di Clelia Arduini
L’associazione Off Site Art porta la fotografia contemporanea, e non solo, nei cantieri della città devastata dal terremoto del 2009. Così la cultura aiuta la ricostruzione
C’è un cuore rosso, spesso e carnoso, imbracato sulle rocce del Gran Sasso. Sta lì, in bilico fra la terra e il vuoto a rimirare dall’alto i radi passanti di corso Vittorio Emanuele, fino a quel terribile 6 aprile del 2009 il salotto buono de L’Aquila. Se lo guardi intensamente, il caos circostante fatto di gru, camion, imballaggi, ponteggi, fili elettrici e tubi d’acciaio, si trasforma in qualcosa di caldo, di umano, che rende accettabile il dolore, lo sconquasso e l’incerto divenire di una città che, dopo sette anni e mezzo dal devastante terremoto, non è più “dov’era e com’era”. Potere di Off Site Art (letteralmente, e provocatoriamente, Arte FuoriLuogo), visionaria associazione aquilana che ha realizzato, con il contributo del Gran Sasso Science Institute, un geniale progetto di arte pubblica nato nel 2014 che invita gli artisti emergenti, italiani stranieri, ad accompagnare la ricostruzione del capoluogo abruzzese con un’opera d’arte. Le più interessanti, scelte da un comitato scientifico internazionale, sono stampate sui teloni che ricoprono le impalcature dei cantieri e lì rimangono fine alla conclusione del restauro dell’edificio dove sono affisse. «Tra la città del passato, che non c’è più – spiega la curatrice Veronica Santi – e la città del futuro, completamente ricostruita, c’è un mentre, cioè il tempo presente, che in questa storia non dura un attimo o un giorno, ma anni. Un lunghissimo mentre in cui Off Site Art, insieme all’associazione statunitense ArtBridge, si incunea con le sue opere che spaziano dalla fotografia alle illustrazioni, dalla pittura alle tecniche miste, per regalare punti di riferimento e identità temporanee a luoghi che l’hanno persa».
Ecco che allora Piazza Duomo con i suoi ponteggi diventa come d’incanto una galleria d’arte con le opere che per tutto il 2017 illumineranno il centro storico. Sono 22 gigantografie per altrettanti artisti che hanno dato la loro personale interpretazione della parola cambiamento, Change, il tema di questa (metaforica) chiamata alle armi: non cannoni, fucili e bombe a mano, ma reportage, metafore, suggestioni surrealiste, tratti da storie e immagini popolari, per costruire con delicatezza la nuova storia dell’Aquila e lo spirito della sua comunità. Tra questi artisti c’è anche una giovane aquilana, Serena Vittorini, il cui scatto si è conquistato il podio sul cantiere: un bambino che corre con entusiasmo verso il bosco, come per riappropriarsi di un territorio perduto.
Off Site Art ha pensato inoltre a un ciclo di installazioni a lungo termine in collaborazione con artisti e istituzioni legate al territorio, come Un cuore rosso sul Gran Sasso, di Sandro Visca, di cui scrivevamo all’inizio, L’Aquila il mio futuro è qui, a cura del Centro sperimentale di cinematografia Abruzzo e Ri-Generazioni, di Claudia Pajewski, gigantografia in bianco e nero in cui l’aquilana nonna Anna, classe 1927, sussurra qualcosa all’orecchio della pronipote Giulia, nata nel 2012: le sta raccontando la bellezza sparita della città, i suoi monumenti, gli eleganti palazzi, le chiese maestose. Un’ideale trapasso di memoria affinché i giovani nati dopo il 6 aprile 2009 sappiano come stavano prima le cose.
C’è, anche, un’applicazione per smartphone, realizzata dall’associazione in collaborazione con il dipartimento di Ingegneria, Scienze dell’informazione e Matematica dell’Università dell’Aquila, che permette di localizzare le opere installate sui ponteggi, i cantieri attivi e gli edifici restaurati. Un motivo in più per tornare a camminare nel centro storico, alla ricerca di momenti di ispirazione e di ottimismo. Anche se tutto intorno è un enorme cantiere edile abitato da poche decine di residenti e con meno di cento attività commerciali. Potenza dell’arte che inietta cultura e bellezza anche tra le macerie.