di Giuseppe Scaraffia
Dalle sfortunate battute di caccia in Kenya, che gli costarono un ricovero in ospedale, lo scrittore trasse l’ispirazione per il libro Verdi colline d’Africa
Era stato uno zio della seconda moglie a finanziare generosamente il safari di Ernest Hemingway. L’8 dicembre 1933 la nave entrò nel porto di Mombasa dove lo scrittore e Pauline sperimentarono i disagi del clima tropicale.
Dopo la soffocante umidità di Mombasa e l’odore acre dei vicoli della città vecchia, il lungo viaggio in treno verso Nairobi fu una liberazione. Arrivati alla meta scesero al New Stanley Hotel, una costruzione coloniale oggi scomparsa. Lì incontrarono un famoso «cacciatore bianco», Philip Percival, al quale gli Hemingway si affezionarono immediatamente. La prima battuta avvenne nelle pianure del Kapiti, nei pressi del Kilimangiaro. Il gruppo si spostava su un veicolo aperto a sei posti, dove sedevano anche i portatori d’armi, seguito da due camion con l’attrezzatura per le tende. Sempre competitivo, Hemingway si lanciò in una gara con il loro compagno di safari, l’amico Charles Thompson. Però, nonostante tutti i suoi sforzi, continuava a perdere. Malgrado la gentilezza del rivale, Hemingway non sopportava che il suo rinoceronte avesse il corno più piccolo di quello di Charles. La tensione cresceva. Invano Pauline lo esortava a «comportarsi come un essere umano». Percival commentò saggiamente: «Abbiamo delle emozioni molto primitive.
È impossibile reprimere il senso di rivalità che guasta sempre tutto». Ma, dopo avere visitato il cratere di Ngorongoro, un forte attacco di diarrea amebica strappò definitivamente lo scrittore da quella competizione impossibile. Tuttavia, malgrado la debolezza, si ostinò a continuare a cacciare.
Sfogava la sua rabbia sparando sulle iene che detestava per quella «faccia astuta da cani bastardi». Avrebbe dovuto essere Pauline ad abbattere un leone «enorme e giallo con una grossa testa», ma la donna sbagliò mira e la belva scattò minacciosamente in «una strana corsa pesante». Allora Hemingway lo freddò, ma gli inservienti, devoti a Pauline, sostennero che era stata lei ad abbatterlo. La donna venne portata in trionfo e assistè, davanti al marito perplesso e irritato, alla danza del leone inscenata in suo onore dagli indigeni.
Ernest si rifece un’altra volta, uccidendo un leone e una leonessa, ma ebbe una stretta al cuore vedendo agonizzare quell’animale «davvero meraviglioso» con il pelo smosso dal pulsare automatico dei muscoli, mentre le mantidi gli succhiavano il sangue. Quando Hemingway dovette arrendersi alla malattia, il suo bilancio era di tre leoni, un bufalo e ventisette animali non meglio specificati. Ma il vero bottino era un altro. Da queste dense giornate nacquero Verdi Colline d’Africa e due memorabili racconti, La breve vita felice di Francis Macomber e Le nevi del Kilimangiaro. Un giorno, mentre esausto si appoggiava a un albero per non cadere, Hemingway ebbe un’esperienza mistica. Si convinse di essere stato scelto per incarnare Buddha. Era ora di andare in ospedale. L’ombra del piccolo biplano che lo portava a Nairobi spaventava le zebre e gli gnu che galoppavano atterriti in ogni direzione.