultimo può essere visto appunto non come un ostacolo o un impedimento, ma come una risorsa utile a portare sviluppo e profitto per tutte le realtà coinvolte.»