di Clelia Arduini
Dai primi viaggi con il marito alla “adozione” del teatro Caio Melisso: Carla Fendi, presidente onorario del Festival dei Due Mondi, ci racconta bellezze e segreti della cittadina umbra. E ci svela il vero tesoro, da difendere a ogni costo: gli artigiani
In occasione del Festival dei Due Mondi, manifestazione internazionale di musica, arte, cultura e spettacolo ospitata ogni anno a Spoleto, in Umbria, tra giugno e luglio, abbiamo incontrato Carla Fendi, presidente onorario del Festival, per farci raccontare la cittadina umbra. Uno scrigno d’arte e cultura che, grazie anche al suo impegno, è sempre più apprezzato anche all’estero. Quali sono per lei i tre principali motivi per visitarla?
La storia, ricca di arte e cultura. La straordinaria scenografia naturale. L’eccellenza culinaria e l’attenta ospitalità. Grazie a tutto questo a Spoleto si vive e si respira un’atmosfera unica.
Ci porti negli angoli della città che più la suggestionano, tra i monumenti, i luoghi e i locali più caratteristici. Ci racconti l’anima degli spoletini, ci faccia respirare questa atmosfera unica...
La città è tutta da scoprire. E io ho avuto la fortuna di poterlo fare già molti anni fa, quando venivo qui a trascorrere indimenticabili weekend insieme a mio marito. Erano gli anni Ottanta. Fummo folgorati dalla bellezza del ponte delle Torri, ammaliati dal fascino delle strette vie della città vecchia. E poi la fontana della piazza del Mercato, quasi lasciata lì dalla storia, il fascino sommesso della piccola piazza che si apre davanti a Palazzo Pucci della Genga, la semplice sacralità della chiesa di S. Eufemia, il Teatro Romano testimone dei millenni. Che ricchezza di emozioni. Intense. Continue. Che ho vissuto con gioia ma che continuo ancora a vivere ogni volta che torno.
Rimango senza fiato quando dall’alto mi affaccio sulla scalinata che scende dolcemente verso piazza del Duomo. Ancora oggi resto incantata quando raggiungo la piazza: da una parte il semplice rigore del Teatro Caio Melisso, dall’altra le geometrie essenziali di Palazzo Racani Arroni. Di fronte, imponente e sommesso, il Duomo, con le sue geometrie, il suo colonnato. Tutto ti affascina e ancor più quando sali ai giardini dell’Arcivescovado e alzando gli occhi vedi, contro il cielo, la torre e lo stretto “taglio” della facciata del Duomo che fugge lateralmente in un susseguirsi di contrafforti dove il grigio della pietra sfuma sul fondo nel verde degli alberi. Mentre alle spalle la Rocca Albornoziana si innalza in un colloquio intenso tra natura e arte.
Come raccontare queste emozioni che sono tutte da vivere? Sedetevi al tavolino del Tric Trac, locale storico e tappa immancabile sulla scalinata del Duomo. Lì, fermatevi e guardatevi intorno. A lungo. Magari al tramonto di una giornata di primavera, quando le rondini si alzano nel cielo quasi a salutare la città. Un’esperienza dello spirito. Così ho imparato ad amare Spoleto e a sentirne l’anima. E ancor più quando ho iniziato ad occuparmi della ristrutturazione del teatro Caio Melisso.
Nel 2010 la Fondazione Fendi si lega al più antico teatro all’italiana di Spoleto, il Caio Melisso, e si impegna per riportarlo all’antico splendore. Un colpo di fulmine?
Era un gioiello solo appannato da tempo. Ho avuto la fortuna, quando ho deciso di impegnarmi nel restauro, di scoprirne il fascino e di respirarne la storia. Perché questo Teatro ha sempre rappresentato per Spoleto un punto fermo. Era chiamato il Nobile Teatro: piccolo, raccolto, bello. Provvedere al restauro mi ha entusiasmato, abbiamo riportato alla luce e in alcuni casi scoperto vere opere d’arte. A cominciare dai due sipari storici, La Camera Ricca e la Gloria di Caio Melisso, stupende opere dell’Ottocento di Domenico Bruschi che, se non fossimo intervenuti, sarebbero stati persi perché completamente logori. Il loro recupero è stata una difficile opera artigianale di alta qualità. A questo proposito mi piace ricordare la bravura della Coobec, la cooperativa di restauratori che ha eseguito l’opera: un lavoro magistrale. Una vera scoperta nel territorio, una ricchezza da alimentare e da difendere. Così come altre maestranze di restauratori che hanno scoperto e riportato alla luce decori insospettati che sono andati ad arricchire il Palco Reale.
Ho dunque scoperto bellissime realtà artigianali, ma anche ottimi servizi, studi di comunicazione determinati a cercare il meglio, obbedendo a un motto che mi è stato sempre caro: “Niente è impossibile”, ed è vero perché in questa città ho anche visto fare miracoli per ottenere risultati inimmaginabili.
Perché il lavoro fosse realizzato con la massima professionalità e perché tutto fosse fatto nel rispetto della storia del Teatro mi sono avvalsa di consulenti di grande preparazione come Carlo Savi e Cesare Rovatti. E veglierò anche nel futuro affinché venga sempre tutelata l’estetica della ristrutturazione.
Terminati i lavori, deve essere stata orgogliosa di poter ospitare anche al Caio Melisso il Festival dei Due Mondi...
Sì, abbiamo ospitato spettacoli fantastici. Per citarne solo alcuni, Il matrimonio segreto di Domenico Cimarosa, il primo straordinario concerto a Spoleto del maestro Riccardo Muti, l’incredibile Bob Wilson con la perfomance di Barysnikov. E ancora, le edizioni del Premio Fondazione Carla Fendi che hanno visto sul questo palco personaggi come Piero Tosi, Julie Taymor, Liliana Cavani, Dante Ferretti, Francesca Lo Schiavo, Paolo Sorrentino. A questo nutrimento diciamo culturale, cui tengo molto, mi fa piacere aver potuto contribuire anch’io. Nell’ambito del Festival di Spoleto, infatti, la Fondazione Fendi ogni anno ha creato eventi e mostre, come I due mondi di Piero Tosi, che ripercorrevano le opere del grande costumista, o come quella dello scorso anno Sulle tracce di un film immaginato, storia del lungometraggio mai realizzato da Luchino Visconti sulla Recherche di Proust.
Perché è così: a Spoleto vivi di cultura e sei coinvolto nella cultura e, da parte mia, sono spinta sempre ad alimentarla, motivata anche dal Festival che amo fortemente sin dai tempi di Giancarlo Menotti, ma che ho di nuovo voluto sostenere sotto l’eccezionale direzione artistica di Giorgio Ferrara che di stagione in stagione sta rendendo questa manifestazione sempre più interessante e di successo e che porta tanto alla città.
Ci racconta qualche aneddoto, qualche curiosità di una città così piccola eppure internazionale?
Ma forse più che aneddoti vi posso dare qualche suggerimento. Come la piacevolezza di una cena a lume di candela nel giardino dell’Hotel Clitunno, in un’atmosfera di grande accoglienza e con una cucina di altissima qualità. Visitare palazzi di incredibile fascino come Palazzo Marignoli, Palazzo Pucci della Genga, scoprire un fuori Spoleto eccezionale come si vede dall’Eremo delle Grazie, cenare nell’incredibile giardino di Palazzo Campello, visitare la bella casa Mahler, affacciarsi dalla terrazza del Panciolle, scoprire la calda ospitalità di Palazzo Dragoni. E potrei continuare a lungo. Anzi, credo che gli abitanti di questa città dovrebbero esserne più consapevoli. Bisogna avere coscienza del proprio patrimonio e sentire la responsabilità di difenderlo artisticamente, culturalmente, esteticamente e moralmente, tenendone sempre vivo il fascino.
Se fosse lei il sindaco, quale sarebbe il primo provvedimento che vorrebbe prendere?
Mi limito a dare due suggerimenti. Il primo è dare massimo sostegno dell’artigianato locale: le botteghe non devono scomparire, rappresentano una ricchezza da proteggere. Artigiani del restauro e del ferro, botteghe del ricamo, fino ai maestri fornai che profumano la città con la più antica delle fragranze. C’è tanto su cui investire sulla trasmissione del sapere di generazione in generazione, è una grande risorsa per la città.
Poi un suggerimento legato all’accoglienza. Vorrei incentivare lo spirito collettivo verso il turismo affinché tutti diano la massima disponibilità. A volte si devono mettere da parte personalismi settoriali: tutti dovrebbero tener presente che il fine ultimo è quello di promuovere questa città. Che è veramente unica.