L'editoriale del Presidente Iseppi

Giuseppe CarotenutoGiuseppe Carotenuto

Estate europea: la stagione dell’ansia, della paura, dell’insicurezza

Le fibrillazioni politico-istituzionali, unite alle gravi difficoltà economiche, finanziarie e di governance della Ue, rappresentano, negli ultimi anni, una costante della Comunità. Sono segni di una crisi profonda con la quale non solo l’Italia, ma tutti i Paesi devono misurarsi per le loro conseguenze. In questo ultimo anno e mezzo, e specialmente negli ultimi mesi, si sono verificati eventi “eccezionali” che stanno minando lo stesso identikit dell’Unione. 
La Brexit costringe l’Ue e il Regno Unito a inventare (in tempi brevi) nuove forme di intesa, commerciali, finanziarie, di politica internazionale. La Turchia sfrutta la sua immagine di alleato scomodo, manifesta la sua estraneità culturale all’Europa, ricattandola sull’accordo delle migrazioni, operando con decisioni contrarie ai valori di appartenenza all’Unione, ha un’attrazione fatale per la Russia, predisponendosi a un posizionamento internazionale antieuropeo: con l’offensiva dell’armata turca nella guerra civile in Siria, vuole assicurarsi un ruolo di rilievo in un’area destinata a modificarsi radicalmente in termini geopolitici. Il conflitto diventa più preoccupante se consideriamo le conseguenze “invasive” che può comportare il susseguirsi di numerosi atti terroristici che connotano in modo drammatico questa estate europea e che motivano le ansie, le paure e l’insicurezza individuale e collettiva di noi italiani europeisti.

Seguendo il “racconto” sviluppato da tutti i media, non pare che la guerra di cui parliamo sia destinata a risolversi a breve (malgrado i successi che stiamo registrando), ed è quindi capibile che la nostra Associazione voglia metabolizzare quanto sta avvenendo perché siamo sempre stati costruttori di valori positivi, di convivenza, rispetto, accettazione delle differenze, e mai disposti ad accettare violenze di ogni tipo. Ci riteniamo, attraverso il turismo, attori del sistema Italia, Paese fondatore dell’Unione, proponiamo un modo di praticare il turismo e di viaggiare basato su relazioni virtuose con le diverse culture che cerchiamo e non rifiutiamo, rivendicando un forte senso di appartenenza all’Europa per la sua storia, i suoi principi e le sue distintività. Lo choc degli attentati ha provocato un’immediata reazione di tutela, di difesa, di sicurezza facendo emergere l’esigenza di comprendere se l’Europa è in grado di rispondere a questa sfida riflettendo sulle cause strutturali, sulle motivazioni ideali e sulle origini del terrorismo che stiamo affrontando. 

La nostra attenzione si limita al binomio terrorismo-migrazione: sono due universi di riferimento che, seppure nella loro distintività, possono (comprensibilmente) essere letti insieme perché da noi registrati nella stessa unità di tempo (l’ultimo anno e mezzo e in particolare in questa stagione estiva) e di spazio (l’Europa). Le loro differenze sono state ben espresse da Angela Merkel (guerra al terrorismo e accoglienza ai rifugiati), non dimenticando mai che, quando è documentata la interrelazione tra i due fenomeni, non si può essere neutrali, come dimostra il coinvolgimento del nostro Paese in Libia. 

Accostandoci a questo puzzle chiamato terrorismo non lo facciamo da esperti e da specialisti, ma da persone normali, preoccupati e coscienti, alimentando la nostra conoscenza e comprensione della tematica 
(al fine di orientarci almeno su alcuni punti focali della stessa) prevalentemente attraverso i media che denunciano come la forza del terrorismo sta nel terrore che produce. Non tutti i terrorismi sono uguali: qui si tratta del terrorismo dell’Islam radicale, sostenuto da jihadisti che si richiamano al Daesh (acronimo arabo di organizzazione dello Stato islamico), governato da un califfato. Per molti si tratta di guerra di religione, per altri (come Papa Francesco) no. 
Si esclude da tutti che si tratti di una guerra tra le religioni. Si parla, invece, di guerra “dentro” una religione. Molti sostengono che non ci si debba battere contro l’Islam radicale ma contro qualche cosa d’altro. Siamo di fronte a un fenomeno atomizzato: c’è una “uberizzazione” di un terrorismo personale e di massa. È un crimine contro l’umanità.
 

Su un punto c’è una larga convergenza: anche se non si tratta di guerra di religione, è la religione (l’Islam radicale) che dà un senso al terrorismo di cui parliamo, perché essa non è solo trascendenza e fede, ma è anche appartenenza e identità. Quando questi due ultimi caratteri prevalgono, si ha a che fare con l’ideologizzazione della religione, priva di spessore culturale e spirituale ma solo funzionale e strumentale a qualsiasi obiettivo. Questo terrorismo si qualifica per le sue capacità di corrispondere alle nuove tendenze della società contemporanea: la globalizzazione da una parte e l’individualizzazione dall’altra. 

È difficile combatterlo perché è in grado di autoalimentarsi, fa leva sui giovani con un proselitismo mirato e sistematico fino a creare un esercito di piccoli leoni (ashbal), pescati nelle scuole di religione e negli orfanotrofi, utilizza internet, strumento di interrelazione ed emulazione, colpisce i simboli della cultura che non accetta, utilizza candidati alla jihad che sono lontani dalla religione.
anche se il terrorismo colpisce ovunque, la Francia è il Paese più preso di mira, per una serie di motivi: è diventato un bersaglio privilegiato delle azioni terroristiche del Califfato che si appella a lupi solitari con questo diktat: “colpite in Europa”; ha praticato finora un modello di integrazione tra quelli messi più in discussione; manifesta, nel suo complesso, un sistema educativo e sociale con molte crepe, approfittando delle quali si può destabilizzare il Paese; è l’espressione di un sistema istituzionale che non ha accettato mediazioni sullo stato di diritto e sulla laicità, considerandoli principi non negoziabili; è la comunità che sta facendo un profondo esame di coscienza sulle sue eventuali responsabilità nel governo delle emergenze, come si evince anche dalla conflittualità tra le istituzioni su problemi effettivamente minori, anche se fortemente simbolici, come l’uso del burkini. I fenomeni migratori continuano a essere percepiti come un’emergenza e non come una componente strutturale del cambiamento del mondo. 

Certamente è un fenomeno variegato: ci sono migrazioni generate dalla paura, dalla speranza, dalle calamità (tra le quali i cambiamenti climatici) per le quali esistono obblighi istituzionali, impegni morali e umanitari di accoglienza da parte degli Stati. Fermare questo tipo di emigrazioni è un’illusione, perché esse sono anche un fenomeno evolutivo non di puro movimento e richiedono anche un’attività cognitiva perché connaturate all’essenza dell’Homo Sapiens. Sono in ogni modo governabili, attraverso piani specifici per i rifugiati e per i bambini (cosa che sta avvenendo) purché l’Europa abbia un po’ più di coraggio, facendo capire ad alcuni Paesi (nei quali si affermano movimenti populisti, xenofobi, desiderosi di barriere e di muri) che le diversità sono una ricchezza e non un handicap e che l’Europa non è un bancomat dove si può prelevare senza contribuire in termini di solidarietà e mutualità, e comportandosi correttamente quando si tratta di assegnare o controllare i passaporti.

 

C’è la convinzione sempre più estesa che nessuna delle emergenze possa essere affrontata e risolta con gli strumenti politici, culturali e istituzionali dei vecchi Stati-nazione: le innovazioni di ogni segno nascono dalla mondializzazione (siamo cosmopoliti senza saperlo) che impone risposte globali a problemi universali. Questo obiettivo è possibile anche con un soggetto plurale come è l’Europa se si realizza la pre-condizione cioè l’integrazione, o per lo meno una certa unione fra gli Stati. In realtà l’integrazione non la si vuole per come si è modellata l’Unione Europea finora e/o non la si persegue, perché comporterebbe la rinuncia da parte dei singoli Stati delle loro attuali competenze. Da qui il fatto che, per ora, si è generalmente disponibili a realizzare forme di collaborazione compatibili con la tutela di ciascun Paese. L’incontro a Ventotene (22 agosto) tra Merkel, Hollande e Renzi (centrato su economia, finanza, sicurezza, migrazioni, rappresentanza, governance e visione dell’Europa di domani), relativamente a terrorismo e migrazione ha avuto il pregio del pragmatismo e della sincerità: si farà quello che si potrà fare. Bisogna riprendere in mano le fila della tela al fine, dopo la Brexit, di fare rinascere l’Europa, operando immediatamente perché non crolli. I condizionamenti interni dei singoli Stati e i problemi dei singoli leader non hanno impedito di presentare progetti degni di considerazione sulla sicurezza, indispensabile per il sostegno dei cittadini di un modello europeo di civiltà, dove stato sociale e privati trovino un equilibrio. 

C’è un’esplicita intenzione di scambiarsi informazioni strategiche sul terrorismo, di fare funzionare la Direzione sulla sicurezza europea, di lavorare su una “Schengen di difesa” (proposta italiana) tra gli Stati disponibili, precostituendo di fatto, su questo tema, una Europa a due velocità. Anche sulle migrazioni, riconosciuto il fallimento di quanto si è fatto finora (lasciando, ad esempio, sola l’Italia), confidando troppo sul ruolo di sussidiarietà svolto dall’associazionismo umanitario e sulla disponibilità delle istituzioni locali, si vuole fare sul serio con una programmazione definita, da attuarsi in modo vincolante, sistematico e collaborativo, come sta avvenendo con il controllo delle coste del Mediterraneo. Ma anche una serie di “investimenti” sulla crescita di una cultura europea sono stati giudicati strategici e da sostenere: si va dal dialogo interreligioso (le religioni sono uno strumento di conoscenza, ma anche di comprensione del mondo) allo sviluppo dell’esperienza di Erasmus, al servizio civile obbligatorio, a favorire la visibilità dell’islamismo moderato (tema su cui sono molto impegnati i francesi), a incrementare le risorse per l’industria creativa, a dare spazio ai progetti che promuovono i Beni culturali e la costruzione di senso di appartenenza all’Europa. Puntare sulla cultura può essere considerata una buona premessa per stabilire una relazione virtuosa tra sicurezza e libertà, anche se queste ultime non possono più essere vissute e praticate in modo assoluto, come paradigma dell’identità europea.

...mentre questo numero di Touring andava in stampa, un terribile terremoto ha colpito Lazio, Umbria e Marche. Due parole chiave (“sicurezza” e “ricostruzione”) sono continuamente evocate quando si fa riferimento ai due eventi incomparabilmente diversi ed eccezionali (“terrorismo” in Europa e “terremoto” in Italia) che hanno caratterizzato l’inizio e la fine della stagione estiva. “Sicurezza” e “ricostruzione” hanno contenuti e senso molto differenti, ma, paradossalmente, esse rappresentano due fasi o due estremi di una stessa coerenza, se affrontiamo (con conoscenza, professionalità, responsabilità, trasparenza, solidarietà, condivisione) le vie d’uscita dal terrorismo e i modi per rimediare ai danni causati dal terremoto, con una idea forte di umanità per ridare centralità alla persona, con i suoi valori, la sua identità, i suoi diritti, attraverso progetti e azioni ispirate contemporaneamente a finalità materiali e non, sia che si tratti di una grande comunità, come l’Europa, sia che si tratti di piccole comunità come quelle di Amatrice, Arquata del Tronto e Accumoli.