di Vittorio Emiliani
Tutti con il naso all’insù per scoprire gli splendidi inserimenti di vetro e ceramica incastonati anche nelle facciate delle chiese
Quando turisti e pellegrini alzano gli occhi verso l’alto dei campanili più antichi, romanici per lo più, rimangono colpiti, soprattutto in Toscana, in Sardegna e nel Lazio, da occhi coloratissimi, di ceramica splendente, azzurro intenso, giallo cromo, bianco squillante e altri colori molto mediterranei. Sono i cosiddetti «bacini islamici» incastonati nei campanili o nelle facciate di abbazie famose come quella di Pomposa sul delta del Po, tappa ineludibile dei pellegrini che transitavano sulla Romea, la strada che dalla lontana Cracovia porta a Roma dividendosi a Forlì fra un percorso marchigiano verso Loreto e quindi la Flaminia e un percorso toscano reso spesso difficile dalle guerre locali.
I Francigeni invece i bacini ceramici di origine araba potevano, e possono, ammirarli sulle chiese liguri e su quelle toscane. Ma soprattutto, da vicino, a Pisa nel singolare Museo di S. Matteo, creato dalle Soprintendenze tra gli anni Settanta e Ottanta per evitare che quegli eleganti catini o ciotole venissero rubate (è successo sovente) da chiese periferiche. Bacini invetriati e smaltati importati, per lo più pacificamente, dai Paesi islamici del Mediterraneo, dalla Spagna, da Maiorca, dalla stessa Sicilia all’epoca dominate dagli Arabi, e che curiosamente andavano a decorare le chiese cristiane. Dove spiccano al centro di archetti in mattone, o sui campanili nell’ultimo tratto prima della torre campanaria. Siamo fra il Mille e il 1100.
Con le Crociate, certo, a partire da prima del 1095 quelle preziose ceramiche diventano anche frutto di depredazioni. Tuttavia numerosi esperti concordano sul fatto che, nonostante le Crociate, i commerci continuarono a fluire nel Mediterraneo fra Paesi arabi e Paesi cristiani (del resto i bacini islamici sono assai diffusi anche nei Balcani e sulla sponda dalmata). Col 1300 tuttavia si fa più intensa e qualificata la produzione regionale italiana a imitazione dei modelli egiziani, libici o tunisini. A Roma l’incontro fra il romanico venuto dal Nord e questo vasellame variopinto così mediterraneo dà risultati assai felici. Quegli smalti policromi così luminosamente vivaci hanno in realtà un valore puramente decorativo esaltando il colore del mattone romano, sottile, di tonalità particolarmente calda.
Nella Città Eterna, là dove l’apostolo Pietro aveva edificato la Chiesa, splendono ancora parecchie di queste ceramiche di origine araba: sul robusto campanilotto romanico di S. Eustachio, su quello di S. Bartolomeo all’Isola Tiberina, sull’Oratorio di S. Silvestro ai Quattro Santi Coronati, sull’antica S. Agata dei Goti e, dentro ai Fori, su S. Francesca Romana. E che dire di S. Pietro a Tuscania o di S. Nilo a Grottaferrata? Anche per i bacini islamici dunque i pellegrini, francigeni o romei che siano, magari arrivati dal Cammino di Francesco oppure da Sud, dall’Appia, hanno soltanto l’imbarazzo della scelta a Roma e dintorni laddove pulsa il Medio Evo. Altro che secoli bui.