Argentina/2. Il Far West on the road

Il Nordovest di un’Argentina tutta da scoprire in auto: tra aree archeologiche, vigneti, passi ad alta quota e canyon

Sembra leggermi negli occhi la delusione Jorge Figueroa quando mi comunica che il passo Abra del Acay non è transitabile. Mi sono rivolto a lui perché mi hanno detto che frequenta spesso il valico per motivi di lavoro ed è quindi una fonte attendibile. Sono a Cachi, nel Nordovest argentino, per un itinerario che prevede come punto culminante uno dei valichi stradali più alti del mondo: 4895 metri. Una quota appena sotto i fatidici 5000 metri, dalla quale si gode una vista spettacolare, dal vicino Nevado de Acay ai vulcani lontani, all’abbacinante striscia delle Salinas Grandes, il lago salato più bianco dell’Argentina. Attraversai il passo la prima volta nel 2007 nel corso di un raid nella regione allo scopo di provare un fuoristrada. Da una vita sensibile al fascino delle terre alte, non restai indifferente all’esperienza di quella quota. La seconda volta sfidai l’Abra del Acay in mountain bike, con successo. Per la terza volta, viaggiando con la famiglia, sono tornato al 4x4. Fedele compagna d’avventura fin dalla partenza da Buenos Aires, 1.500 km più a sud, è una Jeep Compass 2.4 benzina, l’ideale per i fondi sterrati, spesso tormentati. Il passo, mi spiega Figueroa, è al momento intransitabile sul versante sud per “lavori in corso”: anche in quella terra ai confini del cielo sta arrivando la tecnologia sotto forma dei cavi di fibra ottica. Un’opera immane che interessa l’intera Ruta 40, quasi 5.000 km dalla Terra del Fuoco al confine con la Bolivia: e l’Abra del Acay fa proprio parte della mitica spina dorsale argentina.

L’idea, allora, è di salire al passo dal versante Nord, quello che le volte precedenti avevo percorso in discesa e che non presenta particolari difficoltà. Un nuovo itinerario che offre anche molte e allettanti variazioni sul tema delle terre alte. Tanto per cominciare, il nuovo percorso mi obbliga a passare da Salta, il capoluogo dell’omonima provincia. Ci arrivo dopo aver attraversato il Parque Nacional Los Cardones e una vertiginosa discesa dai 3470 metri della Cuesta dell’Obispo. Da Salta, il 26 febbraio 1999, partì la spedizione scientifica guidata dall’antropologo americano Johan Reinhard. Il team aveva lo scopo di esplorare la zona archeologica sulla sommità del vulcano Llullaillaco, 6739 m, noto per essere stato il più alto tra i tanti luoghi sacri scelti dagli Inca per i sacrifici umani. Due settimane dopo, avvenne la prima scoperta, la mummia di un bambino che la quota e il gelo avevano conservato in eccezionali condizioni. Nel giro di pochi giorni furono rinvenuti i corpi di una ragazza e di una bambina. Da anni le tre mummie sono esposte a rotazione al Museo Archeologico di Alta Montagna di Salta che le presenta avvolte nei loro indumenti e con il corredo funerario.

Salta la linda, la bella, come dicono gli argentini, è la città più vivace della regione, tra musei, vini, gastronomia di qualità e movida notturna. Se poi amate l’avventura, offre anche una miriade di contatti per esplorare la magica regione della Puna, l’esteso altopiano sopra i 3000 metri dall’aspetto lunare, ricco di lagune, vulcani e laghi salati. Un paradiso della “naturaleza”, come dicono gli argentini. Tra le mete più facilmente fruite dai turisti sono però le Valles Calchaquies e la cittadina di Cafayate, al centro di una terra che offre reperti archeologici di grande interesse, come le rovine di Quilmes. Cafayate, che sorge a 1700 metri di altitudine, è circondata da vigneti che raggiungono quote ben più alte e i suoi vini sono famosi anche per l’eccellente qualità. Il percorso da Cafayate a Cachi attraverso la Quebrada de las Flechas (il “canyon delle frecce”), è un’esperienza che non si dimentica facilmente, 160 km attraverso angusti passaggi circondati da rocce acuminate e villaggi. Proprio per le sue valenze naturali e storiche, la quebrada è stata dichiarata dall’Unesco Patrimonio dell’umanità. È un percorso da gustare chilometro per chilometro, complice la ridotta andatura che la strada impone. La Compass è un’alleata preziosa in questa avventura. Anche per andare verso la Quebrada de Humahuaca, a meno di tre ore da Salta, dopo aver lambito San Salvador de Jujuy. Anche questa valle è Patrimonio dell’umanità. Il centro principale, appunto Humahuaca, sull’antico cammino degli Incas, sorge a 3000 metri e per me è anche il trampolino per la tappa successiva. Una ventina di chilometri a nord si stacca sulla destra uno sterrato con una semplice indicazione: Iruya. So che questo villaggio sperduto in fondo a un canyon è una meta ambita, magica, quasi esoterica. Tornante dopo tornante, ormai in un paesaggio brullo e desolato, si guadagnano i 4000 metri dell’Abra del Condor. Il gps mi informa che alla meta mancano ancora una ventina di km. Iruya, con la sua chiesa color ocra che si staglia contro la nera parete del canyon, è uno di quei posti ai confini del mondo che ti rimangono scolpiti nella memoria. Un avamposto dove la più classica icona culturale argentina, Evita, è surclassata dalla Pachamama, la dea della terra ancor oggi riferimento in un’agricoltura di sussistenza.

Per tornare nella Quebrada de Humahuaca, il giorno dopo ripercorro la stessa strada. Per la prima volta da quando sono partito, la rotta è verso Sud: Purmamarca è un villaggio che deve la sua fama al Cerro de los Siete Colores che lo sovrasta, montagna variopinta che è al tempo stesso un libro aperto per i cultori di geologia e un eccellente set fotografico. L’arrampicata lungo la Cuesta del Lipan è tutta su asfalto ma ha uno sviluppo incredibile, il dislivello è di circa 2000 metri e la quota che si raggiunge al passo è di 4170 metri. Al di là la vista si apre sulla Puna, in un paesaggio sconfinato e con la strada che, dopo una discesa, riprende a salire verso il passo de Jama e il Cile. Ma la mia meta è un’altra: dopo una visita al paesaggio lunare di Salinas Grandes, mi dirigo a San Antonio de los Cobres. È in questo villaggio minerario, a 3700 metri, dove transita anche la ferrovia del Tren a las Nubes, che passerò la notte prima di sferrare l’attacco all’Abra del Acay dal versante sud. La polizia locale mi conferma che la salita al passo è transitabile. Anche le previsioni del tempo mi sono alleate. Quarantacinque chilometri mi separano dal passo, di cui gli ultimi due terzi di salita. Un’arrampicata lenta, col motore che tiene botta nonostante l’ossigeno rarefatto. Un lungo cammino in cui riconosco le curve percorse un anno prima con la mountain bike, in discesa. Poi l’arrivo sul “tetto” del viaggio, il panorama e l’emozione, come sempre accade sui passi, di guardare dall’altra parte. Là in fondo, col binocolo, vedo matasse di cavi pronti per essere posati. Tra pochi mesi anche il passo ai confini del cielo sarà cablato, ma non perderà comunque il suo fascino.