di Valerio Magrelli
Moschee abbaglianti, dune sulle quali sciare, alberghi a 7 stelle, grattacieli da record: cartoline da Dubai e Abu Dhabi, città smaglianti dove vivono migranti senza diritti
Quattro giorni fra Abu Dhabi e Dubai. Per cominciare, di felix c’è la ricchezza degli abitanti, che hanno saputo sfruttare la fortuna di vivere su sterminati laghi sotterranei di petrolio. Ciò spiega come mai nei sette Emirati (abilmente consociatisi dopo secoli di lotte tribali) vivano oggi migliaia di immigrati indiani, pakistani, filippini che godono purtroppo di minimi diritti. Fatto sta, grazie a tanti pozzi di denaro, sono sorte due metropoli spettacolari. Davanti a un mare caldo e azzurrissimo, grattacieli multiformi si alternano a candide spiagge. Vale la pena passeggiare sul lungomare di Abu Dhabi, la Corniche, per visitare poi l’Emirates Palace, sfarzoso fino all’inverosimile, e il meno attraente World Trade Suk, dell’archistar Norman Foster. Se l’Heritage Village è un «falso antico», il pezzo forte è la recente Gran Moschea dello Sceicco Zayed, di impressionante vastità. I bacini d’acqua, l’ampio porticato in cui trillano uccellini e cellulari di turisti, il gigantesco chiostro (si perdoni il termine improprio): tutto è studiato per incutere suggestione, con l’abbagliante candore prodotto dal marmo di Carrara. Bella l’idea di vederla al tramonto, quando la luce la immerge nel violetto. Quanto all’interno, basti dire che ospita il tappeto più grande del mondo. D’obbligo, il giorno dopo, la gita nel deserto, ovvia ma memorabile, fra dune alte fino a cinquanta metri. Ecco i cammelli e addirittura gli sci (vedremo come questa sia una vera ossessione). La cosa più notevole resta però la guida delle jeep, che volano in picchiata per risalire sgommando, mentre l’auto rolla e beccheggia come un vascello in mezzo alla tempesta, i finestrini ricoperti di sabbia.
Un’ora e mezza per giungere da Abu Dhabi a Dubai, altro teatro del lusso. Qui si comincia dal Burj Khalifa, il grattacielo più alto del mondo, quasi tre volte l’Empire State Building. Ricordo che a casa di mia nonna, mezzo secolo fa, l’ascensore costava dieci lire. Per salire quassù si pagano invece 120 dollari, ma ne vale la pena. Quanto all’enorme Mall of the Emirates, chiedo venia: ho dimenticato di recarmi alla stazione sciistica al coperto, con 5 piste servite da una seggiovia e da cannoni sparaneve. Ospita anche un rifugio in stile alpino… Comunque il più originale elemento paesaggistico di Dubai è Dira Creek, un dito di mare che penetra come un fiordo all’interno della costa. Sulle sue sponde, antiche barche ormeggiate, il quartiere persiano, un suk a uso dei turisti. Infine, passati davanti all’oceano, proviamo a entrare nella grande vela del Burj al-Arab, uno dei pochi hotel al mondo a 7 stelle. Scopriamo che per accedere alla sua isola artificiale si deve consumare un cocktail o una cena a prezzi inimmaginabili. Così ci rassegniamo a vederlo da fuori, mentre vicino a noi (è tardo pomeriggio) un gruppo di operai, di etnia molto diversa da quella degli emiratini, sale su un bus che li riporta a casa, quasi a mostrarci l’altra faccia, nascosta, della smagliante medaglia petrolifera.