Chantilly. L'eleganza del dolce

A pochi minuti dal centro di Parigi, il castello di Chantilly mette in scena la collezione d’arte più importante di Francia, seconda solo al Louvre. E un calorico mito che ne porta il nome: l’omonima crème

“Volendo conservare per la Francia il Domaine de Chantilly nella sua interezza, con i suoi boschi, i suoi prati, le sue acque, i suoi edifici e tutto ciò che contengono, trofei, quadri, libri, archivi, oggetti d’arte, tutto l’insieme che costituisce un monumento completo e vario dell’arte francese in tutte le sue espressioni e della storia della mia Patria nei momenti di gloria, ho deciso di affidarne la custodia al Corpo più illustre che mi ha fatto l’onore di chiamarmi nei suoi ranghi (…)”. Era il 5 giugno 1884 e Sua Altezza reale Henri d’Orléans, duca di Aumale e figlio di Luigi Filippo, ultimo re di Francia, donava alla Fondation de France un patrimonio inestimabile. Sarebbe diventato l’attuale Musée Condé, cioè la seconda collezione di dipinti antichi più importante di Francia, esposta all’interno di uno dei rarissimi castelli interamente ammobiliati. Un’impresa resa possibile grazie alla clausola per la quale nulla di quanto è custodito nel Domaine può essere alienato o spostato dalla sua collocazione originale. Così il vecchio duca, amante dell’arte e dei classici, raffinato collezionista esiliato a lungo in Inghilterra e privato della discendenza dalle vicende della vita, trasformò il castello di Chantilly nello spettacolare scrigno per 830 dipinti, 2.500 disegni e altrettante stampe, 1.700 foto antiche, circa 250 sculture e 5.000 oggetti d’arte. Ai quali si aggiungono i 40mila volumi della biblioteca – una delle prime di Francia – ordinati secondo le dimensioni, la rilegatura e l’argomento decisi dal duca di Aumale. 

Nessun altro museo francese, oltre al Louvre, possiede lo stesso numero di tele di Raffaello, Beato Angelico, Watteau, Poussin, Ingres, Delacroix, Corot, solo per citarne alcuni. Tra i capolavori, oltre ai ritratti di Jean e François Clouet provenienti dalla collezione di Caterina de’ Medici e alla Strage degli Innocenti di Poussin, un posto d’onore spetta alle Tre Grazie e alla Madonna della Casa d’Orléans di Raffaello, esposti nel cosiddetto “Santuario” insieme a Ester scelta da Assuero di Filippino Lippi. Nella “Rotonda”, all’estremità della galleria dedicata ai capolavori del rinascimento italiano, è collocato invece il ritratto di Simonetta Vespucci (nobildonna fiorentina amante di Giuliano de’ Medici, fratello di Lorenzo il Magnifico), dipinta da Piero di Cosimo con un serpente al collo e con il profilo che si staglia su una nuvola nera che ne esalta la delicatezza e l’eleganza. Su uno dei muri storici del castello poggia la suite Condé dell’Auberge du Jeu de Paume, raffinato hôtel à la française arredato con porcellane e mobili realizzati da artigiani francesi e con tessuti che riprendono i colori del casato. I quadri alle pareti sono riproduzioni degli originali del museo, mentre dal terrazzo la vista spazia sul giardino inglese del parco progettato da André Le Nôtre, giardiniere di Luigi XIV.

A poco più di venti minuti di treno dal centro di Parigi, il Domaine de Chantilly sembra uno scorcio rubato alla più classica cartolina della valle della Loira. “Principesco” è il titolo ufficiale, oltre che l’aggettivo più appropriato per riferirsi a questo castello. “Incantevole” è però il primo a cui si pensa quando lo si vede apparire al fondo del viale di terra bianca percorso dalle navette che fanno la spola con la stazione del centro abitato. Un profilo su cui si alternano torrette di pietra chiara e tetti di ardesia, linee rette che giocano con quelle curve, uno specchio d’acqua dove l’elegante silhouette si riflette e raddoppia, un parco a perdita d’occhio che abbraccia foreste, labirinti, spazi disegnati nella più classica architettura paesaggistica alla francese ma anche un giardino inglese e uno anglo-cinese, testimoni del vezzo per la natura negli stili e nei secoli. La sua storia comincia come piccola fortezza circondata da paludi, prosegue attraverso la Guerra dei Cent’Anni, il rifacimento in stile rinascimento francese ispirato a quello italiano, la distruzione rivoluzionaria del 1799 per arrivare alla definitiva e accurata ricostruzione ordinata dal duca di Aumale nel XIX secolo. Ma la grandeur degna di Versailles si deve a Luigi II di Borbone, il Gran Condé, che portò qui artisti come Molière, Racine e La Fontaine e uno stile di vita che rivaleggiava con quello della più celebre corte di Francia, stretta attorno a suo cugino Luigi XIV. Fu proprio il Re Sole a relegare il Gran Condé nella campagna di Chantilly per punirlo, pur avendolo perdonato, della Fronda che aveva guidato contro la Corona. Invece di languire, nell’antica residenza di caccia il principe investì energie e finanze e da qui decise di riconquistarsi i favori del sovrano, invitandolo insieme a tutta la corte per tre indimenticabili giorni di banchetti, fuochi d’artificio, battute di caccia e intrattenimenti senza precedenti. Il 23, 24 e 24 aprile 1671 rimasero nella storia e furono raccontati da Roland Joffé nel film intitolato al devoto e misterioso intendente di Condé, François Vatel, interpretato da Gérard Depardieu. Un affresco storico notevole che celebra il successo dell’evento e si conclude con il suicidio del cuoco Vatel che forse temeva il fallimento del banchetto finale. O quello della sua vita sentimentale. Le ragioni non sono chiare ma il gesto venne compiuto effettivamente nella stanza che si trova ancora all’ultimo piano del castello. Ai piani inferiori, invece, l’attuale ristorante La Capitanerie occupa le vecchie cucine da cui per tre giorni Vatel diresse un esercito di cuochi e di servitori per stupire colui che aveva scelto per emblema l’astro fulgente.  

Alla festa mancava soltanto la vera crema Chantilly, battezzata con questo nome soltanto un secolo più tardi. Per l’esattezza nel 1784, quando nei diari della baronessa di Oberkirch, moglie del futuro zar Paolo I, si legge di una crème speciale, preparata con lo zucchero e servita agli ospiti che Luigi Giuseppe di Borbone – naturalmente principe di Condé – secondo la moda del momento riceveva nell’hameau che aveva fatto costruire nel parco. Un borgo di poche casupole, cinque in tutto, con mulino, latteria e stalla, tutte con il tetto in paglia e un’impareggiabile atmosfera bucolica che incantò anche l’imperatore Giuseppe II, fratello di Maria Antonietta che da qui avrebbe tratto ispirazione per il suo Petit Trianon. Dunque la leggenda che attribuisce l’invenzione della crème Chantilly al tentativo di François Vatel di montare la poca panna liquida rimasta per il grande ricevimento, è smentita dall’assenza di uno degli ingredienti fondamentali, lo zucchero, arrivato dopo. Quel che conta è che arrivò qui, se non nelle cucine del castello, di sicuro in quelle dell’hameau dove peraltro la Chantilly viene ancora preparata in maniera artigianale, voluttuosa e immacolata. All’Auberge du Jeu de Paume è invece diventata l’ingrediente di esclusivi trattamenti di bellezza che rendono la pelle più morbida, ça va sans dire.  

Al duca d’Aumale, chantilly deve anche il prestigio di cui gode come «capitale mondiale del cavallo da corsa». Fu lui a portare qui nel 1833 la moda inglese delle corse di cavalli e organizzare per la prima volta quello che sarebbe diventato un appuntamento mondano attesissimo, il Prix de Diane, con annesso contorno glamour. La corsa che si tiene ogni anno a giugno rivaleggia con Ascot per le mises delle signore e per lo sfoggio degli originalissimi cappellini specialmente in occasione del tradizionale picnic sull’erba. Le Grandi Scuderie, progettate per alloggiare 240 cavalli e 500 cani, costruite da Luigi Enrico di Borbone, settimo principe di Condé, sono considerate il più bell’edificio francese del periodo di Luigi XV. La facciata di 200 metri interrotta da una cupola di 30 metri e da finestroni, il cortile per le carrozze e quello per i cani ne fanno inoltre le più grandi scuderie d’Europa, risparmiate dalla Rivoluzione per via degli ospiti a quattro zampe. Il duca di Borbone amava concludere le sue battute di caccia entrando a cavallo nello spazio ottagonale sotto la cupola, dove ancora oggi vengono allestiti spettacoli equestri. Sulla balconata, invece, si schieravano i musicisti che accompagnavano feste e banchetti al suono dei corni di caccia. Le scuderie ospitano il Musée du Cheval che attraverso trattati, dipinti, oggetti, documenti e immagini racconta la storia del rapporto fra l’uomo e il cavallo in un percorso interessante e suggestivo dove si scopre, per esempio, che la Francia conta il maggior numero di razze equine mentre Chantilly vanta la più alta concentrazione di veterinari specializzati per i cavalli e di centri per il trattamento muscolare dei fantini. Originale, no?