Oxford. Nel corso del tempo

John KernickJohn KernickJohn KernickJohn KernickJohn KernickJohn Kernick

Un’ex studentessa di Oxford ripercorre in houseboat e senza fretta il canale omonimo e scopre la passione degli inglesi per l’acqua

Oggi è il giorno di alice a Oxford, inghilterra. Un grifone alato sta suonando l’ukulele in Broad Street, aspettando l’arrivo della Regina di Cuori. Nella vicina biblioteca Bodleian un bruco sta dando consigli nutrizionali a un gruppo di bambini in grembiule. Di fronte al Pitt Rivers Museum una triste Tartaruga Finta conduce una quadriglia di aragoste. Osservo tutto questo dalla prua dell’Hertford, la mia houseboat a noleggio, cercando di capire fino in fondo questa celebrazione annuale di Alice nel paese delle meraviglie, la creazione del professore dell’Oxford University Charles Dodgson, meglio noto con il suo alias letterario: Lewis Carroll. Ho vissuto in St. Barnabas Street dal 2009 al 2010, quando ero una studentessa immersa nell’eccentricità della vita universitaria di Oxford. L’Inghilterra era una novità per me e ogni giorno cercavo di riconciliare la riservatezza britannica con la mia esuberanza di americana. Un equilibrio che non sono convinta di avere ancora trovato. Ma oggi sono qui per riscoprire sotto un altro punto di vista la mia casa e la mia vita da studente cento chilometri a nord di Londra. In cerca di avventura, io e una mia amica inglese abbiamo deciso di trascorrere una settimana navigando sull’Oxford Canal, un canale lungo 130 chilometri costruito nel Settecento che va da Oxford fino all’Hawkesbury Junction, appena sopra Coventry. Un’esperienza che non ha nulla a che fare con l’università e nemmeno con la compassata Oxford, una città ricca e prospera che coniuga bizzarrie e atteggiamenti snob. L’Oxford Canal, invece, rappresenta una via per scoprire uno stile di vita inglese molto diverso. «Lungo il canale», mi spiega la mia amica cresciuta intorno al pub di famiglia in un villaggio delle Cotswolds «per prima cosa si salutano tutti».

I britannici sembrano risvegliarsi sull’acqua. Navigando a cinque chilometri all’ora mi ritrovo a sbirciare nei giardini delle case lungo il canale cercando di immaginarmi i proprietari. Di chi sarà il busto di Napoleone? E l’incisione di un coniglio che colpisce una rana? Mi domando anche se sto infrangendo qualche regola osservando, ma la mia amica mi rincuora: «Questa è la cosa più inglese che potessi dire! In fondo in fondo siamo tutti ficcanaso». Vicino al villaggio di Wolvercote ci stiamo preparando ad attraccare quando ci viene in aiuto un affascinante signore in jeans e camicia bianca che afferra con sicurezza la cima. «Tranquille, non siete peggio di me la prima volta» ci dice. Si chiama Mike Pitman e la sua “prima volta” risale a tre anni fa quando dopo aver venduto la casa a Oxford, ha comprato una houseboat sulla quale ha vissuto da allora insieme a una comunità di artisti. «Prima di vivere su una barca non conoscevo nemmeno il nome dei miei vicini di casa. Qui sull’acqua conosco tutti. O almeno so che strumento suonano». Mi invita a salire a bordo di casa sua (che si chiama Songlines) e mi mostra il didgeridoo australiano, il suo strumento preferito, seguito da un flauto indiano. «Una volta ho suonato con un ragazzo sotto un ponte e quando abbiamo finito me l’ha regalato», racconta e prosegue: «Nella comunità del canale ci si dà una mano: qualche volta controllando gli ormeggi, altre volte prendendosi cura di cani e gatti altrui, altre per riparare le barche». Ci raggiunge un suo amico fotografo con il quale si scambiano informazioni di vario genere. Pare che due poiane abbiano creato un nido su un albero lungo il canale e una delle gallinelle d’acqua abbia dato alla luce cinque pulcini. In principio questa attenzione per la natura mi ha sorpreso. Finora abbiamo visto solo tanto tantissimo verde. Ma è solo andando avanti di villaggio in villaggio che l’uniformità apparente del paesaggio si trasforma in un caleidoscopio. Navigando lentamente è impossibile non cominciare a notare ogni foglia, ogni ramo, ogni albero. Fino a qualche giorno fa avevo una nozione vaga di “campagna”. Adesso ho capito che può contenere mondi diversi a ogni differente ansa del canale.

Mi rendo anche conto che sull’houseboat c’è sempre qualcosa da fare. Certo, bisogna governarla, ma anche mettere e togliere ormeggi, fare scorta d’acqua e, soprattutto, superare le tante chiuse sul canale. Servono per permettere alle imbarcazioni di passare da un livello all’altro di acqua. Quasi ogni ora ci fermiamo per aprire un’anta, per infilarci nella conca e chiuderci dentro fino a che l’acqua non raggiunge il livello adatto alla navigazione, per poi aprire l’altra porta e proseguire. Può quasi sembrare noioso, ma in realtà questa routine dà un senso di forza e potenza non indifferenti. Ogni conca poi funziona come una sorta di punto per raccogliere informazioni e darne. In poco tempo si cominciano a riconoscere le stesse facce: la famiglia scozzese dai capelli rossi, il gruppetto di amici che festeggia in questo modo una laurea, un pensionato di Birmingham che ha comprato la barca quando ha compiuto 60 anni... ci impiego qualche giorno a capire il ritmo della barca. Prima di partire mi ero fatta un programma preciso che prevedeva l’arrivo a Napton on the Hill, poco sotto Coventry prima di tornare a Oxford. Sette ore di navigazione al giorno. Impegnativo, ma fattibile. Procediamo quindi alla massima velocità, circa 10 chilometri all’ora, mentre il tramonto cambia i colori nei pressi di Upper Heyford. Le pecore sonnecchiano su un prato ombreggiato dalla torre gotica della chiesa. È il paesaggio più incantevole che abbiamo visto finora. Siamo tentate di fermarci, ma non è sul programma. Spengo comunque i motori. Decidiamo di fermarci per bere un bicchiere e godere di questa bellezza. È l’occasione anche per chiacchierare con qualche passante, dapprima intimorito (sono sempre inglesi, d’altronde), poi più pronto ad aprirsi. Per capire gli inglesi l’unico posto giusto è il pub. Ogni villaggio ne ha almeno uno dove bere e mangiare, ma dove scambiare chiacchiere anche con gli stranieri. Di solito hanno un cartello all’ingresso che dice: “Aperto dalle 11 del mattino fino alla chiusura”. Una tautologia? Certo, ma basta varcarne la soglia per capire. Ogni pub ha il suo carattere. Al Boat Inn di Thrupp fanno a gara per comprare le patatine per l’anziano cane del proprietario. Al Bell Inn di Lower Heyford i clienti hanno posti stabiliti dalla quotidianità (e noi ci siamo sedute nel posto sbagliato). Ma nulla è comparabile con l’indisciplinata e caotica atmosfera del Red Lion Inn a Cropredy. Decorato con i disegni di un artista locale e gli orologi fatti a mano dal suocero del proprietario, il pub vive il suo picco alla sera, dalle 6 alle 10 e gli habitué passando il tempo a prendere in giro i forestieri. Anche gli inglesi sono aperti e divertenti come tutti gli altri, devono avere solo una scusa per esserlo!  

Il contraltare del pub è la residenza di campagna. Alcune di queste in estate aprono le loro porte anche ai visitatori dando così agli inglesi la possibilità di indulgere in uno dei loro passatempi preferiti: sbirciare nella vita degli altri. Quella che mi colpisce maggiormante è la Rousham House, una residenza del Seicento ancora abitata dai discendenti dei proprietari originari visitabile solo su appuntamento, ma con i giardini aperti ogni giorno. Tra i paesaggi inglesi più celebrati, i giardini furono progettati nel Settecento da William Kent, pioniere dello stile più “al naturale”, meno forzato. «Questa è una delle fantasie più tipicamente inglesi», conferma la mia compagna di viaggio inglese, «il giardino privato che sembra una natura selvaggia».Per la nostra ultima notte in barca ormeggiamo a nord di Oxford e mi ritrovo a camminare per le strade che mi hanno ospitato durante l’università. Non posso non chiedermi cos’altro mi sono persa dell’Inghilterra. Un usignolo mi si avvicina quieto e lo osservo stando attento ai miei movimenti. Una settimana sull’acqua mi ha reso più calma evidentemente. Mi viene in mente una targa commemorativa che ho visto da qualche parte lungo il tragitto che recitava: «Mio padre era un grande amante delle piante. Mi ricordo di un pomeriggio passato sul fiume, vicino a Godstow in cerca di piante rare. Allora pensavo fosse una perdita di tempo, ma ora non posso fare a meno di ricordare quel momento meraviglioso con il mio eccentrico papà». Lo capisco. Sull’acqua non c’è niente di meglio del perdere tempo.