di Bill Fink - National Geographic Traveler | Foto di Francesco Lastrucci
Dopo tanti anni di violenze e caos politico, finalmente il Paese latinoamericano pacificato apre le porte al turismo e si mostra in tutta la sua bellezza. E racconta il suo tesoro: il caffè
Qualcosa bolle in pentola nella piccola città colombiana di minca. Profuma di caramello, corteccia, carbone e cioccolato. Da dove proviene? Dai chicchi di caffè, freschi di tostatura, con il loro odore pungente che penetra attraverso l’umida foschia tropicale. Qui nella Colombia del nord dove la Sierra Nevada de Santa Marta emerge diretta dalle coste del mar dei Caraibi. Per lungo tempo questa zona è rimasta sottosviluppata a causa dei problemi politici (dopo 40 anni di conflitto tra guerriglia Farc e il governo nazionale, al termine di quattro anni di trattative il 23 giugno scorso è stato firmato l’accordo di pace, ndr), ma ora viaggiatori da tutto il mondo arrivano qui per visitare le spiagge del Tayrona National Park, l’antico sito archeologico di Ciudad Perdida e il paradiso degli ornitologi che è la giungla intorno a Minca. Adesso si sono aggiunti anche i cultori del caffè: una strana miscela di appassionati zaino in spalla curiosi di scoprire quella che Juan Pablo Campos, direttore generale della Lohas Beans, chiama “la regione colombiana più importante per la produzione di caffè biologico”.
Anche se non è nativa della colombia, la pianta del caffè ha prosperato per secoli sui pendii ombreggiati delle montagne grazie alle piogge, all’altitudine e alle temperature ideali per la crescita del dolce, mediamente corposo, chicco di arabica. La Colombia esporta caffè dai primi dell’Ottocento e, soltanto nel 2015, ha spedito nel mondo 840mila tonnellate di chicchi. Il triangolo del caffè colombiano più conosciuto sta da un’altra parte, nel Sudovest del Paese, dove non mancano tour organizzati delle piantagioni e pernottamenti in lodge di lusso, ma la Sierra Nevada offre ancora un autentico viaggio nel passato, nonché un assaggio del futuro del caffè colombiano. Nelle remote terre del nord le tribù indigene Kogi e Arhuaco portano avanti un sistema di produzione biologico e sostenibile che combina credenze tradizionali e moderne competenze di coltivazione. Le fattorie hanno così molte varietà che vantano una tripla certificazione: sono bio, rientrano perfettamente nei dettami del fair trade, ovvero il commercio equo e solidale, e rispettano la foresta tropicale.
La porta d’ingresso alla regione è la soleggiata città costiera di santa marta, dove il gusto amaro del caffè nero che qui chiamano tinto (inchiostro in spagnolo) e addolcito da abbondanti cucchiaiate di zucchero. Gli esperti veri sanno che le migliori miscele non si trovano nelle catene di negozi, ma nei piccoli coffee shop della città, come l’Ikaro Café. Sanno anche che il momento migliore per esplorare la zona e la cultura del caffè che la caratterizza è durante il raccolto che avviene fra novembre e febbraio. Basta prendere un economico taxi che, in 40 minuti, porta dalle spiagge alle colline. Una fermata all’Hacienda la Victoria sopra Minca è un vero e proprio tuffo nel 1892, quando la fattoria fu fondata. I proprietari, Micky e Claudia Weber propongono un mini tour alla scoperta dei processi di lavorazione del caffè: dal chicco alla tostatura. Le macchine che utilizzano sono le stesse in uso da più di un secolo come i generatori ad acqua e le presse a mano. Il giro si conclude con la “degustazione” spesso accompagnata da una fetta di torta. Altri produttori locali promuovono tour e assaggi di caffè di altissima qualità, un’enorme differenza rispetto al passato visto che prima la politica non ufficiale prevedeva l’esportazione del meglio della produzione. Per visitare invece le terre tribali meglio affidarsi a tour organizzati perché l’accesso è possibile solo dopo aver richiesto permessi speciali non sempre semplici da ottenere in autonomia. Non mancano operatori locali dei quali fidarsi come, per esempio, Wiwa Tour (wiwatour.com), che mette a disposizione la competenza e la conoscenza del luogo di guide indigene.
Bere una tazza di caffè è però solo l’inizio di un viaggio a Minca dove i chicchi vengono lasciati essiccare al sole avvolti in teloni durante la stagione giusta. Sentieri per escursionisti attraversano la foresta pluviale della Sierra Nevada e conducono alle cascate Marinka e Pozo Azul. Centinaia di specie di farfalle e uccelli popolano l’area, tanto che i pappagalli sono numerosi quanto i piccioni in una grande città metropolitana. E se le piantagioni Minca conducono in un viaggio nel passato di qualche generazione, le fattorie indigene dei Kogi (e ancora di più quelle remote degli Arhuaco), che si trovano più lontano ancora sulle montagne, trasportano indietro di secoli. Le tribù vivono senza elettricità in capanni di fango e argilla con i tetti di paglia. Spesso trasportano la loro mochila, il tradizionale zaino di tela fatto a mano e indossano rustico abbigliamento di cotone, spesso bianco per simboleggiare la purezza della natura. In testa portano un curioso copricapo conico che rappresenta le cime delle montagne ricoperte di neve. I loro mamos, le guide spirituali, durante le cerimonie di purificazione fatte di canti e preghiere invocano una buona semina e un altrettanto buon raccolto. Tutto è in armonia con la terra, i loro vicini e persino con le regole del mercato degli affari. Un modello ideale non solo per il commercio del caffè, ma da imitare per il rilancio di tutto il sistema turistico della Colombia finalmente in pace. E lo zucchero non serve, tutto è già piuttosto dolce qui.