Estonia: autunno, bella scoperta

Andrea ForlaniAndrea ForlaniAndrea ForlaniAndrea ForlaniAndrea ForlaniAndrea ForlaniAndrea Forlani

Uscite dalle città e perdetevi nelle campagne, tra i boschi. È questa la parola d'ordine per chi visita l'Estonia nei mesi autunnali. Da Tallinn al lago Peipsi al confine con la Russia un viaggio nei colori pastello del Paese baltico

 Poi, un bel giorno, in Estonia arrivò l’autunno. O meglio, è l’estate a prendere congedo, con un lungo, ipnotico e definitivo battito d’ali. Quello delle cicogne, che all’improvviso si guardano negli occhi e a coppie abbandonano i grandi nidi appollaiati su pali della luce e comignoli di campagna, per far rotta verso l’Africa attraversando i burrascosi cieli del Medioriente e arrivederci al prossimo anno. E arrivederci anche ai crocieristi, che a frotte si riversano nei vicoli medievali del centro di Tallinn, che mai e poi mai avrebbe pensato di vedersi trasformato in un’attrazione turistica con tanto di bollino Unesco, da oltre tre milioni e mezzo di visitatori l’anno. Con l’autunno la capitale ritorna estone, e i suoi abitanti riprendono possesso di Raekoja Plats, la piazza del Municipio simbolo della città vecchia, ora non più ingolfata da comitive di turisti e collezionisti di selfie. Ma la fiaba dell’autunno estone è ancor più avvincente se raccontata fuori porta, dove la tavolozza di colori s’incendia come i falò delle feste di paese.

Pochi minuti d’auto e scompaiono torri, mura e bastioni, palazzi imperiali e parchi fioriti, startup da copertina e locali hipster. Si fila verso Est a traffico zero, sotto un cielo cosparso di zucchero filato così basso sull’orizzonte, che vorresti avere un bastoncino per infilzarne una manciata. Tamburelli sul volante al ritmo neo-folk dei Trad Attack e incroci con lo sguardo gli alci stilizzati sui cartelli di pericolo, augurandoti che non scendano da lì. Prima tappa, un classico delle brochure turistiche estoni: la palude di Viru, nel Parco nazionale di Lahemaa. Un sentiero munito di passerelle procede per tre chilometri e mezzo all’interno del policromo acquitrino e una torre panoramica regala foto da copertina. Un paio d’ore in questo paradiso – strano a dirsi per una palude – riconciliano con l’universo intero. Poco dopo sosta nella vicina Käsmu, villaggio votato al mare e ai marinai nella contea di Lääne-Virumaa. Qui, dove si addestravano capitani senza macchia e senza paura, c’è una casa-museo zeppa di reperti marinari, raccolti con immensa passione da Aarne Vaik, personaggio da romanzo classe 1942. «Ah, italiano!» esclama compiaciuto. Aarne si arrovella, briga e fruga in polverose cassettiere sin quando le sue nodose mani portano un album di vecchie cartoline color seppia con scorci di Sicilia e di costiera amalfitana.

Ma è ora di proseguire, il tramonto sul Peipsi – quinto lago d’Europa per estensione, diviso “amichevolmente” tra Estonia e Russia – non tergiversa più fino a notte fonda come nelle interminabili giornate estive e si sa, per i fotografi l’attimo è fuggente per definizione. Sovente nemmeno gli stessi estoni immaginano quanta poesia questo lago sprigioni in autunno. Nel silenzio della spiaggia di Kauksi un cigno solitario si alza in volo in un cielo porpora che si specchia sull’acqua immobile, mentre la linea d’orizzonte si fa liquida e svanisce, portando con sé spazio e tempo

Poco più a sud, all’altezza del villaggio di Mustvee, ha inizio la saga dei vecchi credenti. Fuggiti su queste sponde nel 1652 dalla Russia, per sopravvivere alle purghe del patriarca Nikon a tutti coloro che si opponevano alle sue riforme, gli esuli e le loro antiche tradizioni vivono in una teoria di villaggi lungolago fatti di casette in legno, e uniti dalla «via della cipolla», progetto di sviluppo turistico ispirato ai bulbi che si vendono a ogni angolo. Chiese, cortili, musei e pesce affumicato contribuiscono alla narrazione di un piccolo mondo antico che termina, insieme alla strada, nell’agreste villaggio di Varnja: unico della zona senz’acqua corrente, che ancora si preleva dal pozzo. Qui m’imbatto in Herling e Marko, proprietari di un b&b aperto da poco e vestiti in abiti tradizionali anche se vecchi credenti non sono, e forse neanche nuovi: «Ma ci teniamo a mantenere vive le tradizioni e facciamo il possibile per raccontarle agli ospiti», raccontano offrendo panzerotti alle cipolle. Dietrofront, bussola a Nord e sosta al castello di Alatskivi, bianco e neogotico, maniero ricostruito dal barone von Nolcken, ispirandosi alla residenza reale di Balmoral, in Scozia. Atmosfera unica e un museo al secondo piano dedicato al compositore estone Eduard Tubin.

Dopo un’ora abbondante di viaggio, è la volta di Kuremäe e del suo convento. Difficile trovare un Paese meno religioso dell’Estonia: oltre il 70 per cento della popolazione si dichiara atea, e se proprio deve affidarsi all’ultraterreno, si rivolge ai pini e alle betulle che popolano oltre la metà della superficie del Paese. Tuttavia quest’angolo sacro e bucolico, munito persino di sorgenti miracolose nella remota contea di Ida-Virumaa, ha un nonsoché di speciale. Sotto le cupole a cipolla della chiesa principale una delle 150 sorelle che popolano il convento mi coglie in flagrante mentre cerco di fare il mio lavoro, ben consapevole dell’esplicito divieto di scattare foto. Colto sul fatto, confesso i peccati di reporter e chiedo udienza alla madre superiora, che con gentilezza mi proibisce di fotografare in chiesa. Amen. Tuttavia, in preda a un lieve senso di colpa, elargisce un invito a pranzo in uno degli edifici in legno del convento dove, mentre trangugio zuppa di verdura e pane nero, siedo a tavola sotto gli occhi sorridenti di un gruppo di sorelle e di un padre ortodosso giunto dalla Russia.

 

Di nuovo in macchina, direzione mare, poi a Est fino a Narva. Terza città d’Estonia per abitanti (58.375, quasi il 90% russi) e affacciata sul fiume omonimo che segna il confine con la Russia, in un perfetto scenario da guerra fredda: un lungo ponte collega le due sponde, dove si fronteggiano le scenografiche fortezze di Narva e Ivangorod. La città è stata interamente spianata tra febbraio e agosto 1944, quando l’esercito sovietico e quello nazista si trovarono vis-à-vis, bombardandosi con tutto ciò che avevano a disposizione. Tuttavia, tra quel poco rimasto, c’è qualcosa che da solo vale il viaggio. Si tratta di uno dei più monumentali reperti di archeologia industriale del pianeta. Fondata nel 1857 dal barone tedesco Ludwig Knoop, la manifattura Kreenholm era per l’epoca la più moderna di Russia: vantava quasi mezzo milione di fusi alimentati dall’energia idraulica del fiume Narva e annoverava un ospedale, alloggi per operai e quadri, edifici religiosi e un bel parco. Negli anni floridi Kreenholm arrivò a occupare fino a 12mila persone, oggi vi lavorano poche decine di operai, ma esiste un ambizioso piano di recupero e sviluppo destinato a preservare gli edifici storici e a integrarli con nuove architetture. Non resta che vedere che accade. Nel frattempo, mentre si alza il vento, ripongo macchine e obiettivi e sulle note jazzate di Sügis on sügavik (Autunno nel profondo), di Helin-Mari Arder, prendo la via di casa.

Foto di Andrea Forlani