di Isabella Brega | Foto di Alberto Campanile
Questo è il primo di una serie di servizi che vogliono approfondire il tema del rapporto tra il viaggio e il mondo dei suoni. Quelli che, se i sensi sono pienamente efficienti, permettono di apprezzare fino in fondo le meraviglie della natura
Ci sono luoghi che sono porte. Porte fra te e il mondo. Porte che si aprono all’improvviso quando i tuoi sensi si dilatano. Quando il tuo udito ti consente di sentire il respiro dell’universo, ti sottrae all’isolamento e ti regala emozioni e vita, tempo per riflettere, spazi per sognare. È quello che succede quando ci si ferma sospesi sulle soglie di un bosco. Perché le foreste furono prima. Perché abbiamo sensi meravigliosi che, a condizione che siano pienamente funzionanti, ci permettono di conoscere il mondo in modo nuovo. Basta un passo, quello che ci separa fra il dentro e il fuori, fisico, mentale, emotivo. Entri nella foresta, accetti di perderti, di confrontarti con l’ignoto e con le tue paure. Segui una musica che respira piano: la voce del bosco ti attira, ti sospinge dolcemente, ti accoglie, ti culla, ti abbraccia, ti racconta i suoi segreti. Pieno contro vuoto, luce nell’ombra, ombra nella luce. Basta quel passo a riannodare fili dimenticati. Fili che ci collegano, che ci fanno ritrovare. Lontani dal caos dei doveri, dal fragore assordante della quotidianità ritroviamo il nostro io. Perché la foresta, luogo senza tempo e sconosciuto, “foresto”, è casa, è anfratto, è energia, è grembo materno. Il luogo sacro, primigenio, dove tutto ha inizio, il luogo della rigenerazione, da cui riemergere diversi per raccontare con un linguaggio nuovo e diverso lo stupore del mondo.
Questo è quello che succede nel Parco naturale Paneveggio-Pale di San Martino, in Trentino, fra la Val di Fiemme e il Passo Rolle. Qui, nella foresta incantata, davanti alla meraviglia delle piccole cose, sentire è tutto. Qui dove rinasce l’armonia fra uomo e natura, dove nell’ombra marezzata del sottobosco palpita un universo di piccole esistenze e piccole gioie, il fruscio di un uccello in volo, il brusio delle fronde mosse dal vento, il lamento di un ramo spezzato, il borbottio del ruscello, il ciangottare degli uccelli, nella promessa della primavera, nel chiarore del crepuscolo estivo, nella calma dei colori autunnali, nello stupore assopito dell’inverno, gli alberi cantano. Perché gli abeti rossi di Paneveggio, giganti del tempo e del suono, danno vita al legno di risonanza, da cui si ricavano le tavole armoniche usate per costruire violini, viole, violoncelli, contrabbassi. Una materia rara e preziosa, dalle straordinarie proprietà acustiche, risultato del lento e silenzioso lavoro di piante centenarie dalle caratteristiche uniche, in grado di trasmettere il suono: pochi nodi, fibre diritte, anelli di accrescimento regolari. La foresta dei violini vanta esemplari plurisecolari, alti più di 40 metri. Su 4800 m3 tagliati ogni anno (pari al 34% dell’accrescimento annuale del bosco), solo 20-50 metri cubi costituiscono legno di risonanza (0.4-1.0% della produzione annuale). Alberi di grosse dimensioni, con una età variabile tra i 150 e i 250-300 anni.
Gli alberi migliori per la produzione del legno di risonanza sono quelli con un’esposizione nord-nordest, su terreni ricchi di acqua. La valutazione delle caratteristiche del legname viene fatta battendo con un bastone il tronco e ascoltando la “risposta”, ma si racconta che alcuni liutai facciano la stessa cosa appoggiando un orologio a una estremità dei tronchi a terra (lunghi quattro-otto metri) e mettendo un orecchio alla estremità opposta, valutando così il legno dal modo in cui sentono il ticchettio del meccanismo. Il taglio degli alberi avviene con la luna calante, in autunno o in inverno, quando il basso contenuto di acqua nei tessuti favorisce la stagionatura. I tronchi vengono tagliati in tavolette a forma prismatica, con sezione trapezoidale, messe a stagionare per tre-dieci anni all’aperto o in un apposito locale, la xiloteca. Circa 700 ettari di foresta appartengono alla Magnifica Comunità di Fiemme, istituzione politico amministrativa autonoma del 1111, ma è il Servizio Parchi e Foreste Demaniali della Provincia di Trento che si occupa della gestione economica e della sorveglianza, oltre che della lavorazione e vendita del legname tramite la segheria di Caoria. Molto di questo legname viene esportato in Giappone, Paese leader nella costruzione di tavole armoniche, e a Tesero per realizzare pianoforti. Ma qui vengono anche i maestri liutai di Cremona per scegliere le piante più preziose. Qui veniva Stradivari a cercare gli alberi che avrebbero dato vita ai suoi straordinari violini, che dopo cinquecento anni regalano ancora un suono puro, vibrante e sontuoso. Perché il legno è sicuramente importante, ma altrettanto lo è la maestria del liutaio, quella che fa cantare l’anima della foresta e rende immortale il lavoro silenzioso di generazioni di uomini.
I grandi liutai italiani del ’600 e del ’700, realizzarono con questi abeti violini dalle caratteristiche acustiche perfette. Il segreto? Una minor differenza nella densità del legno, legata forse a un ingrediente sconosciuto nella vernice, al trattamento del legname, o a due funghi (il Physisporinus vitreus e lo Xylaria longipes) che assottigliano le pareti del legno ma lasciano intatta la struttura rigida in cui viaggia il suono. Sicuramente un grande peso ebbe il clima in cui crebbero le piante stesse. Tra il 1645 e il 1715 infatti l’Europa fu interessata da una piccola era glaciale, con un crollo delle temperature che ridusse la velocità di accrescimento degli abeti rossi. Cosa che non si è più ripetuta.
Il violino è stato codificato nelle sue tecniche costruttive in Italia nella seconda metà del XVI secolo grazie alle due più importanti scuole di liuteria del mondo, quella di Brescia, con Gasparo da Salò (1542-1609), e quella di Cremona con Andrea Amati (1511-1581). La peste che nel 1630 portò alla scomparsa di Giovanni Paolo Maggini e di altri liutai bresciani segnò il declino della scuola bresciana e l’inizio dell’apogeo di quella cremonese.
Tra il 1650 e il 1750 all’ombra del Torrazzo lavorarono i più grandi liutai di tutti i tempi: Nicolò Amati (1596-1684), nipote di Andrea Amati, il suo allievo Antonio Stradivari (1644-1737) e Giuseppe Guarneri “del Gesù” (1698-1744), così soprannominato perché si firmava con la sigla IHS, abbreviazione del termine greco Gesù. Stradivari costruì un migliaio di strumenti, di cui ne sopravvivono circa 650 esemplari, di cui solo 10 in Italia. Con la morte di Pietro Guarnieri nel 1762 si chiude il secolo d’oro di Cremona, che resta però la capitale mondiale della liuteria, come sottolinea il Museo del Violino di Palazzo dell’Arte, dove sono riunite le eccellenze liutarie antiche e contemporanee, oltre alla collezione Salabue-Fiorini, con i 700 pezzi dell’ex Museo Stradivariano. Non manca neanche la possibilità di ascoltare brani musicali e interviste con maestri liutai e di assistere a concerti nell’avveniristico auditorium Giovanni Arvedi da 460 posti, gioiello dell’ingegneria acustica. Fino al 18 dicembre nella sala del progetto Friends of Stradivari torna il Messia dell’Ashmolean Museum di Oxford, costruito dal maestro nel 1716, praticamente mai suonato e dall’eccezionale stato di conservazione.
Ma Cremona, la cui tradizione liutaria è stata inserita nel 2012 dall’Unesco nella lista del patrimonio culturale immateriale, vanta anche la Fondazione Stauffer, il Concorso Triennale Internazionale di violino, lo Stradivari Festival, Cremona Mondomusica, il più importante salone dedicato alla liuteria di alta gamma, e una prestigiosa scuola internazionale di liuteria. È appena partito il primo corso di laurea in Italia in restauro di strumenti musicali e scientifici, mentre è al secondo anno il Master in ingegneria acustica. Ma il patrimonio più prezioso della città di Monteverdi sono i suoi maestri, circa 150 botteghe che continuano la tradizione di un mestiere difficile e bellissimo, la cui qualità e competitività sui mercati è promossa e sostenuta dal “sistema” Cremona con una serie di incentivi. Un mestiere che richiede abilità, precisione e pazienza per realizzare e assemblare gli oltre 70 pezzi di legno che vengono modellati rigorosamente a mano utilizzando anche legni di specie diverse a seconda delle diverse funzioni: circa 200 ore di lavoro per un pezzo unico. Saperi antichi trasmessi di padre in figlio, da maestro ad allievo, da custodire e regalare alle generazioni future. Perché ogni albero che cade viene sostituito da uno nuovo e vigoroso. Perché la foresta che suona dà sempre buoni frutti.
Questo servizio è stato realizzato in collaborazione con Amplifon, il punto di riferimento più importante nel campo del benessere uditivo in Italia e nel mondo, partner del Touring Club Italiano, nell’ambito della campagna sociale di prevenzione del calo dell’udito. Un controllo gratuito per prendersi cura di sé e del proprio udito, per imparare a proteggerlo. Perché sentire bene significa sentire fino in fondo le emozioni della vita. Amplifon, multinazionale italiana leader nella distribuzione, applicazione e personalizzazione di soluzioni acustiche, dispone di oltre 550 centri specializzati dove è possibile effettuare gratuitamente e senza impegno il test dell’udito e partecipare al concorso Ascolta e parti per vincere fantastici viaggi con il Tci. Sulle soluzioni acustiche Amplifon i soci del Touring Club Italiano possono usufruire del 15% di sconto.