di Gianluca Biscalchin | Disegni di Gianluca Biscalchin
Torta d’erba, cecina, buccellato e gli immancabili tortelli: la città di Puccini e del Comics punta su bio, tradizione e qualità. E sulla bravura di tanti giovani ristoratori. Ecco i migliori indirizzi, dentro e fuori le mura
Anna vive in collina. Suo marito Frans è olandese e prepara ottimi gin tonic. Anna Morelli e Frans Vandenberg sono editori. La loro rivista si chiama Cook_inc. ed è la più pregiata pubblicazione sul cibo in Italia. Vivono fuori Lucca. Dalla loro casa si vede la villa dove Mastroianni ha vissuto i suoi ultimi anni; accanto vivono due olandesi; poco distante un inglese e una famiglia di svizzeri. È una Toscana diversa da quella del Chianti e dalla val d’Orcia. La natura qui è più selvaggia, un impasto di boschi appenninici e fremiti marini. La Versilia è vicina. Le Apuane anche. Ma la forza attrattiva di tutta la zona è quell’antica città giù a valle, stretta nelle sue mura presidiate da abitanti austeri e chiusi, conservatori e schivi. Almeno così credevo. Anna Morelli mi ha fatto cambiare idea.
Prima di venire a trovarla mi sono spesso chiesto come mai lei, cittadina del mondo, sangue italiano e peruviano, cresciuta a Bruxelles e in costante contatto con il gotha della gastronomia internazionale abbia deciso di vivere proprio qui. Qualcosa è successo in questa provincia appartata nel mondo del cibo di qualità, della ristorazione, dell’agricoltura biologica. Una piccola rivoluzione. Anna mi ha convinto a visitare con lei una nuova Lucca, non più la bella addormentata simile a quell’Ilaria del Carretto ritratta in marmo da Jacopo della Quercia, splendente e sofisticata, ma irrimediabilmente morta.
Per capire cosa si muove in città bisogna partire dalla sua periferia, per così dire…
Per capire cosa si muove in città bisogna partire dalla sua periferia, per così dire. Le mura del Cinquecento sono a due passi, ma la zona è senza dubbio industriale. Qui, in un vecchio capannone, è nato un mercato. O meglio, secondo un modello che ormai è familiare a Berlino e a Copenaghen, un mercato gourmet. Si chiama Satura (Via Nazario Sauro 513, tel. 0583.48182) ed è un’emanazione di quel gigante d’energia che risponde al nome di Cristiano Tomei. Viareggino trasferito a Lucca, cosa non da poco per chi conosce queste terre, è uno chef fuori dall’ordinario. Possente, radicale, primitivo, ossessionato dalle erbe che raccoglie nella vicina Garfagnana, è un purista della materia prima che lavora poco con le mani, per non rovinarla, e molto col cervello. È stato lui il primo a dare una scossa alla bella addormentata. Ha creato il suo ristorante dentro il Lu.C.C.A (Lucca Center of Contemporary Art). Si mangiano, tra i quadri e le istallazioni, piatti veri, poetici. L’Imbuto, il ristorante, è dentro le mura. Ma Cristiano ha sentito il bisogno di uscire fuori per proporre una cucina ancora più semplice, diretta. Da Satura si mangiano piatti fatti con la verdura dei contadini della zona, piccoli produttori bio che ti portano quello che raccolgono. Da provare la tradizionale torta d’erba, con pasta frolla, cioccolato, uvette e verzura di campo. Intorno all’unico lungo tavolo comunitario ci sono micro botteghe con prodotti “scelti col cuore”.
La voglia di varcare quelle mura è forte: scalpito dal desiderio di verificare se la narcolessia lucchese è una mia fantasia o una realtà. Anna sorride e mi porta per mano dentro una delle porte d’accesso all’antica Lucca. Entriamo in zona S. Maria. La piazza è deserta, ma sono le prime ore del pomeriggio. «Vedrai stasera», mi dice Anna. Infatti, prima di cena, quel posto sarà letteralmente invaso da giovani che si dividono nei tre locali della piazza: De Cervesia, birre artigianali, Il Bardo, panini e cocktail e Ciclo Divino (Via Michele Rosi 7, tel. 0583.471869), enoteca e cicchetteria, al modo veneziano, ma con prodotti della zona. Tre proposte diverse che non si cannibalizzano ma anzi fanno da rimpallo di clienti come in un flipper enogastronomico. «Chiudono tutti alle 22 però», mi spiegano. E un po’ mi consolo per veder confermato il mio pregiudizio sulla bella addormentata.
A pochi passi si attraversa un arco buio per ritrovarsi all’improvviso nell’assolato splendore di piazza Anfiteatro, toponimo didascalico per questa ellisse di case costruite sul perimetro del vecchio teatro romano. Qui regnano i ristoranti per turisti. Solo poche isole felici dove mangiar bene senza lo spennaggio riservato agli allocchi: Peperosa (Piazza dell’Anfiteatro 4, tel. 0583.082361) è da provare. Usciamo dalla piazza e Anna mi introduce in via Fillungo, l’arteria commerciale della città. Qui colpiscono soprattutto i negozi. «A Lucca hanno vietato il neon in centro» mi spiega, «e hanno conservato le vecchie insegne». L’arteria è un’enciclopedia del buon gusto e della conservazione intelligente: le vetrine dei negozi sono incastonate in meravigliose cornici liberty e anche più vecchie. Ammiro l’antica gioielleria, la profumeria decò. Ma Anna sa cosa cerco. Cibo. Mi fa girare in un vicolo e mi porta nella storica Pizza da Felice, dove si mangia una strepitosa cecina, fatta con acqua e farina di ceci, croccante fuori e immateriale dentro. Giriamo un altro angolo e ci troviamo in via S. Lucia. Qui entriamo nella bottega di Prospero: vetrina rigorosamente incastonata nel legno, sacchi carichi di legumi, olio, vini, salumi. Insomma, tutto il giacimento di tesori lucchesi. Per un souvenir gastronomico la titolare, sorvegliata dalla foto fine Ottocento del prozio, ci consiglia il mix per la zuppa Prospero: lenticchie, fagioli con l’occhio, fave, farro e altre delizie. Da preparare, suggerisce Anna, con un semplice battuto di aglio, rosmarino e salvia. Poco più avanti si apre piazza S. Michele, dominata dalla grandiosa chiesa medievale. Qui sosto ammirato, e affamato, davanti alla vetrina di Taddeucci, storica pasticceria con il buccellato (dolce con uva sultanina e anice) più famoso di Lucca. Poi circumnavighiamo la chiesa e ci troviamo davanti alla splendida facciata. Lo stile è quello tipico del romanico lucchese, variante di quello dei pisani. Sì però, mi lamento, rimaniamo sempre nei territori, pur pregiati, della tradizione. Anna mi conforta. Il prossimo indirizzo mi svelerà uno dei segreti della rivoluzione lucchese. Il posto, all’apparenza, è in linea con le botteghe storiche viste finora. Si tratta dell’enoteca Vanni. Ammiro la solita bellissima vetrina e un piccolo antro con bottiglie e stemma di famiglia.
Ma l’incanto è nelle viscere della terra. Il proprietario, Paolo Petroni, ci fa scendere da una piccola scala e si scopre un mondo: 350 metri quadrati di cunicoli sotto antiche volte a botte e qualcosa come 55mila bottiglie, soprattutto di grandi piemontesi e toscani. Ma non mancano chicche come un Chateaux-Lafitte del 1898. In questa caverna nelle viscere della città incontriamo uno dei girondini del vino naturale: Beppe Ferrua. È lui che mi parla del distretto del biodinamico che si è creato intorno a Lucca. Tutto nasce da tre aziende, la sua, Fabbrica di S. Martino, Tenuta di Valgiano e Podere Còncori. «Abbiamo cercato di parlare una lingua nuova nel mondo del vino», mi spiega Beppe mentre degusto il suo Colline Lucchesi doc, «e abbiamo provato a contaminare tutta Lucca con il biodinamico». Infatti su 18 aziende che producono la doc locale 13 sono biodinamiche. «È il distretto più grande in Italia. Ci aiutiamo, scambiamo conoscenze, senza competizione». D’altra parte è impossibile essere concorrenti, secondo la biodinamica ogni pianta è unica e ogni vino ha una sua personalità. Questo stile di vita, e di produzione, ha coinvolto anche l’agricoltura. Un’azienda per tutte: NicoBio, che fornisce sia Tomei che un giovane di talento, Damiano Donati. Lo chef del Punto, giovane ma già con una fama da enfant prodige al suo vecchio ristorante Serendepico. Poi si è preso una pausa per coltivare la terra e adesso è tornato con l’idea di una cucina semplice ma profondamente intelligente. Ricca di erbe e vegetali, animali allevati come si deve e piatti ricchi: «a Lucca le porzioni da ristorante gourmet non funzionano». E infatti l’idea di Damiano e dei soci è quella di creare una trattoria contemporanea, in linea con le tendenze più brillanti dell’alta ristorazione internazionale. Qui il logoro slogan tradizione+innovazione ha finalmente un senso. Se non fosse per la materia prima così realisticamente a km vicino, il Punto potrebbe stare tranquillamente a Williamsburg, New York.
Damiano ha confermato la tesi di Anna: a Lucca i giovani esistono e lottano con noi, amanti del piacere gastronomico. Lo conferma anche la proposta della Galleria 38, dove, tra opere d’arte contemporanea, si può mangiare, bere un bicchiere di vino e degustare. Lo stesso vale per il Bistrot 11/11 (Piazza Antelminelli 2, tel. 0583.469412) in piazza S. Martino. Accanto al bellissimo Duomo, che contiene la tomba della nostra bella addormentata, Ilaria del Carretto, un gruppo di ragazzi ha ripreso in mano un locale storico e lo ha trasformato nel punto di ritrovo dei giovani lucchesi. Sfidando i flussi dei turisti mordi e fuggi. Qui, oltre che colazione, pranzo, cena e aperitivo, si fa musica dal vivo. Piero, uno dei soci, per spiegarci la doppia anima di Lucca, ci racconta di quando il condottiero e despota della città Castruccio Castracani fece impalare decine di preti sulle mura cittadine. Per contro nei primi dell’800 la duchessa Maria Teresa d’Asburgo-Lorena, parcheggiata qui dal Congresso di Vienna, fervente bigotta, lasciò in città un velo di clericalismo. Tutto il contrario della dama che la precedette, Elisa Bonaparte Baciocchi, principessa di Lucca per volere del fratello Napoleone: diede un lieve tocco Primo Impero alla capitaletta e fu mondana frequentatrice del Teatro del Giglio. Orgoglio della vita musicale cittadina – lucchese è anche Giacomo Puccini –, il teatro, neoclassico, ha di fronte un interessantissimo ristorante. Si chiama Il Giglio, per non sbagliare. Ristorante di tradizione, della storica famiglia Barbieri, è guidato da due giovanissimi: il rampollo Lorenzo Stefanini e Stefano Terigi. Qui la formula, dettata dalla matriarca per questioni economiche (dice lei ridendo) potrebbe invece rivelarsi avantgarde: tortelli lucchesi per tenersi buoni i turisti e piatti sperimentali per non frustare le voglie innovative dei due ragazzi-chef. Il tutto sotto antichi stucchi, specchi, servizio garbato e aria serena del tempo che fu. Chissà che non sia qui, inconsapevolmente, ma forse no, che ferve il laboratorio della vera cucina italiana. Tra vini fatti bene, la cucina primitiva e intelligente alla Tomei e Damiani e la combriccola di giovani lucchesi con i piedi dentro le mura e la testa tra Londra e New York. Anna intuisce i miei pensieri e, da donna di mondo, sorride. Ha vinto lei? Un bel dì vedremo. Intanto, sotto coi tortelli.