di Donatella Percivale | Foto di Donatella Percivale
Nonostante la qualità della vita (e la longevità), l’isola rischia di spopolarsi: 128 paesi sono sull’orlo dell’abbandono. Ma ora c’è chi propone iniziative e modelli innovativi per dare nuovo impulso al territorio e attrarre visitatori
Silenziosi, a tratti solitari. A dispetto della lunga vita di chi li abita. Sorradile, Soddì, Ula Tirso: sono solo alcuni dei paesi della Sardegna dalle piazze mute e profumate. Talmente poco popolati che nei prossimi trent’anni sono destinati a scomparire. La conferma arriva dal Centro di Programmazione Regionale Sardegna che nel 2014 ha pubblicato la lista dei 128 “paesi fantasma”, territori poveri di abitanti che occupano quasi un terzo della superficie dell’isola. Tra i primi a sparire saranno Semestene (Sassari), 130 abitanti e dieci anni di vita, seguito da Monteleone Rocca Doria (Sassari), 126 abitanti e ancora 15 anni per resistere. Un disastro che si traduce in desertificazione umana, impoverimento sociale, culturale, politico. Scompaiono poste, uffici pubblici e strutture ospedaliere. Chiudono banche, negozi, scuole, e quelle poche rimaste si frequentano tutti insieme, grandi e piccini. Agglomerati urbani, talvolta di grande bellezza, assistono inermi alla fuga dei più giovani, rimanendo abitati da solitari ma longevi vecchietti. Perché sull’isola che rischia il declino, si vive a lungo. E si vive bene. La Sardegna è una delle cinque “blue zone” del mondo: le aree del pianeta a più alto tasso di centenari, dove la qualità della vita è molto alta. Da decenni il tema dell’unicità della Sardegna richiama l’attenzione di scienziati e ricercatori. La combinazione tra fattori ambientali, alimentari e culturali potrebbe essere la chiave dell’eccezionale percentuale di persone longeve che negli anni hanno resistito. Resistito e presidiato un territorio su cui, grazie a folti boschi, ricchi pascoli e importanti attrattive turistiche, si è combattuto il dissesto ecologico e l’abbandono puntando sulla salvaguardia delle identità e sulla valorizzazione delle specificità locali.
Ne abbiamo visitati tre: Baradili, Armungia ed Esterzili. Territori dove si creano occasioni di ripresa, si scommette su sistemi turistici innovativi, sul fare rete e proporsi come ideali modelli urbani in cui scegliere di tornare a vivere.
A Baradili (OR), il più piccolo comune della Sardegna, vivono 85 abitanti. Tra loro Zia Minnia, 92 anni e gambe ancora veloci, perché in caso di bisogno, l’ambulatorio medico si trova a Baressa, due chilometri di distanza, e per pagare una bolletta Zia Minnia deve prendere la corriera. Il negozio di alimentari ha abbassato le serrande cinque anni fa e l’ultimo bambino nato in paese lo hanno festeggiato nel 2012 con le campane a festa. Eppure, questo minuscolo paese incastonato nel cuore della Marmilla, coi suoi paesaggi incontaminati e la Giara di Gesturi popolata dai cavallini selvatici, è un piccolo gioiello architettonico, magnifico esempio di ripristino e conservazione di architettura contadina. Lino Zedda, cinque legislature da sindaco, ne fa una questione personale: «Il centro storico era allo sfascio, ma insieme alla comunità abbiamo recuperato antiche aree, trasformando vecchi ovili in moderni alberghi rurali. Manteniamo in vita un territorio che altrimenti sarebbe già morto, recuperando un patrimonio immobiliare fatto di tradizioni e cultura: dalla nostra Sagra del raviolo è nato un laboratorio artigianale che ha portato diverse realtà occupazionali; per dieci anni abbiamo organizzato le Olimpiadi del gioco tradizionale riempiendo le vie del paese di studenti. E col Consorzio Due Giare c’è un progetto sull’escursionismo a due ruote con itinerari da scaricare con un’app». A Baradili le idee e l’entusiasmo non mancano, ma il punto dolente è la mancanza di fondi. I soldi dovrebbero arrivare dalla Regione, da Roma e anche dall'Europa: finanziamenti previsti appositamente per le zone in stato di particolare disagio e isolamento. «Occorrono interventi straordinari in grado di assicurare tre settori essenziali: sanità, istruzione, accessibilità. Senza, rischiamo di scomparire». Eppure, anche se in paese i servizi scarseggiano, i turisti arrivano incantati da un paesaggio da favola e da una vita che scorre lenta, serena, con la grande piscina vicino al bosco, gli orti, i giardini. Anche qualche giovane coppia ha iniziato a comprare casa, attratta dai prezzi bassi (15mila euro per 100 metri quadri da ristrutturare) e dalla totale assenza di criminalità. «Noi baradilesi siamo persone semplici, talvolta un po’ ingenue, ma d’estate quando le nostre piazze tornano a essere animate da famiglie di sardi, italiani, belgi e francesi, la vita scorre più intensa. Come la speranza».
«Disteso come un vecchio addormentato» avrebbe cantato José Feliciano guardando da lontano Esterzili (Cagliari) e i suoi grappoli di case adagiate sul crinale della montagna. Il paese è abitato da 690 anime, tra cui quattro centenari e 21 bambini, compresi gli ultimi tre nati nel 2015. Lo scrittore Gianni Marilotti lo ha scelto per ambientarci il suo ultimo romanzo Il Conte di Saracino. L’anno scorso tutto il paese ha festeggiato il compleanno di Adolfo Puddu, 101 anni e tempra da far invidia a un atleta. Ogni mattina Adolfo va nei campi, munge le sue pecore e, a pranzo, non rinuncia mai a un bicchiere di Cannonau, elisir di giovinezza che nasce dai vitigni dell’isola. Ma se il 75 per cento degli abitanti è ultra 65enne, a Esterzili è molto alta anche la percentuale di giovani laureati disoccupati, ragazzi che il sindaco Gianna Melis vorrebbe coinvolgere nella realizzazione di un museo archeologico (il territorio vanta 82 siti, tra cui il tempio a megaron Sa Domu e de Orgia del XIII secolo a.C.). «I paesi sopravvivono se c’è gente che li abita, se si crea economia – commenta –. Qui i residenti fanno a gara per accogliere i turisti e coccolarli con visite guidate, riscoperta di tradizioni e tour enogastronomici. Un sistema che crea un discreto indotto, ma perché farlo solo d’estate? Questi sono territori ricchi di storia e natura, palestre ideali dove coniugare innovazione e tradizione». Negli ultimi anni Gianna Melis ha attivato una cooperativa di servizi gestita da giovani per il restauro dei bronzetti nuragici e la diffusione della cultura dei murales. «Un punto di partenza, per non dovere solo aspettare. In paese ci conosciamo tutti e le chiavi di casa sono appese sulle porte. Un piccolo paradiso nel cuore della Sardegna. Investire in termini di qualità della vita in questi luoghi si può e si deve»
Sede di un sistema di musei diffusi, spalmato su un paesaggio di boschi e vallate di spettacolare bellezza, il comune di Armungia (Cagliari) è il paese natìo di Emilio Lussu. Nel cuore del centro abitato si innalza l’omonimo e maestoso nuraghe, immerse nei boschi d’alto fusto si incontrano le dispense di Carradori, costruzioni in muratura utilizzate dai carbonai e oggi trasformate in strutture alberghiere attrezzate per moto e cicloturisti. A causa della continua emorragia di abitanti (584 residenti), Armungia rischia di estinguersi nel giro di un ventennio. Ed è proprio per scongiurare la possibilità di essere cancellata dalle mappe che l’amministrazione già da diversi anni ha puntato sulla programmazione territoriale, elaborando piani economici alternativi al fallimentare progetto di industrializzazione. Sono nate così iniziative socio-culturali di pregio, come le prime aziende agricole biologiche, i primi modelli di turismo rurale, il magnifico museo dedicato a Emilio e Joyce Lussu e diverse cooperative di giovani che si occupano di servizi sul territorio e itinerari turistici.
Tra le nuove geografie umane inaspettatamente riemerse anche casa Lussu, associazione fondata da Tommaso Lussu, archeologo romano nipote dello statista. «Il legame col paese c’è sempre stato – racconta – sin da bambino con mio fratello Pietro frequentavamo questi luoghi. Tornare a vivere nella casa dei miei nonni è stata una scelta razionale precisa, un investimento mirato a far rivivere le micro economie territoriali, puntando sulla filiera della tessitura a mano e dell’artigianato artistico». Dopo l’esilio, Emilio Lussu affidò la gestione della casa di Armungia a Giovanna Serri, oggi 90enne: fu proprio tzia Giovanna a iniziare Tommaso e Barbara Cardia alla tradizione della tessitura a mano. «Abbiamo restaurato gli antichi telai trovati e ripreso a tessere come si faceva un tempo, utilizzando coloranti naturali estratti da erbe e piante della zona: la tessitura come bene culturale e ricchezza di tradizioni è una forma di economia di sussistenza di cui vado fiero».