Il viaggiatore. Malraux in Asia

Negli anni Venti lo scrittore francese André Malraux fu arrestato per aver trafugato delle statue da Angkor Wat. Dall’avventura nacque la sua infatuazione per l’Indocina

1923. «Cara, non penserai mica che mi metta a lavorare!» aveva detto il ventiduenne André Malraux a Clara Goldschmidt, la giovane moglie dell’alta borghesia ebraica che aveva fino ad allora finanziato i suoi viaggi e le sue maldestre speculazioni. La soluzione doveva venirgli proprio dai volumi di storia dell’arte indocinese che aveva tanto avidamente assorbito. Dovevano esserci, in Cambogia, sulla via percorsa dai pellegrini verso la città santa di Angkor, dei templi sepolti sotto la vegetazione. Sarebbe bastato seguire le loro tracce per scoprire quei monumenti scordati da tutti. Lì avrebbe asportato le statue più belle per poi rivenderle a caro prezzo in America, assicurandosi due o tre anni di benessere. Con gli ultimi soldi avevano preso un biglietto di prima classe per la Cambogia. Nella valigia di lui tutto era bianco, dai vestiti alle scarpe. 

«Là dentro – aveva detto Clara – è caduta la neve». Nel baule armadio di lei c’era una giacca alla cacciatora e pantaloni da cavallerizza. Lui aveva adottato il casco coloniale, lei un largo feltro grigio bucherellato. Si erano inoltrati nella giungla sotto lo sguardo diffidente dei coloni francesi che sorseggiavano Pernod per lottare contro l’afa. Quando avevano dovuto lasciare la macchina, avevano proseguito a cavallo, seguiti da quattro carri tirati da bufali grigi. Dentro c’erano le immense casse canforate destinate a nascondere il frutto della spedizione. Avanzavano fradici di sudore, in una nube di zanzare, respirando un’aria così densa che sembrava di masticarla. Dopo due giorni e mezzo, a venti chilometri da Angkor, avevano finalmente trovato un tempio rosa semidistrutto, arabescato di muschio. Era quello di Banteai Srei, oggi restaurato dall’archeologo Henri Marchal. 

Un serpente verde smeraldo, importunato da quegli intrusi, aveva drizzato la testa, poi era scivolato sotto una pietra. Mentre tentavano di segare l’arenaria delle statue resa viola dai raggi del sole sentivano di essere sorvegliati da spettatori invisibili, nascosti tra le liane della foresta. Dopo tre giorni avevano caricato sui carri sette «principesse trafugate». Era quasi Natale quando il loro sonno, nella cabina della nave che li riportava a Phnom Penh, era stato interrotto da una voce che intimava brutalmente di uscire. I funzionari avevano aperto le casse nella stiva della nave. La giovane coppia non capiva il perché di tanta agitazione. «Non dovevo preoccuparmi perché avevano trovato nelle nostre casse frammenti di un tempio quasi crollato di cui nessuno per anni si era interessato». La detenzione, prima in albergo e poi in ospedale, per l’attacco di anoressia della giovane donna, aveva dato loro il tempo di capire. Quando Clara era riuscita a farsi liberare, era partita per la Francia, dove aveva raccolto le firme dei maggiori esponenti culturali per liberare Malraux, che era riuscito a farsi condannare attaccando, al processo, i giudici. Da quell’avventura opportunamente trasfigurata sarebbero nati La via dei re e un amore inestinguibile per l’Oriente.